3ème Millénaire n.88 – Traduzione della
dr.ssa Luciana Scalabrini - ( seconda parte)
La viva immaginazione chiamata bhavana supera in
profondità e in potenza la concentrazione o la meditazione (dhyana), che
si fissano a degli oggetti precisi separati e, almeno nello stadio iniziale,
implicano una dualità tra soggetto concentrato e l’oggetto scelto.
Infatti bhavana ( il cui senso letterale si riferisce
al fatto d’esistere) è a mezza strada tra il pensiero concettuale a due poli (vikalpa) e la
indicibile intuizione (nirvikalpa) della realtà, di cui non si può dire
nulla. Mentre la lentezza è propria della meditazione, bhavana è
caratterizzata da una velocità che non lascia nessuno spazio alla riflessione.
In essa non ci sono oggetti chiaramente definiti, solo una potente energia pura.
Mentre nei riflessi egotici si tenta ancora di scegliere, qui si è scelti.
La direzione è sia inesistente che molto fluida, come se si
issassero le vele per lasciare che il vento le gonfi. Ma, contrariamente alle vele, non si è
trascinati in una qualsiasi
direzione. E’ come quando si tenta di ricordare una parola dimenticata: si
riprende contatto con una sorta di energia interiore grezza, ma senza direzione
precisa, perché ancora non se ne può articolare la parola. Però la presa di
contatto è molto precisa, perché si rifiuta subito ogni altra parola che non sia
quella cercata.
Qui siamo nella situazione dove gli oggetti non sono ancora
cristallizzati come oggetti: si comprende allora perché è difficile dare una
definizione di bhavana. Al massimo si può dire che permette di squarciare
lo spazio e il tempo. Si può parlare di “una pratica mistica realizzatrice, che
realizza, fa essere, rendendola evidente, una cosa che, benchè reale, sembrava
irreale perché non evidente”
In molte evocazioni tipiche di bhavana, si esplorano
in una sola volta tutte le direzioni dello spazio, tutte le parti del proprio
corpo, o tutte quelle dell'universo senza nessuna successione. E' così che
l'aspirante cade nel Cuore, nel Tra- due (madya) senza scelta ed è preso
dalla atemporalità. Si è così evocata l'immensità spaziale e altre potenti
immagini che sopprimono i limiti artificiali ai quali si crede legato l’uomo
ordinario.
Gli abituali riferimenti che rassicurano l’ego centinaia di
volte al giorno si interrompono, saltano perfino. Quella percezione decisiva è
opera dell’energia effervescente e del contrasto tra il limitato e l’illimitato. Essa
cambia tutto nella nostra maniera di vivere e di
comunicare.
Quando si parla di comunicazione, si fa come se due persone
potessero comunicare realmente. Ma ciò che osservo in me è che, quando la
persona di fronte comincia a parlare, il mio pensiero vaga. Non ascolto, per
esempio ho già in testa una risposta. Ho un’immagine di quella persona, mi piace o non mi
piace e in ogni caso non la vedo veramente e non l’ascolto. Come è possibile
entrare davvero in comunicazione con qualcuno?
Guardo i visi delle persone e subito dopo la mia memoria mi
dice: è un vecchio, è un giovane, è bello, non lo è, è così, non è così. Tutto
il giorno passa così in superficie, con rare puntate nella verticalità, che non
durano molto. Sentire quel movimento è possibile, ancora prima che si costruisca
questa storia. Vederlo è possibile, ma abbiamo tendenza a passare oltre per
mancanza d’attenzione. Si vive nell’abitudine. Vederlo richiede uno sguardo
diretto, senza giudizi, senza immagini, uno sguardo costante. Quando si è
veramente interessati, si persiste.
Quello sguardo puro è tutto nella mia vita. Non c’è niente
altro. Il resto è una storia che ci si racconta, ma che non smette mai d’essere
lo sguardo stesso. La comunicazione diventa veramente possibile nel momento in
cui mi rendo conto di non comunicare veramente, di essere in rapporto con le mie
immagini degli altri e non con gli altri.
Dico “gli altri”; è già un sapere chiamarli gli altri. Gli
altri è un’immagine.
Finchè non c’è una pulizia dello sguardo, non c’è
comunicazione possibile. Sarà una lotta d’immagini. Ci sono immagini che mi
piacciono, e altre no. Quelle che mi piacciono sono quelle che rassicurano l’io
fabbricato, quelle che contribuiscono a farmi dormire di più. Le altre, quelle
che potrebbero risvegliarmi, non voglio vederle. Si tenta sempre di
riaggiustare il proprio piccolo
mondo perché sia confortevole e l’ego stia bene. E’ come un gatto che si
accomoda su un divano, che ci gira attorno un po’, poi ci fa una nicchia ben
assestata. Si fa questo tutto il giorno. Nel momento in cui accade una
perturbazione, e qualcuno entra nella stanza o dice qualcosa, bisogna subito
riassestarsi nella posizione precedente a quella intrusione. E questo incalza!
