Il paradigma tripartito corpo
-anima- spirito
3ème Millénaire n. 85 – Traduzione
della dr.ssa Luciana Scalabrini
Ci occorre parlare di due
paradigmi antropologici fondamentali, di cui è imperativo che ognuno conosca
l’esistenza. L’uno non autentica la presenza, nel mondo e nell’uomo, che di due
ordini di realtà solamente. E’ il paradigma duale, quello scelto dall’Occidente
moderno. Sta inondando il pianeta ed è un dramma enorme. L’altro riconosce
l’esistenza di tre componenti irriducibili, il corpo,
l’anima e lo spirito. Questo paradigma è da noi infinitamente meno ben
conosciuto. Fu quello del platonismo e neoplatonismo, quello di Platone, di
Plutarco e di Plotino. Fu anche quello dello stoicismo, di Seneca e di Epitteto, per esempio. Ha ancora il suo marchio nel
giudaismo e nell’Islam, particolarmente nel sufismo. Fu anche quello del
cristianesimo antico. In Oriente è la chiave del taoismo, dell’induismo, del
buddismo. In Occidente filosofi e pensatori importanti ne hanno fatto l’esperienza
e attorno a lui hanno costruito la loro visione dell’uomo. Penso a Pascal e a
Maine di Biran e, più vicino a noi, a Berdiaev, a Louis Lavelle, a Maurice
Zundel.
Perciò oggi sono rari quelli che sono
consapevoli dell’immensa portata di questo paradigma.
Il corpo.
Con i suoi 5 sensi, il corpo dà
accesso al mondo
fisico, verso l’ordine delle realtà sensibili, quantificabili e misurabili. Da
notare che questo mondo fisico è solo quello della fisica classica, soggetto al tempo, allo
spazio e al determinismo. E ancora, di quel mondo verso il quale si apre il
corpo non dà
un’immagine esaustiva e perfetta. Non è sensibile, lo si
sa, che a certe lunghezze d’onda, a certi intervalli, a certe scale, a certe
velocità. Certo, il corpo apre, ma forse ha anche, come diceva Bergson, una
funzione di chiusura, di otturazione. Ammettiamo che
la sua funzione principale sia quella di apertura.
Però non è solo di apertura, di sensazione. E’ anche
azione, permette di agire sul mondo sensibile. E’ come un’interfaccia tra la persona
interiore e la realtà esterna. Attraverso di lui questa realtà esterna si imprime nell’anima e con lui l’anima si può esprimere nel
mondo.
Maurice Zundel,
rimarcando che l’anima riceve l’energia di cui ha bisogno per vivere qui con
l’intermediazione del corpo materiale, proponeva di considerare questo come una
placenta che nutre. Placenta che l’anima lascia sulla terra nel momento della morte, allo
stesso modo che il neonato è, alla nascita, separato da una placenta che non
gli sarà più di alcuna utilità.
L’anima.
Nell’accezione che ho già
precisato, essa non è altro che lo psichismo, il mentale. E’ l’anima dei
latini, la psychè dei greci. Contrariamente al corpo, l’anima dà accesso
al mondo psichico e alle realtà intelligibili. Il corpo è aperto verso gli
oggetti, l’anima verso quello dei soggetti, verso quello delle persone.
Intelligibile vuol dire che si legge dall’interno e non si serve solo del senso
esteriore. Infatti, se per vedere, ho bisogno di occhi
e di un corpo, per vedere l’anima di un altro, cioè per comprendere il suo
pensiero, le sue emozioni e i suoi sentimenti, mi occorre avere un’anima. “Solo
il simile vede il simile.”, dice un antico adagio
neoplatonico. Nella funzione d’apertura, l’anima, contrariamente al corpo, non
è strettamente dipendente dal tempo e dallo spazio. Essa gode
di una certa libertà che le permette di ricordare il passato,
d’anticipare l’indomani, di immaginare altro. Ma l’anima, come il corpo, non è
solo apertura, ma anche azione: con il linguaggio, parlato o no, permette di
agire sul mondo delle anime e dei soggetti..
Per comprendere meglio l’anima, la
psiche, occorre interrogare la psicologia. Questa rappresenta l’anima sia come
un sistema di facoltà che come un sistema di centri
psichici. Un modello corrente distingue le facoltà cognitive, affettive e
istintive, un modello conosciuto è quello di Freud che distingue Sé, Io e Super- io.
