Jean Bousquet
Spiritualità di Comodo - Seconda parte
Le quattro umanità.
Durante più di 20 anni di ricerca spirituale cosciente, mi è
stato dato di osservare quattro grandi categorie d’esseri umani, quattro grandi tipi o famiglie:
1.
Quelli che non sanno di
non essere illuminati.
Interamente mossi
dagli automatismi istintivi e culturali, totalmente incoscienti della stessa
esistenza di quegli automatismi, formano la gran massa dell’umanità, condotta
dai dirigenti, dalle autorità intellettuali o religiose. Non è questione per
questa “prima umanità ” di ricerca spirituale o d’illuminazione. Gli sprazzi di
gioia, gli obbiettivi e i piaceri della specie umana (fisici, materiali,
sessuali, familiari, professionali…) sono loro ampiamente sufficienti. Vi
trovano un campo d’esperienza illimitato, appropriato ad occupare in modo
soddisfacente le poche decine d’anni di vita apparente che passano sulla Terra.
Il senso di tutto quello gli sfugge; hanno delegato la ricerca di quel senso a diverse autorità, le cui risposte scontate li
soddisfano. Il loro scopo sembra essere di perpetuare le idee, la sensibilità e
i comportamenti della specie, della razza, della nazione, della religione,
della società, della cultura, della famiglia cui appartengono,
presentandosi la loro personalità semplicemente come una variante particolare
di quei grandi temi collettivi inscritti nei geni e nelle abitudini e nelle
possibilità del luogo e del momento. Sono felici finché nessuna contrarietà
viene ad interferire con il loro programma. E quando
sono appagati dalla sorte, non si pone alla loro mente nessun’altra
cosa se non quella di fare durare il più possibile quel benessere, come
aumentarlo, come metterlo al riparo da ogni cambiamento sgradevole. Non avendo
nessuna coscienza dell’oscurità nella quale brancolano, oscillano di continuo
tra gioia e pena, riuscita e sconfitta, distratti quotidianamente dai luccichii
artificiali organizzati dalle autorità che brancolano nel buio con loro. La
questione dell’illuminazione non li sfiora nemmeno.
2.
Quelli che sanno che
non sono illuminati.
Dalla grande massa prima descritta
escono qua e là, dalle fatiche
dell’esistenza attuale, degli individui che s’interrogano sul perché di tutto
questo, e non possono accettare le risposte offerte dalle diverse autorità che
pretendono di insegnare, rassicurare e dirigere il cieco flusso umano. Questi
non si distinguono dai primi che per la coscienza più o meno lucida, più o meno
ferma che essi hanno della propria cecità e di quella dei loro simili. Ma quella coscienza dolorosa, inconsolabile, basta a
modificare il loro comportamento, a farli uscire e ad allontanarli
sensibilmente dal conformismo delle idee dominanti, dall’adesione alle emozioni
di massa programmate, dalla ripetizione di comportamenti generati dai
condizionamenti dell’ambiente. Si mettono in cerca di un altro senso
dell’esistenza, diverso da quello che si impone alla massa dell’umanità; si
rivolgono naturalmente verso nuove autorità, marginali, che sembrano proporre
prospettive di vita più interessanti, più stimolanti della sola ripetizione dei
pensieri, sentimenti e azioni programmate dagli istinti, l’educazione e i
costumi. Dalla reazione all’apparente assurdità di una vita priva di senso, è
nata la ricerca spirituale. Questa si è sviluppata nel tempo ed è diventata una
sorta di cultura parallela, con le sue correnti, la sua
storia, i miti, i luoghi santi, i personaggi – culto, le immagini, i grandi
testi. Gli esseri umani della seconda umanità se sentono e si
sanno ricercatori; si distanziano coscientemente dalla prima umanità, adottando
altri riferimenti, altre attitudini e linguaggi, altre convinzioni.
