Andrew Cohen
Il risveglio impersonale
3ème Millénarie n.
42 – Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini, prima parte
Renata de Veste della
rivista 3ème Millénaire intervista A. Cohen.
Dopo aver insegnato il risveglio nella prospettiva dell’Advaita Vedanta, Andrew Cohen mette
ora l’accento su ciò che lo preoccupa molto, la condizione del nostro mondo.
Considerando infatti
che il rischio di devianza egocentrica, legato alla ricerca della liberazione
personale, è troppo grande e che “il messaggio dell’Advaita Vedanta non è più
capace di rispondere ai veri bisogni della maggior parte dei ricercatori”,
preferisce indirizzare quelli che aspirano a questa ricerca verso altri
istruttori, per centrarsi su ciò che a lui sembra essenziale: “fare discendere
il cielo sulla terra”, che intende non come l’edenizzazione del mondo
abitualmente legato alla liberazione personale, ma come la necessità di
preoccuparsi dell’interesse generale, insegnando ciò che chiama il “Risveglio
impersonale”.
Abbiamo cercato qui di chiarire questo punto,
perché questa interpretazione può turbare i
ricercatori che, vicini alle differenti tradizioni spirituali, comprendono
questa nozione di “Risveglio impersonale” come la liberazione dei limiti della
persona per realizzare la propria identità con l’Uno, realizzazione
nel corso della quale si ha necessariamente la sparizione dell’illusione,
dell’alterità e, di conseguenza, di ogni necessità di azione sul mondo.
D: siamo assolutamente d’accordo con ciò
che chiamate “la passione per la morte” e aderiamo totalmente a ciò che dite della morte a se stessi, dell’annientamento, cioè la
via dell’estinzione, della liberazione. Ma ci sembra
che ci sia un altro versante. Quando l’ego, l’individualità, è completamente scomparsa, immediatamente nasce una sensazione di “Io sono”
straordinariamente potente, che non ha niente a che vedere con l’individualità,
è come una resurrezione che si può chiamare il “Sé”. Ora, voi non ne parlate
mai nei vostri libri o nelle interviste. Potreste dirci quale posto ha questa
sensazione di “Io sono” nella vostra esperienza?
A. Choen: Ho constatato,
negli anni in cui ho insegnato, che l’ego poteva rifugiarsi in tutto, anche
nella sensazione “Io sono”. Così, per aiutare i ricercatori a distruggere tutti
gli aspetti del me, li incoraggio a vedere che cosa significa non avere alcuna
nozione di sé, compresa la nozione “Io sono”. Li incoraggio a scoprire il posto
dove non c’è niente a cui potersi aggrappare e niente con cui ci si possa
identificare come me stesso. Allora, si vede ciò che succede ed è ciò che si
chiama stato di purezza.
D: Quando parliamo della sensazione di “Io” non c’è nessuna caratteristica, non sono più questo o
quello, non c’è nient’altro che “Sono solo”, “Sono tutto” o “Sono Dio”. Certo,
questo è pericoloso, perché, se l’ego si appropria di
questo, si tratta di una tremenda confusione, che produce un’inflazione
dell’ego.
R: I ricercatori centrati sul Sé non sono
certo tutti egocentrici, ma succede molto spesso e più spesso che quelli che
non lo sono. E non si tratta solo di un punto di vista
pedagogico. E’ più di questo. D’altronde, sembra che abbiate una posizione
molto salda nell’Advaita Vedanta
D: Ma, tutti hanno delle opinioni, anche
voi. Finché siamo degli esseri umani nel piano
manifesto, abbiamo delle opinioni; ma quando si tratta del Reale, bisogna
abbandonare ogni idea, bisogna trascendere la mente, perché coscienza e
pensiero sono incompatibili. Siete d’accordo?
R: No, non sono
d’accordo: coscienza e mente non sono incompatibili.
D: Però, il sorgere della coscienza
di sé non può mai essere il prodotto del pensiero.
R: Certamente, ma la mente
non è necessariamente un ostacolo all’esperienza della coscienza. Questo è un punto molto
importante, perché molti ricercatori, per avere un’esperienza del me, fanno
grossi sforzi per provare a sbarazzarsi della mente. Ma
si può fare in modo diverso, provando ad accettare le cose come sono, senza
tentare di cambiare niente, rinunciando all’idea che ci sia qualcosa di male o
che manchi qualcosa. Allora, in modo molto naturale, la nostra percezione
comincia ad approfondirsi.
