3ème
Millénarie
Le chiavi
della felicità?
3ème Millénarie n. 75 – Traduzione di
Luciana Scalabrini
La stessa assenza di questo desiderio
riflette il silenzio fatto di una leggerezza insolita nel quale ci sembra
talvolta di essere immersi. Al contrario, presi dal desiderio così pressante di
essere felici, identificati in questo sogno così comune, diventiamo come
estranei a noi stessi, a questa fibra così intima di cui pertanto conosciamo il
sapore, come espulso dal nostro essere sotto un impulso sconosciuto perché mai
interrogato. Questo impulso orienta le nostre azioni nel mondo esteriore, verso
il mondo dei sensi, verso uno scopo, l’ottenere un beneficio inconsciamente
sperato. Ma chi spera questo e chi agisce per questo beneficio? Se potessimo
fermarci, sentire fisicamente la nostra identificazione con colui che tiene le
redini del potere e dell’azione in noi, forse allora ci sarebbe possibile
vedere la sua manifestazione nel momento in cui si produce, dal vivo?
Ma questa stessa domanda, da dove viene e
chi la pone?
La ricerca della felicità si svolge nel
mondo del conosciuto, e il lato oscuro di questa ricerca si nasconde nella
resistenza, anche questa inconscia, a ciò che è, nel rifiuto di vivere
l’istante presente, in questa stranissima psicopatia che consiste nel
pensare che tutto andrà meglio domani.
Questo doppio movimento, di ricerca di
felicità o di tranquillità, accompagnata dal rifiuto della situazione così
com’è, si manifesta a livello fisico con una tensione che scende nei muscoli
più profondi e impregna la più piccola delle nostre cellule. Gli occhi, la
mascella, la fronte, il ventre subiscono la pressione interiore delle nostre
tensioni, la respirazione diventa superficiale… A livello emozionale si aprono
in corolle odorose alcuni fiori stupefacenti per le cose che ricoprono: paura,
comportamenti isterici, menzogna, dissimulazione, falsa gioia, abbattimento,
vessazioni ecc. Infine il piano intellettuale è invaso da associazioni di
pensieri, talvolta accompagnati da vaghe immagini, oppure da immagini precise
quando l’energia sessuale è fortemente aspirata nel vortice del
disfunzionamento della nostra psiche.
E’ possibile che io viva così?
Questo quadro può applicarsi a me?
Immediatamente c’è una resistenza: “No! Evidentemente mi accade di vivere dei
momenti come quelli descritti, ma non tutto il tempo. D’altronde, ma va
abbastanza bene”. Ecco in sostanza il discorso che, in una frazione di secondo,
appare nella mia coscienza. Ma la rapidità con cui questa opinione appare in
me, se si può dire senza sforzo, come se la risposta forse già pronta, e
l’energia sottostante che l’accompagna appaiono, guardandola più da vicino, dubbiose.
Rifiutare la descrizione del caos interiore
che sarebbe mio sembra rivestire una straordinaria importanza.
Vedere l’anarchia del mio funzionamento
quotidiano mi sarebbe insopportabile? Vedere che sono sotto la tirannia di
impulsi che nascono fuori da ogni decisione cosciente mi sarebbe inaccettabile?
Sembra di si. I miei pensieri, le mie emozioni, la mia gestualità si fanno in
un modo stranamente meccanico e incosciente. Un esempio di questa meccanicità?
Eccone uno, preso dal vivo: mi si domanda se ho terminato un lavoro, che non ho
ancora cominciato. E allora sorge, da sola, una risposta oppositiva, una bugia
che esce automaticamente dalla mia bocca con una tale buona fede che la persona
che m’interroga non può supporre nemmeno per un momento che abbia totalmente
dimenticato quel lavoro. Ed esce ogni sorta di giustificazioni: “in ogni modo,
questo lavoro è molto semplice e rapido. In due minuti sarà fatto… non è che
una piccola bugia… d’accordo, è una bugia, ma anche lui, che mi chiede, come si
comporta con gli altri?”.