Si fa appello alla memoria per sapere come reagire. Tutto ciò che penso, che
dico, che faccio è per ritornare comodo continuando a identificarmi all’immagine
di me stesso. Questa immagine deve sentirsi a suo agio ed è questo che guida le
mie interazioni.
3m. Ma
perché si ha sempre una impressione di disagio che ci
segue?
G. B.
Perché ci si prende per qualcuno! La vita non è che cambiamento, è puro
dinamismo, è come una vibrazione. Non c’è niente di statico nell’universo.
Sono le nostre immagini che sono statiche.
E’ a quello con cui mi identifico che è un’immagine statica
in una vita che è solo cambiamento. Immaginate il disagio! Si vorrebbe di
continuo riaggiustare il mondo intero per essere comodi. E’ inutile e molto
faticoso.
Importa poco come siete arrivati a oggi, domani è
completamente da rifare! L’istante dopo,
la situazione comincia già a degradarsi e degenera sempre più in fretta. Certo, il degenerarsi della
situazione è già lì fin dall’inizio.
3m. Si
tratterebbe dunque di riaggiustarsi
istante per istante?
G.B. Se
c’è aggiustamento, non c’è nessuno per aggiustarsi. Vedere che non c’è una
persona che deve aggiustarsi. Non c’è da reagire. Le diverse situazioni della
vita non sono problemi da
risolvere! Riposo! Voi non ci siete: quello che chiamate voi è un’immagine. In
realtà voi assistete a quella che chiamate la vostra vita. Ma non come un
testimone passivo, siete invece uno sguardo che agisce, come il sognatore.
Questo testimonia quello che capita, ma non è separato da ciò che avviene ed è
lì tutta la differenza. Le nostre abituali immagini di testimoni sono da
rivedere.
3m.
Prendersi per qualcuno è scomodo, e vedere scorrere la vita anche è
sgradevole.
Non è la vita che è sgradevole, ma il me fabbricato nella
vita.
Finchè ci sono immagini e ci si prende per immagini è
sgradevole.
Ma come fate a dire che è sgradevole? Allora sapete già
cos’è la gioia… E da dove vi viene?
Vi hanno insegnato cos’è la gioia, la tranquillità? Non ve
l’hanno mai insegnato, lo sapete già. Perché? Perché siete quello. Molto
semplicemente. La sofferenza è la prova della gioia. Più soffrite, più la prova
è decisiva! Gioitene!
Ogni sofferenza si riferisce alla gioia, ogni desiderio,
ogni piacere. La paura della morte si riferisce all’immortalità. Come fareste ad
aver paura della morte se non foste atemporali. Si sa in qualche parte che non è
possibile, perchè siamo la Vita, e la Vita non può essere la morte. Mentre
sappiamo questo profondamente, siamo convinti di essere qualcosa che molto
evidentemente va scomparendo. L’incontro delle due cose nel cervello produce
l’intollerabile: morire? Non è possibile! La paura di morire è un rifiuto
dell’impossibile. Ma finchè ci prendiamo per quella cosa che con evidenza va
scomparendo, continua l’ansia.
3m.
Quando parlate di essere nel tra- due, è uno scopo.
G.B. No.
Quando dite questo pensate al Tra-
due, ve ne fate un’immagine e ridiventate qualcuno; allora non potete avere
scopo, non fosse che per liberarvi da tutto questo. Ma se non mettete l’accento
sul vostro scopo, vedrete molto rapidamente che siete preso da ciò che è lì, la
realtà. Finchè mi prendo per un personaggio non posso far finta di non avere
direzioni: non sarei onesto con me stesso. Ma a un certo momento la direzione se
ne va. Non posso forzarlo, è come un momento di stupore. Per esempio, andate al
museo. Avete uno scopo. Ad un tratto siete preso. Non da un quadro; vedete
vostra moglie sottobraccio ad un uomo! Nello stesso istante della percezione,
non siete qualcuno. Avevate uno scopo e improvvisamente avete dimenticato il
vostro scopo. C’è apertura e ed è senza scopo. E l’istante dopo, siete di nuovo
localizzato, secondo l’immagine che avete di quell’uomo e di quella donna che
chiamate vostra moglie. Avete di nuovo uno scopo. Finchè passo il tempo a
localizzarmi così, a mettermi in situazione in rapporto a ciò che è percepito,
finchè tengo alla mia immagine individuale, ci sarà una direzione alla mia
azione; la mia vita sarà fatta di calcoli e lamenti.
3m. Voi
siete allora attore di qualcosa.