D: Questo corrisponde al vostro consiglio
tante volte ripetuto: “lasciate le cose come sono”. Ma in questo caso, perché vi preoccupate dell’evoluzione,
dicendo che il risveglio è il compimento dell’evoluzione dell’umanità?
R: Non comprendiamo questo termine nello
stesso modo, non sta sullo stesso piano. Quello che chiamo risveglio
personale, la liberazione dell’individuo, questo abbandono fondamentale, deve
accadere. Quando parlo di “lasciare le cose come sono”,
parlo dell’abbandono assoluto. Questo porta ad una esperienza
di liberazione personale, di compimento, di pace, ecc… Ma quando parlo
d’evoluzione, parlo di una realizzazione difficile, di qualcosa che succede
quando non si è più preoccupati della liberazione personale, della propria
condizione, della propria esperienza.
D: La liberazione personale non è possibile
che a partire dal momento in cui si
diventa totalmente indifferenti alla propria persona. Nel caso
contrario, questo non è possibile; non c’è più la persona, l’io infinito non è più personale nella liberazione.
R: Sono d’accordo, ma voglio parlare di
quello che chiamo risveglio impersonale. La differenza è che la nostra
coscienza fondamentale, primordiale, non è quella delle nostre condizioni o della
nostra esperienza personale. Quando si sperimenta questa coscienza
fondamentale, la nostra coscienza viene assorbita da
quella che si potrebbe chiamare la vita in quanto tutto, perché, quando si
abbandona la preoccupazione di sé, che può essere anche nella ricerca del
risveglio, si trova un interesse spontaneo e naturale per il tutto. Si diventa
allora coscienti di un impulso non egocentrico, che ci porta a partecipare e ad
agire in modo che la realtà di Dio si manifesti sulla terra, non per nostro beneficio
personale, ma perché a questo si deve arrivare. Davanti a ciò, si è passivi,
non si può fare niente, si è senza aiuto. E in questa
schiavitù, si trova la liberazione personale; ma senza questo tipo di approccio, la propria liberazione non è più l’oggetto
centrale.
L’idea è di non essere
più lì, perché qualcosa di più grande, possa accadere, manifestarsi.
Allora la nostra liberazione personale diventa un necessità
perché possa compiersi questo bene più grande. La nostra condizione è stata
purificata a un punto tale, che non ci sono più
motivazioni egocentriche. Si diventa allora un veicolo puro per la
manifestazione di questo bene più grande, in questo mondo miserabile.
D: E’ proprio la purezza assoluta, perché al posto della
ricerca della liberazione personale, si mette un altro obbiettivo:
il benessere generale, che è ancora un interesse. Ora, la purezza c’è quando
non c’è più interesse per niente, anche per il risveglio personale.
R: E’ molto difficile parlare di una cosa
così sottile e delicata. L’esperienza dell’estinzione totale di cui parlate,
nell’individuo è il fondamento per il risveglio spirituale.
D: Ma secondo voi, è possibile che ciò che
chiamate risveglio impersonale possa aggiungere
qualsiasi cosa al Sé, all’assoluto?
R: L’assoluto è insieme ciò che è manifesto
e ciò che non lo è. Ma, da un ceto punto di vista, si
dice che ciò che non è manifesto è l’Assoluto. Così, nel risveglio impersonale,
manifestiamo la realtà di ciò che non è manifesto, di ciò che è non-dualità nel
mondo della molteplicità. A questo proposito, è molto importante aprirsi a ciò
che non si comprende, perché il rischio è il fare una cattiva interpretazione.
Da molto tempo provo a fare certe distinzioni in queste zone di sottigliezze.
Per comprendere davvero il risveglio impersonale, dobbiamo tentar di vedere le
cose in modo da trascendere il fatto di ottenere qualcosa per noi stessi, compresa la nostra libertà, che viene trascesa
anch’essa.In quel momento, si scopre
qualcosa che non viene dalla mente, la forza creativa che letteralmente
esplode. Il suo desiderio è la manifestazione di se stessa, che è non-dualità,
non-separazione, amore perfetto e un solo Sé. Non c’è un perché ed è
semplicemente questo. Così, la scoperta del risveglio impersonale è l’abbandono
incondizionato a questa scoperta. In quel momento, si può sentire e conoscere
direttamente che la non-separazione, la pienezza, senza motivazione personale,
l’amore non egocentrico perfetto, può manifestarsi qui su questa terra, in quanto essere umano ed anche in quanto civiltà. Si tratta
letteralmente di fare scendere il cielo sulla terra.
