Jacques Castermane
La vita in atto
3ème Millénaire n.93 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini
3Ml: In un cammino di conoscenza di sé ci si
trova confrontati rapidamente con la questione dell’io, del me. In altri
termini, chi agisce? Come vivere il modo in cui l’io può avere forme multiple in un cammino a finalità spirituale?
J.C. Ognuno di noi si identifica a quel livello
d’essere che riassume nella parola me, senza dubitare che ci possa essere
un’altra parte di sé, un altro livello d’essere, cui avere accesso. Credo che
sia ciò che mi ha toccato nell’incontro con K.G.Durkheim. Egli parla del me esistenziale e di un
altro livello d’essere che chiama Essere Essenziale. Preferisco Natura
Essenziale.
Un’azione
ordinaria, della vita quotidiana, l’azione di un artigiano o di un artista, può
radicarsi nel me ordinario, ma può anche radicarsi a un livello più profondo, la nostra essenza. La questione allora è sapere se
esiste un metodo permanente di scoprire quest’altro livello e rimanerci. Durkheim ci propone degli esercizi che permettono il
passaggio da un livello all’altro. Io ho avuto la fortuna di praticare l’aikido, il tiro con l’arco e la cerimonia del tè. Questi
sono cammini di scoperta e di conoscenza di sé.
Partecipando
ad una settimana di pratica intensiva di meditazione senza oggetto, diretta da
un maestro Zen giapponese, avevamo un colloquio quotidiano con lui. Avevo molte
domande da porgli. Ma ecco che lui mi fece una
domanda: “Quando respiri, chi è che respira?”
Ho
trovato questo così ridicolo e superficiale in confronto alle domande su di me,
che alzando le spalle gli risposi: “ma, quando
respiro, sono io che respiro.”
Fu
preso d un folle riso che mi meravigliò, ma poi il suo viso cambiò e con uno
sguardo severo mi disse: “Se sei tu che respiri, smetti di respirare!”
Fu
uno shock decisivo per l’intera mia vita. Facevo l’esperienza che c’è una realtà in me che partecipa all’impossibile, un livello
d’essere dove il me non può fare niente.
E che quell’impossibile è l’origine stessa della mia vita, della mia esistenza. Siamo condizionati a
cercare l’Essenza in una trascendenza, a cercare l’origine all’esterno. E là per me è stata la scoperta dell’essenza immanente.
Questo mi ha
immerso in una quiete interiore, in una serenità di cui non avevo ancora fatto
l’esperienza. Quando vivete nella pienezza
dell’essere, non si pone più la questione del senso della vita, perché ciò che
sentite dà un senso. Avevo l’impressione di non aver più rapporto col passato e coll’avvenire. Non c’era che il presente. E questo elimina i rimpianti e le preoccupazioni!
3M. La comprensione fu immediata. Quella
conoscenza subitanea è liberatrice, all’istante. Ma il
corso della vita quotidiana riprende e si cominciano a sperimentare i due
mondi: quello della personalità con i contorcimenti, le paure, i desideri e il
mondo della Natura Essenziale. La coabitazione in noi di quei due mondi genera
sofferenza, che è al livello della personalità poiché è da lì che vengono i giudizi su
di sé, le ferite che ci si infliggono. Per esempio ci si dice: “ Per arrivarci
occorre una disciplina di meditazione”, ma scopro che non ne sono capace!… Che
fare di questa confusione?
J.C. La personalità è il me psicologico cui siamo identificati. Al momento della
nascita viviamo in un me naturale, il nuovo nato è un essere della natura. Fino
a quella seconda nascita, la nascita della coscienza
di essere un me che è, al tempo stesso la coscienza del mondo degli oggetti.
Sorge allora una sofferenza che l’animale non conosce. Sofferenza di una
mancanza, di non essere più quello che si è stati, nostalgia che in fondo si è,
ma che si ignora.
Quando si soffre, si cerca di guarire
da quella sofferenza. Dopo Freud è soprattutto verso
la psicanalisi e la psicoterapia che la persona che soffre si orienta. Oggi si
propongono molte varianti terapeutiche, che tutte si propongono lo stesso
scopo: guarire il me che soffre.
Ma ciò che mi ha sconvolto,
diventando discepolo di Durkheim, è la scoperta di un
lavoro su di sé che ha per scopo la guarigione dal sé! E’ QUELLO CHE FA LA
DIFFERENZA TRA LE VIE PRAGMATICHE E LA VIA SPIRITUALE.
Fin
tanto che tenteremo di guarire il me, saremo sconfitti. Ci saranno sicuramente
momenti di benessere, che alterneremo a momenti duri, perché quel livello
d’essere, il me è quello dei contrari,
dell’opposizione, della dualità.
Le
terapie pragmatiche ritengono la guarigione uno stato contrario allo stato di malattia. Ma può esserci
un’enorme onda che porta via tutto: un dramma familiare, la diagnosi di una
grave malattia, la morte di una persona cara. Si può guarire da questa
sofferenza cercando il contrario di…? Come dice un maestro zen, non si può
calmare un oceano battendo le onde con dei rami. Ma basta stare sotto livello
delle onde per fare l’esperienza di un gran silenzio e di una grande calma.
A
lato delle terapie pragmatiche, che fanno del loro meglio per guarire il me,
oggi si fa largo una terapia che ha per scopo guarire dal me, perché il me cui sono identificato è la causa prima della sofferenza.
La
nostra via spirituale si colloca ad un altro livello d’essere: la nostra natura
essenziale velata dal me mondano. La guarigione dal me
lascia il posto allo stato di salute fondamentale di ogni
essere umano: la pace interiore, la serenità, la calma, qualità che mancano
all’uomo contemporaneo.
