3ème Millénaire n. 81 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini
La dualità vero/falso non si applica a una cosa. Un sandwich non è né vero né falso, è o non è, è sulla tavola o non c’è. Esiste, oppure non è che un concetto che evoco pensandoci. Attorno a me, nel mio campo di coscienza c’è tutto ciò che posso nominare o ancora ciò che vedo senza cercare di nominarlo.
Non posso
parlare di
vero/falso solamente quando il dubbio appare e una cosa rischia di non essere
che falsa apparenza: “il biglietto che mi ha dato la cameriera forse è falso”.
“Devo fare attenzione. Dall’antiquario c’è un vero Luigi 15°, a meno che non sia una contraffazione abile, che rischierebbe d’ingannare
chi non è abbastanza preparato”.
Il termine
preciso che dovremmo usare in quei casi è “autentico”.
Ciò che è autentico è nella sua apparenza conforme a ciò che è. L’anello
placcato oro non è un anello d’oro autentico, benchè la sua
apparenza possa indurre in errore. Per il resto, è un oggetto come un
altro che ha la
sua realtà.
La dualità vero/falso non si applica solo
agli stati mentali. Se sono molto inquieto, non posso
dire se l’inquietudine è vera o falsa, essa è; essa ha il suo modo,
evidentemente non come il sandwich, ma come uno stato dello spirito. Ora, che
sia fondata è un’altra cosa. Può darsi che mi roda per
niente e che la sola causa della mia inquietudine non sia che un pensiero della
mia mente. La mente ha quella particolarità che può molto facilmente indurre un’emozione senza
alcun rapporto con la mia esperienza. Posso farmi paura, posso
provocarmi vergogna, posso provocarmi un desiderio e nutrirlo con il pensiero.
Una volta che il desiderio e l’emozione occupano il mio campo di coscienza,
essi esistono, sebbene in modo non materiale. Non ha alcun senso dire a un bambino che la sua paura non esiste; esiste nel momento in cui ne fa l’esperienza.
La dualità vero/falso si applica
invece molto bene ai nostri giudizi.
Posso
affermare di aver visto Piero in via Roma ieri, dire
la verità o sbagliarmi. Posso voler mentire a questo proposito, perché ne ho un
interesse. I giudizi che trovo su un giornale possono essere molto pertinenti,
come sbagliati. Posso giudicare che Melania e Andrea non mi raccontano che
bugie o che mi dicono la verità. E’ banale, abbiamo una propensione a giudicare
a destra e a manca, anche sui soggetti di cui non ci intendiamo
per niente o dove siamo mal informati. Ciò che chiamiamo
verità è per la maggior parte una collezione di giudizi aleatori derivati dall’apparenza.
Invece accordiamo poca attenzione all’osservazione
diretta a contatto con i fatti. Perciò la verità di un giudizio non ha senso
che in quella relazione. Una proposizione è vera quando
corrisponde a uno stato di fatto, è falsa quando enuncia una proprietà che non
è osservabile. Posso dire che ci sono cinque cavalli in piazza tal dei tali
nella tale città. Bisognerebbe
verificare, forse mi sbaglio. Gli scolastici parlavano in quel senso di
adeguare la cosa all’intelletto, adeguando le cose stesse alla mente che giudica.
Da lì una
definizione della verità strettamente dipendente dalla logica della dualità: la
verità è la qualità di una proposizione che fa un’affermazione il cui contenuto
corrisponde alla realtà. Ci sono cinque cavalli e non otto. E’ vero. Ma perché ragionare in un sistema con due valori vero/falso?
La verità è racchiusa nella logica?
Il mentale
ordinario funziona nella dualità, è nel pensiero duale che è più a suo agio. La
mente riesce molto bene in tutte le forme di dualità ed è così che prende
posizione nella polemica, che si basa sul paradigma torto/ragione. Possiamo
notare che le persone che amano discutere su tutto, funzionano in questo modo.
Con quello schema, si è sicuri di trovare qualcuno che non sarà d’accordo, che
sosterrà una parte se sostenete l’altra e viceversa.
La logica
della dualità mette ciò che si chiama il principio d’identità, A=A. Questo,
ridotto a una formulazione breve, dà una tautologia
come: “la pioggia è la pioggia!”. Il principio d’identità impone al discorso
una costanza nel linguaggio. Dobbiamo restare coscienti del senso col quale
prendiamo le parole e non cambiare strada facendo.
La logica
della dualità ammette anche il principio di contraddizione, A-nonA. Non ho il
diritto di dire una cosa e il suo contrario,
simultaneamente e con lo stesso rapporto: salgo le scale e le discendo, ma non
nello stesso tempo. L’accusato dice che la sera del delitto era al Casino, e
dice anche che era, quella sera, al club del golf. E’ uno o l’altro, ma non
entrambi. C’è contraddizione.
La logica
della dualità ammette infine
il principio del terzo escluso, che dice che una proposizione non
può ricevere che due valori, vero o falso e che non c’è una terza possibilità
A=V oppure A=F. Questo ci induce a ragionare con il paradigma “o…o” (le cose sono
indispensabili o non servono a niente,
hanno ragione i darwiniani o i creazionisti) e così via.