Ma questo non succede quasi mai, perché è
molto difficile per l’individuo scomparire fino a questo punto. E anche per i
ricercatori spirituali è molto difficile che arrivino a lasciare l’attaccamento
alla loro propria liberazione, affinché qualcosa di
più grande possa accadere. Una delle ragioni per le quali le persone
s’impegnano in un cammino spirituale è il turbamento
che provano per i conflitti che vedono, dal di fuori, nel mondo. Si tratta di
arrivare ad essere il contrario di tutto ciò che non va in questo mondo. E ciò ha molto senso, perché il mondo ne ha un gran bisogno.
D: Eppure, si può benissimo sperimentare
che il mondo così com’è senza alcun cambiamento, è un paradiso. Se si crede che il mondo è brutto e cattivo, siamo noi ad essere
chiusi nel nostro ego. Se ci si libera, siamo
nel giardino dell’Eden.
R: Ho conosciuto questa
esperienza, ma parlo di qualcosa
di diverso.
D: Però voi parlate di qualcosa che
deve migliorare, su questa terra, nel tempo.
R: Si, infatti, perché mi
preoccupo molto della condizione del nostro mondo. Questa è la differenza..
D: Peraltro voi dite: “noi
siamo quello che facciamo”. Non si può negare che ci muoviamo in modo meccanico
nei nostri atti, ci sembra dunque di non essere nei nostri atti, ma nella
coscienza che ne abbiamo. Non siamo
ciò che facciamo o sentiamo o pensiamo. E la
forza cosmica che agisce attraverso di noi; siamo dei robot, tranne se
diventiamo coscienti di ciò che succede attraverso di noi.
R: Il nostro grado di coscienza è ciò che
noi siamo. Se siamo pienamente coscienti, ciò che
facciamo esprime questa profondità di coscienza. Un individuo può dire: “Sono
il Sé”, e solo questo individuo può dirlo, perché
qualcun’altro che non è così cosciente, non è in diritto di esprimersi così.
Con l’attenzione, si può riconoscere il grado di coscienza con il quale agiamo, il nostro grado d’egocentrismo, di
impurità. E’ il punto ultimo, dove non c’è più contraddizione tra il solo Sé e
l’esperienza dell’individuo che l’ha realizzato. E’ quella che chiamo la non- dualità. Quando c’è
contraddizione tra la motivazione della personalità e la realizzazione della
non-dualità, c’è separazione, dualità. E il grado di dualità comanderà
il grado di egocentrismo e di motivazione impura,
espressi nelle azioni della personalità. Siamo quello
che facciamo, perché le nostre azioni esprimono il grado a cui siamo soggetti
alle domande meccaniche dell’ego.
E così, se si comprende che l’evoluzione della specie umana dipende
dalla purezza della realizzazione della
non-dualità, il grado con cui si manifesta in un individuo sarà il grado con
cui il manifesto si manifesta sulla Terra in quell’individuo.
D: Pensate che questa realizzazione
possa estendersi a tutta l’umanità?
R: No, certo, è una possibilità, ma dipende dal numero di individui coscienti di questa possibilità, e la sua
realizzazione presuppone che siano pronti a sacrificare la loro stessa vita. Ma è così delicato e sottile che quello di cui parlo non potrà
mai succedere in massa, è impossibile! La condizione evoluta della specie umana
non potrebbe sopportalo. Solo un piccolissimo numero
sarà capace di realizzarlo. Infatti, è già così difficile, anche per due
persone civili ed educate, vivere insieme fidandosi
totalmente, che mi sembra impossibile che succeda in massa.
D: Ma non parliamo più di spiritualità, ma
di psicologia o di problemi sciali o relazionali.
R: Stiamo parlando di spiritualità,perché si
tratta di sperimentare la non-dualità sul piano manifesto. La manifestazione
sul piano umano è la fiducia. Nell’esperienza della perfetta fiducia, non
c’è più paura, non c’è più dubbio. E’ quello di cui sto parlando:qualcosa
di molto segreto, di cui non s’é quasi mai sentito parlare.