Jean Bousquet

 

La Spiritualità di Comodo

 

3ème Millénaire n. 48 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

 

 

La maggioranza dei ricercatori spirituali non ricerca che il conforto, la sicurezza, il benessere: un saggio vivente, che rappresenta il compimento delle loro aspirazioni, presso il quale gustare la certezza della Verità e a cui delegare la responsabilità della loro autorealizzazione; un movimento ben assestato, dalle strategie e l’inquadramento  efficaci, dalla filosofia inconfutabile per poco che si ammettano i primi assiomi; un gruppo caloroso, umano, attento, creativo, in seno al quale svilupparsi, espandersi, trovare relazioni gradevoli, arricchenti…

 

Ciascuno sembra cercare un balsamo per le sue ferite psicologiche, un calmante per la sua angoscia esistenziale, delle risposte soddisfacenti alle questioni vitali, essenziali, che ci perseguitano e ci tormentano. Sembra trattarsi in quasi tutti i casi di calmare l’inquietudine, offrire garanzie, portare un sollievo.

 

Su questa base, ci si mette in cerca di un gruppo, di una scuola o di un istruttore che corrisponda alle proprie tendenze personali innate, al proprio tipo umano, alle proprie concezioni morali e intellettuali. Una volta trovato l’ “oggetto” , si osserva un processo di installazione, di messa al bando di ogni ricerca, di ogni interrogazione e di ogni dubbio o possibilità di dubbio.

L’appartenenza diventa un’abitudine, un’evidenza, che non è più fattore di approfondimento di sé.

La relazione nevrotica e dipendente dall’oggetto di ricerca, che invade progressivamente o brutalmente lo spazio interiore, sostituisce l’interrogativo fondamentale, la Domanda senza risposta possibile, presente al centro di ogni essere umano.

 

Quante volte non si capisce questo tipo di testimonianza: “dopo di lui (o di lei), i problemi scompaiono come per incanto, tutto è semplice, evidente, senza divisione, è un essere così puro, così luminoso, così autentico, così…” oppure “dopo un week–end all’ashram (o al centro), tutto mi sembra più facile. Nei giorni che seguono, sono letteralmente portato, le relazioni difficili si risolvono facilmente…” o ancora “da quando appartengo a quella scuola, ho finalmente ottenuto tutte le risposte alle domande sul senso della mia vita. Questa  è considerevolmente migliorata, chiarita, i miei complessi scomparsi, mi sento più sicuro di me, meglio nella mia pelle…” o infine “più il tempo passa, più provo il bisogno di frequentare il maestro (o il gruppo). Solo, sono più vulnerabile. E quell’esperienza è così potente…”.

 

Queste attitudini interiori così negative, passive (talvolta mascherate da un ardente attivismo), nascondono la cieca o la compiacente dipendenza, la relazione irrigidita, l’assenza di fiamma vera, e riguardano tutto un mondo “spirituale” più o meno sottile di sfruttati e sfruttatori, di imbroglioni e di creduloni mutualmente incatenati da un tacito (o esplicito) contratto.

 

A questa pigrizia interiore  sono evidentemente stati adattati molti propositi che si offrono in abbondanza ai sedicenti ricercatori. Restando alla semplice sensazione di sostegno morale o intellettuale, pur se cosmica o trascendentale, si annulla ogni ricerca spirituale autentica.

 

La Spiritualità autentica (la Libertà dello Spirito)  non può in alcun caso corrispondere alle nostre tendenze, alle nostre preferenze, ai nostri bisogni immaginari, a tutto quell’insieme di meccanismi programmati centrati sulla nostra piccola persona. Lei non può, se la lasciamo agire, che dare impulso alle nostre proiezioni egocentriche di divenire, ai nostri sogni di conforto e di sicurezza così limitanti per quell’altra dimensione del nostro essere, non personale, che cerca di fiorire.

 

Non c’è Libertà autentica della coscienza senza una radicale rottura con la nostra maniera abituale di pensare, di sentire, di percepire se stessi. E’ necessariamente attraverso degli shock e rimesse in discussione profonde quelle con cui una guida o una scuola autentiche devono procedere, tanto è potente e complessa la capacità dell’ego ad auto conservarsi, a imporsi, a perpetuarsi, a detrimento del nostro Essere essenziale.

Un lavoro spirituale autentico non può essere soddisfacente, tranquillizzante, rassicurante per il ricercatore che gli si avvicina. Ma cosa cerchiamo realmente? Una spiritualità di comodo che ci stia come un abito su misura, adatto alle nostre aspirazioni, rivendicazioni, condizionamenti, gusti e tendenze autoconservatrici? Oppure un vero medicamento che combatta efficacemente la nostra tendenza malata per l’addormentarsi, l’essere soddisfatti, la vita di routine? Siamo pronti a sopportare l’eventuale asprezza o l’amarezza di un tale rimedio? Oppure preferiamo ingerire pillole multicolori e zuccherate distribuite dalle industrie mistico – occulte ?