G.B. Non
ne abbiamo la scelta. Finchè esiste il corpo, c’è un attore. La maggior parte
del tempo mi prendo per il mio ruolo; è così che la maggioranza delle persone
passa la vita. Ma non è un obbligo.
A un certo momento si può avere una presa d coscienza e nell’istante si è
senza scopo. Questo non impedisce che l’istante dopo gli scopi riappaiano,
perché portiamo dei nodi che si sono solidificati da tempo e non si sciolgono
istantaneamente. Ma una volta che si è presi, non si dimentica più. Sono stato
toccato da qualcosa e ne conserverò la nostalgia. Questo sarà il mio nuovo scopo
nella vita. Certo, è ancora uno scopo, ma cancella tutti gli altri. Poi si
cancellerà anche lui. E’ la grazia che lo fa, non la cosiddetta
volontà.
3m. Anche
le memorie si cancellano?
G.B. Sono
le identificazioni alle memorie che si cancellano. C’è una notevole differenza
tra la pulizia spirituale e la malattia di Alzhaimer. Ma la cosa più difficile
alla fine, quando la gomma ha cancellato tutto, è che resta la gomma da
cancellare. Essere un risvegliato, è sempre essere qualcuno. Quando lavate la
biancheria, mettete del sapone e alla fine risciacquate tutto e tutto se ne va,
il sapone e lo sporco. E’ la biancheria pulita che ci interessa, non il sapone.
Quando si è presi dal silenzio, si è totalmente scossi.
Tutti gli scopi nella vita sembrano insignificanti di fronte a quel superscopo
che è vivere quello ogni giorno. E’ ancora uno scopo, ma, se non s’insiste
troppo sul cammino da fare, si cancella. Se no, si conserva un mostruoso ego
spirituale. Ma non è evidente vedere che si è ancora in uno
scopo.
3m. Se vi
preoccupate tanto di parlarci di quest’idea di risveglio, questo diventa uno
scopo per me. Ho perciò un’intenzione, quella di risvegliarmi ed è per questo
che sono lì. E nello stesso tempo dite che non c’è niente cui tendere, che non
bisogna avere intenzioni.
G.B. Non voglio
risvegliarvi, e non dico nemmeno che non ci vuole intenzione. Non ci sono “si
deve”.
La Realtà non parla all’imperativo, ma all’indicativo
presente…o all’infinito.
Constato che la mia vita non è fatta che di intenzioni, di
reazioni. Lo constato. Non ho nemmeno voglia di togliere questo e mettere altro
al suo posto, che verrebbe dalla mia memoria. Che sarebbe una nuova intenzione.
No. Io constato. E’ come se improvvisamente realizzassi che il mio pugno è
chiuso da tre ore. Non ho più bisogno di volerlo rilassare, si rilassa da solo.
Non c’e bisogno di creare lo scopo di rilassarsi…
3m. Ma
anche constatare è uno scopo.
G.B. No! Constatare è lo sguardo. Non c’è intenzione nel guardare.
Nessuna intenzione per essere. Voi non siete che sguardo. Che scopo c’è lì
dentro? Quando vi si schiaffeggia, la guancia si arrossa. Non c’è bisogno
dell’intenzione perché si arrossi. Non c’è niente d’intenzionale nella vita.
Perché? Perché non c’è nessuno per volerlo. E’ un guaio che ci sia qualcuno
nella mia vita che vuole qualcosa. Una completa sciagura. Non ho da disfarmi di
quella persona artificiale. Essa è artificiale! Non c’è che constatarlo. Siamo
nella vita per constatare, non per abolire qualcosa che non esiste. E’ faticoso
passare la vita a tentare di risolvere un problema che non
esiste.
3m. C’è
però un momento in cui si decide?
G.B. Ci
sono direzioni da prendere nella vita, sicuramente. State uscendo da quella
porta. Ma, se poteste veramente vedere tutto ciò che avete fatto nella vita fino
ad ora, ciò che avete letto, mangiato, ciò che i genitori e gli insegnanti vi
hanno detto e che avete creduto, se si potesse vedere tutto questo, si saprebbe
subito per quale porta uscire e in quale stato. Nessuno l’ha deciso. Se si
potesse seguire l’influsso nervoso nel cervello, lungo le braccia e le gambe,
non si potrebbe trovare nessuno che ha deciso. E’ un movimento. Ed è quel
movimento che dice: sono io. Non c’è nessuno a decidere. A un dato momento, io credo di essere quello: sono io. E a
un altro momento non ci credo più.
E cosa resta? Ciò che sono, che è lì, atemporale, che è la luce del
Cuore. Si può dire che solo la luce del Cuore esiste. Si può vederlo. Si può
viverlo, celebrarlo, condividerlo, per la gioia.