Ma quello che è più importante, per ora almeno, mi sembra
questo. Come è vissuto, il rapporto del me col corpo,
essendo questo materiale e lui non essendolo, è molto simile a quello che il me
ha con gli oggetti: è prima di tutto un rapporto d’esteriorità. Non è un
rapporto d’essere ma di avere. Infatti ciascuno dice:
“Ho un corpo”, nessuno dice “sono un corpo”. Al contrario il rapporto che il me ha con l’anima è un rapporto d’interiorità e d’identità.
L’identificazione di una persona con la sua anima, i suoi pensieri, i suoi
ricordi, la sua intelligenza, volontà…, è infatti la
cosa più usuale che ci sia. La relazione è qui vissuta sul modo d’essere, ben
più che dell’avere. La persona è la sua anima. Perciò,
poiché non c’è anima senza corpo, almeno nelle nostre conoscenze, allora si
ammetterà facilmente la definizione corrente che dice che la persona umana è
una realtà biopsichica, una realtà a due dimensioni, fisica e psichica.
Ma se il corpo e l’anima sono
irriducibili l’uno all’altro, essi formano una totalità perfettamente
indivisibile, essi sono indispensabili l’uno all’altro. L’anima dà la vita al corpo, lo anima.
Lo spirito.
L’antropologia ternaria,
tripartita o spirituale, si oppone radicalmente a quella duale. Contrariamente
a quest’ultima, afferma che l’uomo non si limita alla sua persona, cioè alla sua individualità fatta solo di corpo e anima. Ricorda l’etimologia della parola persona, parola latina che
significa maschera, quella dell’attore di teatro. Poiché
la scoperta nell’uomo di un terzo livello di realtà, quello dello spirito, fa
sì che l’uomo totale non è più riducibile alla sua persona biopsichica,
costruita sotto la pressione dei geni e della società, così come l’attore
antico non è la sua maschera.
Rimane però da far capire ciò che significa
lo spirito. Cosa infinitamente delicata, poiché Maitre
Eckhart, uno dei più grandi spirituali di tutti i
tempi, dice che nulla comprende ciò che si dice dello spirito che non lo
conosca già. Il grande filosofo indiano Shankara
diceva che lo spirito è “ciò dinanzi al quale le parole indietreggiano”. Saremo
noi perciò, noi che non lo conosciamo, o così poco, o così male, condannati a non
scoprire niente, a non dire niente? Fortunatamente no.
Infatti molti che hanno fatto l’esperienza della terza dimensione, l’esperienza
dello spirito, hanno potuto parlarne in modo da darne qualche idea.
Ora, tutti in sostanza dicono
dello spirito due cose:
1
nello stesso modo in cui l’anima è ancorata al corpo,
così lo spirito lo è all’anima, ciò che afferma per esempio Justin Martyr: “Il
corpo è il luogo dell’anima, come la stessa anima è il luogo dello spirito”. Da
qui discende che l’anima è posta come tra il corpo e lo spirito: essa occupa
una posizione intermedia, permettendole di rivolgersi sia verso l’uno che verso
l’altro;
2
l’anima e il corpo sono indivisibili così come lo sono lo spirito e
l’anima. Tuttavia la rottura che li separa è totale.
Abbiamo a che fare con due ordini di realtà perfettamente distinti. Lo spirito
non è una parte dell’anima allo stesso modo in cui l’anima non è parte del
corpo. O ancora, che è lo stesso, nello stesso modo in
cui le idee non fanno parte della massa cerebrale, lo spirito differisce dal
mentale così come il mentale differisce dal corpo. In effetti
la differenza è ben più grande. Pascal diceva che è “
infinitamente più infinita”.
Lo vediamo,
l’impresa non è facile. Bisogna che ci abituiamo a pensare che c’è in
noi una parte di noi attuale
o virtuale invisibile all’anima, cioè inintelligibile al pensiero concettuale,
così come questo è invisibile al corpo.
Non voglio dare una definizione
dello spirito, perché lo spirito è nell’uomo ciò che
non si può definire, essendo proprio partecipazione dell’infinito. Una prima
definizione, anche se contestabile, avrà almeno il vantaggio di aiutare a
fissare le idee. Permetterà inoltre di introdurre il fatto
che lo spirito non deve essere conosciuto come pura astrazione. Dirò,
per il momento, quanto segue:
“Dopo il corpo e l’anima, lo
spirito è la terza e ultima dimensione essenziale
dell’essere umano. Il suo rapporto con l’anima è paragonabile
a quello dell’anima con il corpo e il suo modo di manifestarsi è
l’amore”.