La forma che prende la nostra ricerca spirituale risponde da sola a questa domanda. L’intenzione determina l’esperienza. Possiamo obbedire a quella intenzione profonda di vera Libertà presente nel Cuore del nostro Essere, troppo spesso traviato dalle domande e dai bisogni condizionati del nostro essere superficiale.

 

Maestri e Discepoli.

 

Ci sono discepoli tanto attaccati ai loro maestri che non possono immaginare di vivere un solo momento fuori dalla loro influenza. Ci sono maestri così attaccati ai loro discepoli che non possono immaginare di essere privati un solo momento del potere che esercitano sulle coscienze e dello stato privilegiato che offre loro tale potere.

 Maestri e discepoli, strettamente incatenati gli uni agli altri con mille lacci di dipendenza affettiva e materiale, si infliggono vicendevolmente un superlavoro mortifero per il desiderio di vita e di progresso della coscienza presente nel Cuore di ogni essere umano. Obbligati dagli impegni reciproci, incapaci di fare una radicale rivoluzione del loro modo di relazione  con il mondo e con gli altri, ristagnano in un ruolo che poco a poco diventa una prigione, una tomba per l’Essere profondo, autentico. Indossano una maschera convenzionale e sembrano essere appagati di un territorio relazionale ben definito, la cui gestione quotidiana accaparra tutta l’energia disponibile e impedisce l’esplorazione di quello spazio immenso e paradossale che è l’essere umano.

Ogni ashram, ogni comunità di vita attorno ad un maestro, riproduce gli schemi relazionali nevrotici che caratterizzano molte famiglie naturali. E il transfert non riconosciuto amplifica i sintomi, i comportamenti ciechi, distruttori di coscienza. Il ripiegare su cliché ideologici, una griglia più o meno rigida d’interpretazione degli eventi, delle situazioni, delle parole e dei comportamenti, con un vocabolario specifico, nell’uniformità di reazione e d’attitudine  rinforzata dalla vita comune e le pratiche collettive, con la divisione interna dal gruppo esterno,  produce la sensazione di essere a parte,  stimola la diffidenza e l’incomunicabilità  di fronte a individui e strutture che non appartengono al sistema di rappresentazione del bene e del male, inevitabilmente generato dalla collisione d’interessi psicologici non coscientizzati. La forza del numero accentua l’impermeabilità di ciascuno alla messa in discussione profonda,  soprattutto in rapporto alle motivazioni e convinzioni che l’hanno condotto a integrarsi nella comunità, o a fondarla. Tutto sembra matematicamente organizzato perché il maestro non possa scoprire che non è in effetti maestro di niente né di nessuno, e perché il discepolo sfugga all’esigenza della sola disciplina spirituale autentica: diventare maestro di se stesso. L’uno è maestro degli altri, gli altri non sono maestri di se stessi; tutti evitano l’esigenza di far scomparire le immagini, gli idoli, in sé come fuori di sé, la messa a punto e l’abolizione delle motivazioni egocentriche, autoconservatrici, dei compromessi, delle tacite convenzioni psicologiche. E’ possibile che la relazione maestro–discepolo sia ancora una via spirituale autentica in altre culture; certamente lo è stata.

 

Ma riguardo alla nostra cultura occidentale, il processo d’individuazione radicato da molti secoli, aggiunto alle formidabili tensioni psicologiche dei ritmi moderni e la saturazione delle informazioni, delle immagini e dei modelli, rende indispensabile la più grande impersonalità nella trasmissione spirituale.

Il nadir d’egocentrismo che oggi abbiamo raggiunto, ci obbliga a distinguere nettamente e rigorosamente la Chiamata spirituale profonda, universale, inerente alla natura umana e alla Vita, da ogni riferimento pesante a un individuo. Ogni confusione in questo ambito non può che portare  alla scambievole alienazione, tanto è forte il carico emotivo della sete inconscia (o conscia!) di potere e di sicurezza, al disequilibrio attuale, alla terribile capacità di bluff (e di auto bluff) dell’ego, aggravato dallo sviluppo delle tecniche occulte applicate alla comunicazione, alla espressione e al dominio energetico.

 

L’era che ora si apre è quella di una corrispondenza diretta, cosciente, autonoma, di ogni individuo spiritualmente sensibile con ciò che costituisce il fondamento interiore della sua presenza sulla Terra. In ciascuno sono largamente presenti tutte le possibilità, come nella rinnovata atmosfera degli ultimi decenni. Non c’è bisogno di nessun intermediario umano, e nemmeno è augurabile. Un aiuto e un sostegno sincero e disinteressato per i ricercatori deve essere il più impersonale possibile, per non danneggiare l’autonomia nascente, per non gravare lo psichismo già saturo di immagini forti e pregnanti, per non ripetere antiche forme diventate obsolete, inadatte al presente, per evitare una relazione personale che ostacola, per l’inevitabile scambio di veleni psichici tra individui fortemente legati, l’apertura di ciascuno all’insegnamento multiforme e inesprimibile, sconvolgente, della Vita Stessa.

 

                                    ( Continua)