Avete
ragione, non dura. Sento questo tutti i giorni. Ma niente dura. Il sole stesso è a metà della sua esistenza. Il cammino spirituale
non è lineare. Se penso che cominci da A e arrivato a
B sia finito, sono nell’illusione. Vedo piuttosto il cammino spirituale come
una circonferenza. Bisogna senza posa ritornare a quella guarigione dal me. Da
qui la necessità di un esercizio quotidiano. Non ci sarà mai un cambiamento
definitivo, ma posso sempre, un po’ più in fretta, riprendermi e uscire dalle
illusioni del me.
3M: Quel lavoro
quotidiano nutre un richiamo in noi, una vibrazione che si può sentire…
Tutti
noi abbiamo la nostalgia di quell’altro livello
d’essere, la nostra natura essenziale. La via dell’azione, tracciata da Durckheim al suo ritorno dal Giappone, è un lavoro di desegoconcentrazione: staccarsi da quel processo chiuso nel
concetto me.
E’ un lavoro di riconoscimento
del me –io voglio (cos’è che io voglio? Ciò che non è) .
E’
un lavoro di riconoscimento del me –io non voglio (Cos’è che rifiuto? Ciò che
è)
Mille
volte al giorno il me giudica. Questo va bene per me,
questo no.
Non
posso fare niente per giungere quell’altra realtà che
è la mia essenza. Quello che posso fare è liberarmi da ciò che vela questa
realtà. La via spirituale è un lavoro sull’ego per liberarci dall’ignoranza di
ciò che non manca, la nostra essenza.
3M:
Ricordate un lavoro quotidiano. Il lavoro a cui invitate, secondo la vostra
esperienza, è quello della seduta. Quando ci si siede, o ci si trova in un
momento di calma, la prima cosa che appare è me. Si realizza
che i ribollimenti interiori appaiono alla coscienza. Che
fare di quel momento?
Questa
domanda richiede di chiarire cos’è la pratica meditativa. Su quella via
spirituale che è lo zen, la pratica della seduta è un esercizio fisico. Il tiro
con l’arco, l’arte della spada sono esercizi fisici. L’esperienza dell’essere è
una esperienza fisica. La cosa più importante per un
occidentale è scoprire una dimensione del corpo cui in occidente non abbiamo accesso.
Durckheim ci aiuta facendo la
distinzione tra il corpo che l’uomo ha e il corpo che l’uomo è. Per noi il
corpo è un oggetto di funzionamento, come un automobile.
Lo esercito con esercizi fisici il cui scopo è di
essere in forma. Chi pratica la meditazione scopre che il corpo non è qualcosa.
Il
corpo è azione. Osservate una persona che ha espirato. Il corpo è ben visibile,
tutto è ancora lì, tranne l’azione. Se la persona che
ha appena espirato potesse manifestarsi ancora con un battito di ciglia, se il
suo petto potesse testimoniarsi sollevandosi che respira. Ma no, non c’è il minimo gesto, la minima azione. Il corpo è azione, perché ciò
che si chiama la vita, l’essere, è azione.
Finché
l’uomo vive, possiamo distinguere due livelli
d’azione: le azioni fatte dal me e quelle che vengono dagli effetti naturali
dell’essere. Ho imparato a fare molte cose col mio corpo: nuotare, correre,
saltare, ecc. Queste sono azioni fatte dal me. Ma quando nella meditazione
porto l’attenzione al va e vieni della respirazione,
osservo un’azione dell’essere. Questa, che è un effetto naturale dell’essere in
potenza e in atto, non può essere fatta dal me.
La
piena coscienza del respiro apre la porta alla calma interiore, qualità
d’essere che è già presente nel più profondo dell’essere ma che spesso ignoro perché sono chiuso in quell’altro
livello d’essere che è il me inquieto e agitato.
Facendo
regolarmente l’esercizio della meditazione, rinnovo l’esperienza della calma,
sintomo dello stato di salute fondamentale dell’essere
umano.
3M: In occidente
l’intelletto è messo su un piedistallo. Il distacco col corpo che si è risulta molto netto, come se si portasse la testa alla fine
del braccio, tagliato dalla sensibilità. Proponete un ritorno ad un’attenzione
corporea senza che questa attenzione sia volontaria
(quindi vuota da ogni attenzione dell’ego). Questa attenzione è un nutrimento
per il corpo e per l’anima, un po’ come sentire che quando si ha sete, bere fa
bene…
J.C. Si, l’uomo contemporaneo ha sete di senso.
Cerca il senso all’esterno, in un mondo che sarebbe
diverso, in una società che sarebbe meglio organizzata, con un’altra politica.
Risultato, si annega nel non senso che gli propone il mondo esterno. Però, se guarda nel profondo di sé, troverà in sé il senso.
Se l’intelletto e i suoi prodotti
potessero dare il senso, si saprebbe. Consacrare un momento della giornata ad
un esercizio che permetta il passaggio dal pensare al
sentire, è un dono che ognuno si può offrire. E ciò non vuol dire che il pensiero sia un nemico da abbattere.
3M: In effetti, si
trova spesso l’idea che il pensiero sia il nemico. Forse questo deriva da una
confusione tra diversi livelli di pensiero?
J.C.: C’è il pensiero autonomo, l’attività mentale ordinaria, spesso inutile perché
non è in relazione con il momento presente. Sono i pensieri che mi fanno
correre nel passato o nel futuro. Questa è una malattia della mente umana.
La
pratica meditativa, l’attenzione alla sensazione vi libera da questa attività mentale incessante.
Tchouang Tseu dice: “Se pensi non percepisci, se percepisci non
pensi”. La semplice attenzione al va e vieni del
respiro, che si percepisce con la sensazione vi libera istantaneamente da
questa malattia mentale. E’ un momento di guarigione.