Douglas Harding

Essere spazio di accoglienza

3ème Millénaire  n. 80 – Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini

 

 

D: Invitate il lettore alla visione senza testa, che consiste nel rivolgere la freccia dell’attenzione dall’esterno verso se stessi, verso la propria interiorità. Allora la visione senza testa è la visione con il cuore, che permette di essere in relazione con un’altra persona senza che ci siano interferenze della persona condizionata.

D.H.: Quando sono con qualcuno, sono spazio d’accoglienza per quella persona. E’ impossibile essere faccia a faccia con qualcuno perché c’è sempre un viso là fuori e uno spazio qui, al centro. Non si può essere faccia a faccia. E’ qualcosa di ridicolmente evidente. Non ho nemmeno bisogno di ricordarmi che guardo il mondo con un unico occhio, o di coltivare questo. Installare due occhi al centro del mio viso e trasformarli in un occhio unico non ha più alcun senso, perché è evidente che osserviamo il mondo con un occhio unico e senza limiti, più vasto del mondo. Si tratta del nostro stato naturale, ordinario, d’essere. Vedere che non c’è viso dalla nostra parte: siamo spazio d’accoglienza per il mondo.

Ogni persona che guida un’auto in mezzo alla campagna non guida un’auto in mezzo alla campagna statica. Non può che vedere alberi, case, pali elettrici, montagne sfilare mentre resta immobile. Vediamo tutto questo mentre vediamo ciò che guardiamo con un unico occhio. E’ il nostro stato naturale, lo facciamo tutti, ma non ci facciamo attenzione. Il mio scopo è di mostrare fino a che punto è semplice e naturale, evidente. Non è un affare di stato, ma un rilassamento in ciò che ci è donato. E’ l’umiltà di fronte all’evidenza. E’ ricevere ciò che ci è donato invece di resistergli, di discutere o di perdersi in pratiche interminabili. Si tratta di abbandonarsi a ciò che ci è donato, come fa  nel villaggio d’Inghilterra quello che si chiama l’idiota del villaggio. Ma con la differenza che dobbiamo farlo in modo intelligente. Chiamo il mio modo di vedere l’idiota sveglio.

 

D: La visione senza testa è la visione senza osservatore a livello dei sensi, delle emozioni, dei pensieri? Ciò che è visto non è colto da un osservatore?

D.H.: No. Nella visione, solo il visto. Nel sentito, solo il sentito. Nel non importa cosa, il non importa cosa. Trovare qualsiasi cosa qui, al centro, sarebbe una tragedia, l’inferno ultimo.

 

D: Questo inferno ultimo  è quello che condividono tutti nella vita quotidiana.

D.H.: La cecità umana di fronte all’evidenza è davvero straordinaria. Per questo un mezzo secolo della mia vita è stato dedicato alla condivisione di quella visione, con più gente possibile.

 

D: Si può sentire un richiamo verso la visione senza testa, che è liberazione dalle manifestazioni dell’ego. Ma si può anche sentire una resistenza a vivere una visione senza testa. Come ancorare quel modo d’essere in noi?

D.H.: C’è attrazione verso la vacuità, ma anche paura della vacuità. Stabilizziamo la visione senza testa lavorandoci continuamente, ritornando a noi. Ogni ritorno a noi, qui, al centro, in quel luogo che non abbiamo mai lasciato, rende il cammino  più facile. Al punto che se vi dedichiamo abbastanza considerazione e pratica, l’ancoraggio avviene. Per certi di noi l’ancoraggio può richiedere molto tempo, per altri è più rapido: siamo tutti diversi, ma se ci si dedica totalmente, viene un momento dove non si ha più bisogno di praticare perché ci si è installati in quella visione. Una nuova abitudine si è creata, ma è una abitudine benefica, incredibilmente preziosa: quella di essere assente. Non si fa l’esperienza che di ciò che è qui, al centro, cioè la vacuità, il vuoto, risvegliato a se stesso. Spazio cosciente, infinito, vuoto, ma sempre pieno, colmo del mondo. Non si può separare l’uno dall’altro: sono serviti insieme e non separatamente. Per esempio, io VEDO chiaramente in questo istante che la vacuità QUI è;  piuttosto che contenere, essa E’ queste forme e questi colori, tutta questa stanza e questi amici. Come si dice nello zen, “la forma è il vuoto e il vuoto è la forma”. Quell’assenza cosciente di sé in quanto assenza è assolutamente inesplicabile e meravigliosa. Quella visione che consiste nel portare la nostra attenzione costantemente nelle due direzioni (contenente e contenuto ) poco a poco s’installa se ci si dedica costantemente.

 

D: Si radica in modo graduale o all’improvviso?

D.H. Ogni volta che arrivate a quel niente, la rottura è totale con le abitudini e la vita quotidiana. E’ come un interruttore elettrico, acceso o spento. E’ improvviso e completo, è la sola cosa che non puoi fare a metà. Farla è farla in modo perfetto. Quel capovolgimento è una meraviglia e una gioia.

 

D; Perché ci sembra difficile?

D.H. Per una ragione semplice. Senza le complicazioni e le difficoltà apparenti, non ci sarebbe nessuna storia. Abbiamo bisogno di una storia, e la storia ha bisogno di buoni e cattivi, di eroi ed eroine. Le storie non sono fatte per essere credute, ma sono fatte per distrarci.

 

D: Una vita di coppia è possibile nella visione senza testa? Come vivere in due?

D.H. Gli esseri umani sono talmente differenti. Come pronunciarmi per gli altri? Per me è una gioia immensa vivere con mia moglie. Facciamo un viaggio meraviglioso. Ma altri hanno bisogni diversi.

In questa relazione si tratta di una pratica costante del “faccia” a “non faccia”, del “faccia” a “spazio”. Sono sposato da tempo e non sono mai stato faccia a faccia con mia moglie. La sua presenza è sempre la mia assenza. E’ così semplice, semplice e bello. In termini più sentimentali, si può dire che questo significa morire per la persona che amate, scomparire senza lasciar traccia di fronte a quella persona. Dare la propria vita per lei. Non si può che essere molto felici in questo.