Hanno una coscienza acuta della loro differenza dalla massa, ma hanno anche la
sensazione penosa di non essere liberati totalmente, di subire sempre le stesse
influenze, le stesse pulsioni, malgrado le loro
ricerche e l’aiuto di autorità, senza giungere ad altro che a diventare più o
meno coscienti. Le domande rimangono, poste in mille modi diversi alle mille
autorità spirituali: “come arrivare all’illuminazione (o
al risveglio, alla liberazione, alla trasfigurazione, alla pace assoluta, alla
realizzazione, alla non dualità)?. Come mettere fine allo stato ordinario di
cecità, di confusione e di incoscienza che
caratterizza la natura umana?”. Questi interrogativi profondi occupano un posto
la cui importanza varia da un ricercatore all’altro: per certi si tratta semplicemente di un
soggetto di meditazione che viene regolarmente ad abbellire una vita piena di
obblighi e di legami, per altri rimangono lancinanti, preponderanti e non
lasciano in pace. Tutti sanno che non sono illuminati, ciascuno dando a quel
termine una definizione corrispondente alla propria cultura spirituale, alla propria intuizione e alle proprie tendenze personali. Tutti
tentano di avvicinarsi, ognuno coi propri ritmi, a
quello stato intravisto o immaginato, frequentando con quello scopo individui o
associazioni, che si propongono di aiutarli a raggiungerlo.
3.
Quelli che sanno di
essere illuminati.
Dalla piccola massa prima descritta, alcuni individui
sorgono qua e là e testimoniano una notevole, evidente modificazione della
maniera ordinaria di pensare, di sentire e di agire dell’umanità media. A causa
di una eccezionale sensibilità innata, o di una
intensità particolare nella ricerca, quegli individui della terza umanità si
sono allontanati più degli altri ricercatori, con esperienze di coscienza
trasformatrici che descrivono con una grande diversità di termini. Ogni
maestro, istruttore, guru, iniziato, fondatore o dirigente d’associazione, fa
appello alle proprie referenze, alla sua eventuale tradizione d’appartenenza;
in effetti: alla sua intuizione e alle sue tendenze o credenze personali, per
qualificare il risultato positivo della sua ricerca.
Questo produce un notevole caos di affermazioni
contraddittorie, di consigli e di ricette opposte, di malintesi e di
incomprensioni reciproche, cioè di intolleranza caratterizzata. Un solo punto
comune si trova tra quegli individui della terza umanità: ciascuno sa che è
illuminato (o risvegliato, iniziato, liberato, ecc)! Ognuno si
impegna a dimostrare la sua straordinaria esperienza, la sua
illuminazione, diffondendo con una generosità tutta imbevuta di profonda
serietà, la sua buona nuova che si impegna a divulgare e insegnare a molti individui della seconda umanità, che a
loro volta sperano e pensano di trovare qui la soluzione ultima, la conclusione
della loro ricerca fino a quel momento infruttuosa. Gli illuminati che sanno di esserlo,
danno a chi li vuole seguire l’esempio di una ricerca spirituale riuscita,
compiuta, essendo approdati ad un’esperienza soddisfacente, ad una
realizzazione attraente per tutti coloro che non sono illuminati, lo sanno e
vogliono cambiare. L’esperienza mostra che la quasi totalità di questi ultimi
si accontentano di testimoniare, di insegnare, facendosi bastare l’ombra
protettrice di questo o quell’illuminato scelto per affinità.
Quel tipo di illuminati conosce il
proprio stato d’illuminazione e il cammino che l’ha condotto dallo stato
iniziale al secondo. E’ quella persistenza della coscienza – me
spazio temporale che attira e seduce tanti individui della seconda umanità, che
vedono in quei modelli la proiezione di un ideale archetipico
presente in essi, diventato tangibile; proiezione che possono sviluppare,
organizzare, raffinare, arricchire. Molto spesso la presenza raggiante del
modello spirituale riduce lo sforzo di approfondimento
individuale, interno; si delega al modello il proprio potere di crescita
interiore; peggio ancora: quella presenza, consolando delle insoddisfazioni,
anestetizza la loro sete di realtà e neutralizza l’indispensabile autorivolta.