I logici si
sono resi conto dei limiti del pensiero duale. Esiste un’infinità di
proposizioni che non si può nemmeno qualificare come vero/falso: non fossero
quelle che implicano una predizione nel tempo: “Il tale vincerà alle elezioni
di lunedì”, non è vero ma non è nemmeno falso. E’ possibile, è probabile. Certe proposizioni escono dalla
possibilità e diventano assurde o indecifrabili. Basta invertire le parole in
una frase per andare nell’assurdo: “i bambini sono
andati a giocare a pallone sul prato”,
ha senso; “i bambini sono andati a giocare a prato sul pallone”, è assurdo.
Nel nuovo
paradigma della conoscenza che sta emergendo, ci siamo resi conto che il
principio del terzo escluso può essere rifiutato. Il cambiamento è
considerevole. Il principio del terzo escluso ha l’inconveniente di porre la
mente in un modo di ragionare semplicistico e manicheo, da cui il modello torto/ragione.
Merita di essere rifiutato perché non ammette sfumature. Chi ha, anche solo un
po’, il senso della complessità della vita, rifiuterà un principio così
riduttivo. E’ sciocco cercare campi in materia di verità, con dei per/contro, ragione/torto, bene/male, ecc., quando è
molto più essenziale trovare delle interazioni in un sistema globale nelle cose
stesse.
Un essere
umano porta in sé tutte le virtualità. Nessuno è tutto bianco o nero e la vita è fatta di sfumature infinite e di una complessità senza
fine. Bisogna rifiutare le alternative brutali, perché
operano sempre una mutilazione nella realtà. La meccanica
quantica ha mostrato i limiti del principio del terzo escluso ammettendo che un
fenomeno poteva sicuramente apparirci, in esperienze differenti, sotto aspetti
opposti.
E' il
celebre caso del dibattito sulla natura della luce nell'alternativa
onde/particelle. In certe esperienze, la luce si manifesta come se avesse una
struttura particolare, in altre sembra manifestare la natura di un’onda. Come
se si prendesse gioco di noi rifiutandosi di entrare nel
quadro dei nostri concetti. Rifiutando il terzo escluso, il fisico
rigetta il : “o…o”, e ammette:”a volte questo…a volte
quello”, che è una formulazione che è una logica più comprensiva.
Dopo Séphane Lupasco, si dice oggi che la logica della
complessità deve appoggiarsi sul terzo incluso. La portata del terzo incluso è
immensa, perché ci invita a riconoscere la presenza
del paradosso nel cuore del reale, pur rifiutando le semplificazioni. E’ un invito
a pensare in maniera globale, o meglio ad approciare
intuitivamente l’unità di ciò che è, poiché giustamente il terzo escluso
condiziona in modo rigido il pensiero duale.
Eccoci. L’unità di ciò che è. La verità ha una portata ontologica.
Essa è la via dell’Essere perché dice ciò che è. In Sanscrito la parola usata è
satya. In satya c’è sat, l’Essere. Le Upanishad
dicono: “solo la verità trionfa”. E’ nella verità che
l’Essere è espresso così com’è e non altrimenti. A chi vive nella verità,
l’Essere dà il suo aiuto.
Il
mentitore, per definizione, dice ciò che non è. Perciò
introduce il niente.
E’ il senso
letterale in sanscrito del termine maya, l’illusione, che non è. Tutto
ciò che si fonda sull’illusione non ha alcuna realtà. La vita nell’illusione è
una lotta e pensare che la vita è una lotta è appunto il segno che è vissuta nell’illusione. Chi è il mentitore? Non questo o
quello. Né questa o quella organizzazione.
E’ la mente
che mente quando, rifiutando ciò che è o suggerendo
ciò che dovrebbe essere, costruisce rappresentazioni mentali che mette al posto
di ciò che è. La massima abilità della mente è arrivare a nascondere, giungendo
a darci un’immagine costruita al posto dello stesso reale.
La mente vive proiettando il tempo
psicologico, reificando il passato e idolatrando il futuro.
La mente fa
dei piani e le sue carte sono così seducenti che non si vede più il territorio.
A volte passiamo la vita nella foresta della
mente, per entrare un giorno, stupiti e sorpresi dal fascino dei nostri sensi,
nella chiarezza dell’essere scoprendo che le cose non sono quelle che crediamo
che possano essere.
La mente non sopporta il
presente, perché è nel presente che ciò che è si offre, appare e risplende.
L’Essere si
fa presente nel presente e l’unico modo per accoglierlo è di abitarlo in piena
verità.
La mente sa
che deve sparire, perché la manifestazione dell’Essere coincide con il
Semplice: “là dove io sono qui ed ora”.
Nella mia
umanità naturale, la semplicità di ciò che sono senza
infingimenti, senza grandiosità, senza personaggi né immagini. Nella mia semplicità d’essere umano dove vengono a confluire e
fondersi insieme un’intelligenza infinita e un’incarnazione limitata. E questo fa di ognuno un essere unico e prodigioso.
La mente ha
paura di non pensare più e di non esistere e perciò preferisce le menzogne più brillanti alle verità più semplici.
Jean Klein
diceva che l’impronta del reale stava sempre in ciò che era inatteso e nuovo.
Ciò che è
preparato dall’intelletto ha poca possibilità di essere
vero, è una riconfigurazione del conosciuto.
La Verità
non rientra in nessuna delle rappresentazioni dell’intelletto.
In questo
senso ogni costruzione mentale deve rivelarsi insufficiente ed essere scartata.
E’ il solo
modo di avanzare verso l’indicibile, non pretendendo di rinchiudere la verità
in un sistema. La verità più splendente non si lascia scegliere, ma guida i
nostri passi.