Bhagwandas
Il filo d’oro della coscienza
3ème Millénaire n. .90
- Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini
3m. Lo yoga
integrale di Aurobindo e di Mère è come un cammino
che non ha fine. Se si considera questo sul piano del risveglio, significa che
lo stesso risveglio è in evoluzione. La conoscenza che si rivela non si limita
dunque alla realizzazione del Sè?
B.
Toccate il cuore dello
yoga integrale di Aurobindo. La conoscenza non si ferma a una
particolarità
dell’apertura dell’essere a una dimensione superiore. Essa è una ricerca
di integralità
in tutte le parti dell’essere, compresa la parte biologica,
il nostro corpo. E’ ritrovare il filo della coscienza, il filo brillante di cui
parlano i Rishi all’epoca dei Veda, che apre le porte dell’essere a una
coscienza cosmica, permette una rivelazione che tocca tutti i piani dell’essere
e divinizza la materia biologica. La grande visione di Aurobindo è che tutto è
unità, divino, coscienza. Nel cuore della materia riposa la divinità, la
coscienza cosmica. Il cammino è perciò infinito e il nostro lavoro è riprendere
quel filo della coscienza, aprire le porte con la trasparenza e il lasciar
andare. Tutte le dimensioni dell’essere
debbono essere consciamente colonizzate,
cominciando dal risveglio del Sé, che è la partenza di quel risveglio.
Lo yoga di Aurobindo se lo si considera da questo
approccio integrale, dove tutto è legato ad un principio divino e di unità, può
essere visto come molto complesso. Ma è anche molto semplice. Poiché tutta la
vita è yoga, e il nostro quotidiano è il campo dello yoga
integrale. Non ci sono momenti particolari in cui mettersi in meditazione. In
questa apertura libera di lasciar andare, ogni momento della vita si lega al
filo brillante della coscienza. E’ riconquistare il regno interiore che non è
un punto, ma una totalità. Questa riconquista riposa sulla pace nel vitale, nei
pensieri, nel silenzio mentale. Tutto un insieme di prese di coscienza vi si
lega: quando si calma tutta l’agitazione interiore, il processo si mette a posto
naturalmente. Vuotare il recipiente, è permettergli di riempirsi della
coscienza divina.
3m. Nello yoga
di Aurobindo riempire il recipiente si ottiene con l’incontro di due forze: una
ascendente e una discendente. Che legame c’è tra le due forze? Come si
incontrano?
B.
Ci sono due polarità
fondamentali, che sono presenti dappertutto: yin e yang, maschile
e
femminile, luce e oscurità, e qui le forze ascendenti e
discendenti. Questa dualità alla base della manifestazione riposa su una unità
fondamentale perchè il divino integra le due polarità. Non c’è nulla da
rifiutare, ma tutto da integrare. La polarità del basso, che è l’inconscio e la
polarità superiore che è la mente sopracosciente cambiano tra loro di continuo.
In quella scala siamo l’essere intermedio. Abbiamo in noi stessi la polarità
oscura della nostra biologia e dell’inconscio e abbiamo la polarità superiore
dei nostri piani di coscienza. L’interrelazione crea una forza ascendente e una
discendente tra le due polarità. La magia di
questo yoga è che non ha nulla da rifiutare, ma da identificare
le due polarità, l’oscuro e il luminoso, l’inconscio e il superconscio e da
integrarli al livello del chakra del cuore, dove si possono unificare le
due polarità. Il risveglio del cuore è il risveglio di una presa di coscienza
di trasformazione delle energie inconsce con quel movimento di ascensione. Con
un atto d'amore che fa parte del lavoro di apertura del cuore, si crea
un'alchimia che permette alle forze discendenti di trasformarle. Ne risulta una
integralità, cioè una trasformazione di energia. Era tutto il lavoro di Mère a
livello cellulare, biologico. Mere ha preso nel suo corpo, che è un laboratorio
di evoluzione, tutto quel lavoro di trasformazione si opera sempre attraverso
l'ascensione delle forze del risveglio, che si traduce in termini più
emozionali e psicologici come un’aspirazione alla parte superiore del nostro
essere, alla luce, e una risposta della parte superiore che si sente accolta
consciamente e trasforma automaticamente l’oscurità in luce.
3m. Il lavoro di
essere il punto d’incontro cosciente
delle due forze è un lavoro di messa a punto dell’inconscio mentale,
vitale e fisico. Ma come andare concretamente verso una presa di coscienza
dell’inconscio?
B.
E’ lì che sta il
processo di risveglio, che è accettazione della realtà così come è senza
giudizio e in un’offerta volontaria al grado più alto della
nostra coscienza, o, nella terminologia di Aurobindo “alla coscienza divina”.
Questa accettazione attira una forza di trasformazione e si traduce con
movimenti dell’inconscio sul piano del nostro essere subconscio, vitale,
emozionale, mentale. C’è nello yoga di Aurobindo una gradualità infinita
e senza separazione.
3m. Ma quello con
cui ci confrontiamo nel quotidiano è piuttosto la non accettazione. Non mi
accetto per quel che sono, mi disprezzo, non sono all’altezza di ciò che mi si
domanda, ecc. Mi scontro con quella forza che non accetta che sia quello che
sono.
ha dei limiti, una struttura. Tutto ciò che è fuori di lei è
sconosciuto, che si traduce in termini emozionali come paura. Tutte le reazioni
che impediscono l’apertura e l’accettazione sono dovute alla paura dell’ignoto.