Giunto a questo punto d’osservazione, mi sembra utile
ricordare alcune relazioni che possono stabilirsi tra queste tre umanità:
Gli individui della prima umanità
sviluppano tre atteggiamenti di fronte ai ricercatori spirituali: l’ignoranza,
l’indifferenza o la diffidenza:
-
l’ignoranza, non entrando per la maggior parte di loro, la ricerca spirituale
nel campo della loro educazione e delle categorie socio culturali. Non
incontrano mai ricercatori;
- l’indifferenza,
nella misura in cui, ignorando in loro quella sete interiore che mette in
cammino, non comprendono quella motivazione così
strana ai loro occhi; non essendo interessati ad approfondirla, stabiliscono
con i ricercatori lo stesso tipo di relazione che con tutti gli altri, in
genere superficiale;
- la diffidenza,
sempre più sentita man mano si propaga la moda attuale del discorso anti –sette. Non avendo la percezione e la conoscenza della
dimensione spirituale dell’essere umano, interpretano le sue manifestazioni
esteriori come deviazioni patologiche o criminali. I fatti dimostrano a volte
che vedono giusto, poiché il vasto ambito della ricerca spirituale può offrire
rifugio ad attività di manipolazione molto sospette. Ma una disonestà
intellettuale corrente consiste in quell’ambito a generalizzare
frettolosamente, spesso per ragioni ideologico -
strategiche esse stesse sospette, senza avere veramente valutato la natura
esatta e la realtà multiforme del fenomeno in questione.
Gli individui della seconda umanità hanno sviluppato due
atteggiamenti opposti: uno verso la prima umanità, l’altro verso la terza.
Il primo, quello che riguarda la loro relazione con persone
ordinarie, rivela in loro un senso di superiorità, di essersi elevati al di
sopra della massa ignorante. Le conoscenze esoteriche diffuse in quell’ambiente
(karma, reincarnazione, simbolismo, ecc) e le scienze occulte (astrologia, numerologia e altre arti sottili) associate a pratiche psicocorporee, contribuiscono a sviluppare quel senso di
superiorità. Questo si può manifestare con una serie di comportamenti, che
vanno dal disprezzo all’estrema sollecitudine accondiscendente. E’ evidente che
questi atteggiamenti suscitano o rafforzano naturalmente le reazioni di irritazione, d’ostilità e d’intolleranza di una parte
della prima umanità.
Il secondo
atteggiamento generale riguarda la loro relazione con le autorità spirituali.
Contrariamente al primo, rivela nei ricercatori un senso d'inferiorità,
d’indegnità, proporzionale alla loro evidente o contenuta sufficienza di fronte
ai comuni mortali. Più è forte l’ammirazione per il modello,
più si accentua la repulsione o l’accondiscendenza per la condizione
umana. Le autorità spirituali sono vissute come ornate
di tutte le virtù che mancano all’uomo ordinario. La proiezione, positiva o negativa, in una dialettica virtuale distruttiva
dell’unità umana, è nociva. La divisione esteriore riflette una lacerazione
interna inadatta a supportare il fuoco della conoscenza di sé. Ma si tratta, in tutta quella ricerca spirituale, di
conoscersi veramente o di dimenticarsi di sé ad ogni costo? Si tratta di
trovare o di cercare eternamente, perché è un’attività che piace, appassiona,
ci conviene, ci rassicura e ci valorizza? Ad ognuno la
risposta in sé stesso e per sé stesso. La risposta determina
l’orientamento, gli incontri, l’ambiente e l’intensità di una vita, il piano di
coscienza sul quale si svolge. L’esperienza mostra che pochissimi ricercatori
superano il culmine della ricerca, con la messa in questione radicale di se
stessi e la solitudine interiore che quel superamento comporta. Sembrerebbe che
l’abito del discepolo, una volta indossato, diventi
inseparabile dalla pelle.
Tuttavia, nonostante quello stato di
ricerca, alcuni rari individui emergono dalla massa dei ricercatori e
testimoniano una “illuminazione”, come se il costume di discepolo li avesse
lasciati, forse per una trasformazione.
