D: Invitate il lettore alla visione senza testa, che consiste
nel rivolgere la freccia dell’attenzione dall’esterno verso se stessi, verso la
propria interiorità. Allora la visione senza testa è la visione con il cuore, che permette di essere in relazione
con un’altra persona senza che ci siano interferenze della persona
condizionata.
D.H.: Quando sono con qualcuno, sono spazio d’accoglienza per quella
persona. E’ impossibile essere faccia a faccia con
qualcuno perché c’è sempre un viso là fuori e uno spazio qui, al centro. Non si
può essere faccia a faccia. E’ qualcosa di
ridicolmente evidente. Non ho nemmeno bisogno di ricordarmi che guardo il mondo
con un unico occhio, o di coltivare questo. Installare due occhi al centro del
mio viso e trasformarli in un occhio unico non ha più alcun senso, perché è
evidente che osserviamo il mondo con un occhio unico e senza limiti, più vasto
del mondo. Si tratta del nostro stato naturale, ordinario, d’essere. Vedere che
non c’è viso dalla nostra parte: siamo spazio
d’accoglienza per il mondo.
Ogni persona che guida un’auto in mezzo alla campagna non
guida un’auto in mezzo alla campagna statica. Non può che vedere alberi, case, pali elettrici, montagne sfilare
mentre resta immobile. Vediamo tutto questo mentre
vediamo ciò che guardiamo con un unico occhio. E’ il nostro stato naturale, lo
facciamo tutti, ma non ci facciamo attenzione. Il mio
scopo è di mostrare fino a che punto è semplice e naturale, evidente. Non è un
affare di stato, ma un rilassamento in ciò che ci è
donato. E’ l’umiltà di fronte all’evidenza. E’ ricevere ciò che ci è donato invece di resistergli, di discutere o di perdersi
in pratiche interminabili. Si tratta di abbandonarsi a ciò che ci è donato, come fa
nel villaggio d’Inghilterra quello che si chiama l’idiota del villaggio.
Ma con la differenza che dobbiamo farlo in modo intelligente.
Chiamo il mio modo di vedere l’idiota sveglio.
D: La visione senza testa è la visione senza
osservatore a livello dei sensi, delle emozioni, dei pensieri? Ciò che è visto
non è colto da un osservatore?
D.H.: No. Nella visione, solo il visto. Nel sentito, solo il sentito. Nel non importa cosa, il non
importa cosa. Trovare qualsiasi cosa qui, al centro, sarebbe una
tragedia, l’inferno ultimo.
D: Questo inferno ultimo è quello che condividono tutti nella vita
quotidiana.
D.H.: La cecità umana di fronte all’evidenza è davvero straordinaria. Per
questo un mezzo secolo della mia vita è stato dedicato alla condivisione di
quella visione, con più gente possibile.
D: Si può sentire un richiamo verso la visione senza testa, che è
liberazione dalle manifestazioni dell’ego. Ma si può
anche sentire una resistenza a vivere una visione senza testa. Come ancorare
quel modo d’essere in noi?
D.H.: C’è attrazione verso la vacuità, ma anche paura della vacuità.
Stabilizziamo la visione senza testa lavorandoci continuamente, ritornando a
noi. Ogni ritorno a noi, qui, al centro, in quel luogo che non abbiamo mai
lasciato, rende il cammino
più facile. Al punto che se vi dedichiamo
abbastanza considerazione e pratica, l’ancoraggio avviene. Per certi di noi
l’ancoraggio può richiedere molto tempo, per altri è più rapido: siamo tutti
diversi, ma se ci si dedica totalmente, viene un momento dove non si ha più
bisogno di praticare perché ci si è installati in quella visione. Una nuova
abitudine si è creata, ma è una abitudine benefica,
incredibilmente preziosa: quella di essere assente. Non si fa l’esperienza che
di ciò che è qui, al centro, cioè la vacuità, il
vuoto, risvegliato a se stesso. Spazio cosciente, infinito, vuoto, ma sempre
pieno, colmo del mondo. Non si può separare l’uno
dall’altro: sono serviti insieme e non separatamente. Per esempio, io VEDO
chiaramente in questo istante che la vacuità QUI
è; piuttosto che contenere, essa E’
queste forme e questi colori, tutta questa stanza e questi amici. Come si dice
nello zen, “la forma è il vuoto e il vuoto è la
forma”. Quell’assenza cosciente di sé in quanto assenza è assolutamente
inesplicabile e meravigliosa. Quella visione che consiste nel portare la
nostra attenzione costantemente nelle due direzioni (contenente e contenuto )
poco a poco s’installa se ci si dedica costantemente.
D: Si radica in modo graduale o all’improvviso?
D.H. Ogni volta che arrivate a quel niente, la rottura è totale con le
abitudini e la vita quotidiana. E’ come un interruttore elettrico, acceso o
spento. E’ improvviso e completo, è la sola cosa che non puoi fare a metà.
Farla è farla in modo perfetto. Quel capovolgimento è
una meraviglia e una gioia.
D; Perché ci sembra difficile?
D.H. Per una ragione semplice. Senza le complicazioni e le difficoltà
apparenti, non ci sarebbe nessuna storia. Abbiamo bisogno di una storia, e la
storia ha bisogno di buoni e cattivi, di eroi ed
eroine. Le storie non sono fatte per essere credute, ma sono fatte
per distrarci.
D: Una vita di coppia è possibile nella visione senza testa? Come vivere
in due?
D.H. Gli esseri umani sono talmente differenti. Come pronunciarmi per gli
altri? Per me è una gioia immensa vivere con mia moglie. Facciamo un viaggio
meraviglioso. Ma altri hanno bisogni diversi.
In questa relazione si tratta di una pratica costante del “faccia” a “non
faccia”, del “faccia” a “spazio”. Sono sposato da
tempo e non sono mai stato faccia a faccia con mia
moglie. La sua presenza è sempre la mia assenza. E’ così semplice, semplice e bello. In termini più sentimentali, si può dire
che questo significa morire per la persona che amate, scomparire senza lasciar
traccia di fronte a quella persona. Dare la propria vita per lei. Non si può
che essere molto felici in questo.