Ogni possibilità di apertura dell’individuo è legata ad una forza contraria che
è quella della matrice, della nostra incarnazione che teme quella apertura che
è l’ignoto. Possiamo vederlo in noi stessi. Si ritrova l’antagonismo
fondamentale. Nel processo di risveglio possiamo partecipare situandoci in una
coscienza di non paura, cioè sapere che l’ignoto è la divinità nella sua
totalità, che tutto va in quella direzione, compreso ciò che si crede negativo.
3m. Se vi seguo,
all’inizio ci convinciamo di non avere paura perché tutto è divino, anche il
negativo. Una credenza potrebbe aiutarmi a superare gli ostacoli interiori come
la paura dell’ignoto?
B.
Il sapere è un processo
mentale di accumulo di informazione, che si traduce in credenza
quando in qualche modo il mentale ha tracimato. Ma, parlando
di yoga, parlerei di conoscenza.
Si integra realmente il concetto di quella unità fondamentale delle cose e si
entra in quel processo di conoscenza. Rinasciamo con ogni esperienza. Ogni
momento della vita può così essere legato nella sua essenza ad una apertura
interiore, ad una dimensione del cuore senza paura. Non è più il sapere, ma
l’identificazione con la realtà di ciò che è, di ciò che è il cosmo e il fatto
che il cosmo è in noi. Riscopriamo che ogni esperienza è una nuova possibilità
di integrare una nuova faccia della realtà. La conoscenza allora diventa un
processo di identificazione. Allora non c’è più separazione. Un momento di
risveglio, di grazia è un momento dove si esce dai propri limiti. Nell’istante,
la paura si dissolve e penetra in noi
l’identità divina. Il cammino dello yoga permette che quegli istanti
diventino più frequenti, perché lo yoga è distogliersi dai propri
meccanismi automatici e riconoscere il testimone che è in noi, che diviene
sempre più reale. Questo testimone neutro ci consente di vedere che non siamo quella identificazione
automatica con tutte le cose esterne della vita. Quando ci identifichiamo
consciamente con questa realtà, questa si rafforza. Io l’ho vissuta per la
prima volta quando ho letto il libro di Satprem “L’Avventura della coscienza”.
In una frase diceva che, dal momento in cui siamo a contatto col nostro
essere, abbiamo l’impressione di esserci
stati da sempre e di esserci per sempre.
Fu come un’esplosione interna. Quella esperienza mi ha fatto realizzare
che la mia vera identità o identità psichica è al di là del tempo e dello
spazio. Ho quindi esplorato quel cammino del testimone. Il silenzio mentale è
una delle chiavi dello yoga.
Aurobindo spiega che molto presto ci si rende conto che i pensieri non sono
generati da noi, ma che vengono dall’esterno. Il mentale è un’antenna che capta
energie interpretate a livello come pensieri o a livello vitale come
emozioni, ma tutto viene dall’esterno e noi siamo semplicemente in risonanza
con quello. Una volta visto, diventa possibile girare quel recettore, togliere
il contatto. Allora si va davvero verso il silenzio. Diventare testimoni dei
nostri pensieri , stabilizzare la trasparenza, il vuoto mentale, è così che
potremo sempre più scegliere con coscienza il piano di energia dove stare e non
subire l’agitazione mentale. Sicuramente questa è la visione ideale della cosa.
La realtà è che il lavoro è enorme di fronte all’agitazione che il mondo crea
continuamente per attirarci verso l’esterno. Ma diventa possibile vuotare il
recipiente e perciò lasciare entrare altre cose.
3m. La questione del
testimone è quella dell’osservazione. Nel processo di costruzione del
testimone, bisogna volgere lo sguardo verso colui che osserva. Questo è
molto sottile.
B.
In effetti questo può
essere complesso. Ma tutti hanno avuto esperienze che non hanno
necessariamente interpretato in termini di dimensione
superiore di coscienza. Se si lega una
tale esperienza a un processo di
coscienza, diventa il punto di partenza di ogni processo. Ogni momento di gioia
senza causa, di silenzio, di semplicità, si lega allo stesso filo, che si mette
a brillare sempre più. Si può così diventare sempre più attivi nella
partecipazione al processo e ricettivi a quella nuova dimensione dell’essere.
La gioia che ci dà un’apertura del cuore ci porta ad aprirci un po’ di più. Il
nostro centro interiore si risveglia e diviene sempre più attivo.
L’integrazione avviene naturalmente e si cancella la paura dell’ignoto. Il lasciar
andare si approfondisce su tutti i piani del nostro essere per sperimentare il
grande campo cosmico che non è che Amore. Il struttura della realtà è Amore.
Bhagwandas, francese
d’origine, vive nell’India del sud dal 1968. Dopo la scoperta dello yoga integrale
di Aurobindo, incontra la Mère continuatrice della sua opera e fondatrice del
progetto di Auroville, città internazionale dedicata alla ricerca dell’unità
umana. E’ una ricerca sia individuale che collettiva per incarnare una
coscienza nuova che è destinata alla trasformazione dell’uomo e del mondo.