Quelli entrano con gran rumore nella terza umanità, nell’elite dei quadri
spirituali, nel ristretto cerchio di quelli che sanno di essere illuminati.
La loro relazione con quelli della seconda umanità
assomiglia a quelle di questi ultimi con l’umanità “ordinaria”: senso di
superiorità che è esaltato dall’idealizzazione e dall’approvazione
incondizionata della quasi totalità dei ricercatori discepoli coi quali entrano in contatto.
Quanto alla loro relazione con gli individui della prima
umanità, questi diventano rapidamente inesistenti nella misura in cui esercitano
la loro autorità su
un ambiente scelto per affinità spirituale e condizionato dal culto della loro
persona. All’interno di ciascuna delle tre categorie si manifestano correnti
mutevoli di simpatia e antipatia tra gruppi e individui, accordi e disaccordi,
differenti strategie, giudizi, conflitti. In generale c’è una forte
identificazione al ruolo, alla funzione riconosciuta, sia spirituale che
materiale.
Ma ho potuto osservare, in seno a quelle tre umanità, alcuni
individui che sfuggono fortunatamente al condizionamento gregario, per adottare
spontaneamente un comportamento sano, aperto, di fronte a coloro
che restano i loro simili. E sono loro molto
riconoscente.
4
Coloro che non sanno di
essere illuminati.
Non c’è atto giusto possibile finché una coscienza è lì a registrarlo.
L’atto giusto non si conosce; non può essere conosciuto,
né da chi sembra compierlo né da altri. L’atto giusto non rientra nel quadro di un programma, di una cultura, di una
tradizione, di un’attesa, di un ruolo; è libero dal conosciuto, dall’acquisito,
da ogni conoscenza materiale o spirituale. Un comportamento “spirituale” che si
riconosce come tale non appartiene a quello slancio di Vita verso Se stessa; si
tratta ancora di un meccanismo, di una proiezione di un cuore e un cervello
ignoranti, agitati, avidi, immaturi, attaccati ad una identità,
che si vuole certa e non è che vapore inconsistente.
Le tradizioni autentiche mirano solo a quello stato dove
tradizioni e insegnamenti non sono necessari. A cosa serve la scala quando si è lanciati verso lo spazio che lo corona per
il gran salto del non ritorno? Le scuole e le guide autentiche si tengono alla
larga dalle categorie umane, per accogliere quelli che sono maturi, pronti a
dare addio a tutta quella agitazione del mondo duale e
della sua ricerca spirituale, addio alle
impressioni, sensazioni, relazioni ed esperienze che si accumulano sulle loro
spalle. Quelli che giungono a questo stato di nostalgia
non possono riconoscersi in nessuna delle tre umanità descritte.
Si possono riconoscere quelle tre umanità come stadi verso
la maturità, verso la felice estinzione di ciò che non è in accordo con la
Vita, con l’istante. Ma quelle tappe diventano ostacoli
quando ci si attacca come se costituissero l’ultima realtà, il nostro
traguardo. La ricerca spirituale conduce a Tutto, a condizione di uscirne. Non
conduce a niente finché ci si resta invischiati. L’ego cerca l’illuminazione;
lui deve sparire.
Non mi è possibile descrivere più nei dettagli, nei
particolari questa quarta umanità, tanto essa sfugge
per semplicità, per povertà, a tutta la ricchezza dell’esperienza e del sapere
umano, al quale questo scritto appartiene ancora. Non posso che suggerire,
indicare, invitare, incitare.
Ancora una parola: non mi è stato dato solo di osservare
attorno a me questo quadro umano, ma l’ho osservato soprattutto in me stesso.
D’altra parte, non ho ancora incontrato nessun essere umano che non abbia in
lui quelle quattro dimensioni, sviluppate in modo diverso secondo l’individuo e
il momento in cui si osserva. Ognuno porta in sé l’uomo comune, il discepolo,
l’autorità e colui che è troppo semplice per essere
descritto, pensato o sperimentato. La questione non è tanto
di sapere a quale umanità apparteniamo,
ma a quale desideriamo consacrare la nostra esistenza.
Quale vita desideriamo davvero?