La ricerca della felicità, corollario del
rifiuto della sofferenza e dell’accettazione di vedere la situazione com’è,
nella sua plenaria nudità è diventata il grande gioco dell’ego. Che cos’è
allora la felicità? Si tratta dell’immagine d’Epinal, largamente incosciente e
condizionata, che tutti noi portiamo, di sapere come è un amore perfetto, un
famiglia felice, una bella casa? Questa immagine fu deposta in noi
dall’esterno, e noi la coviamo e la riscaldiamo senza posa, come se facesse
parte della nostra carne. Ora, molto presto, la nostra esperienza di vita
intacca questa immagine rendendoci amari. Però, il nostro attaccamento a questa
immagine sembra essere così forte che persiste.
Come raggiungere la felicità? Poiché è in questi termini che si pone in noi la domanda. C’è, al di là della griglia di ferro costruita dalle nostre proiezioni, una felicità indipendente dalle circostanze della vita, incondizionata senza proiezioni? E immediatamente il nostro pensiero condizionato si mette in cerca di una risposta: “Esistono sicuramente delle chiavi, si deve poterle scoprire”.
Non è utile andare lontano. Si, le chiavi
esistono. Sono disponibili dappertutto, si affiggono sui muri delle nostre
città, si pubblicano in migliaia di libri, e si diffondono su internet. Andiamo
alla loro scoperta, accogliamole, vediamo fino a ove possono condurci. Il
numero di queste chiavi varia secondo le riviste, ma le ricette proposte girano
attorno ad alcune idee forza, che citiamo in corsivo:
1) “Ritrovare
la stima di sé. La stima di sé è un pegno di felicità, una dimensione della
personalità che ha bisogno d’ essere alimentata. Pensate in positivo”.
Non posso che constatare la sua presenza in
tutti i momenti della vita quotidiana dove sono in contatto con gli altri: cosa
penseranno di me se dico questo o quello? Questo controllore è una faccia
dell’ego, una credenza non investigata in un personaggio di sogno che vorrei
poter incarnare. Pensare positivo sottintende che ci sia una indifferenza
interiore, che mi permette una scelta sulla qualità dei miei pensieri e delle
mie emozioni. E’ questo il caso?
La stima di sé in senso psicologico, è una
illusione dell’ego e non serve che a fortificarlo.
Ha per conseguenza il radicarsi in una via
“antispirituale”, dove l’accento è posto sulla personalità anziché sull’essere.
Il sé di cui qui si tratta non è che un’illusione dell’ego.
2) “Coltivate
delle buone relazioni con gli altri. In contrapposizione alla tendenza
dell’ego, pensare agli altri è importante per essere felici”(A. Ellis,
fondatore dell’approccio emotivo-relazionale).
Qui si tratta di sforzarsi di coltivare
queste buone relazioni, in contrasto con le manifestazioni abituali della
nostra personalità che sarebbero giudicate poco gradite agli altri? Si tratterebbe
allora di indossare il costume di una apparenza simpatica. Questo consiglio
“giudizioso” è recepito evidentemente al livello più ordinario del pensiero, e
non sappiamo bene che è condizionato, lontano dal cuore. Il nostro pensiero può
decidere, una volta ancora, della nostra realtà interiore? Se “io” decido di
coltivare delle buone relazioni con gli altri, non è per il rifiuto delle
manifestazioni della mia personalità profana? Qual è questo “io” che potrebbe
prendere quella decisone? Non entrare in conflitto con un altro “io” di cui gli
scopi saranno differenti (per esempio affermare la mia superiorità)? Su quale
parte della mia psiche si basa questo giudizio? Le manifestazioni negative
della mia personalità ordinaria sono la realtà: negarle non sarebbe che negare
la realtà. Non ha più senso conoscerle nelle loro modalità di manifestazione e
di scomparsa, assaporarle, conoscerne il gusto fino ai minimi dettagli? Tale
conoscenza partecipa già ad una disidentificazione dalle manifestazioni
dell’ego. Forma la base di un autentico percorso di conoscenza di sé, a fini
spirituali.
Nessuna soluzione alla sofferenza può
mantenersi a livello della confusione psichica in mezzo alla quale si svolge la
mia vita.
3) “Fate
la pace col vostro passato. Basta a volte parlarne. Soprattutto se le vostre
angosce, e un certo malessere, diventano un ostacolo alla vostra felicità”
4) “Sviluppate
la vostra creatività. Combattere la routine, aprirsi allo sconosciuto… La
materia prima: la curiosità… Permettetevi di sbagliare, di tentare… Divertitevi
e inventate”.
“Siate
Zen, divertitevi, apritevi all’ignoto, siate curiosi… tutto appare così
semplice!”