Steven Harrison

 

Decostruzione della psicologia

 

3ème Millénaire n. 84 prima parte – Traduzione della dr.ssa Luciana  Scalabrini

 

D:  Sono stato nervoso tutta la vita, ma ho sempre cercato di utilizzare questo in modo positivo. Una mente nervosa impedisce un risveglio esistenziale?

S.H. Ogni personalità è nervosa. La sua natura è di essere ossessionata dalla sua sopravvivenza, che non è negativo quando si cerca di attraversare una strada trafficata.

La nostra ricerca non è solo sulla natura della mente, ma anche sul non-mentale che  l’accompagna.

Questi elementi, che sono apparentemente due, il nervosismo e la tranquillità, sono in realtà uno. La mente nervosa è risveglio esistenziale. Questo diventa evidente quando l’idea che non è il caso (quella che ci è stata trasmessa) si dilegua da sola semplicemente. La realtà nuda, qualunque sia la sua qualità è tutto quello che c’è.

 

D: Sono psicologo e mi sento un po’ come un ingannatore. Vedo che i problemi che le persone mi portano  generalmente vanno nel senso di fare degli sforzi per trovare una soluzione e proseguire il viaggio del sé separato. Come posso assistere le persone senza contribuire a perpetuare le loro illusioni?

S.H.  Le strutture a partire da cui formiamo le nostre idee e eseguiamo le nostre azioni sono fraudolente. L’interesse alla sopravvivenza è un motore. Quello che non sembra evidente è la nostra coscienza di  essere frodatori e di non fare niente a questo riguardo. Ed anche il fatto, certamente, che dovremmo fare qualcosa.

 Non fare niente, pur sentendo che dovremmo fare qualcosa, sembra il risultato del nostro grande acume mentale, ma proprio questo è il problema. E’ la tensione senza la quale cerchiamo di essere interi.

Ma non è con le azioni che scopriremo la totalità, ma al contrario  è la totalità che si esprime in modo adeguato tutto il tempo.

Come potrebbe essere diversamente? La nostra debole speranza di essere più smaliziati oscura tutto questo.

 

D: Potete dirmi il vostro punto di vista sul modo in cui potrei restare nella mia professione? Sono stato formato ad alleviare il dolore. Amo il mio lavoro, ma vorrei che il tempo passato con le persone fosse un’esperienza liberatoria, nel senso essenziale del termine. Come posso essere d’accordo in tutto con la spiritualità e nello stesso tempo essere psicologo?

S.H.  Perché non trasformare la vostra domanda in risposta e portarla nel vostro lavoro con trasparenza, offrendo a quelli che lavorano con voi l’assistenza e un modo di dare una soluzione ai problemi che sia più profonda? Perché non far sì che l’attività del vostro aiuto, che è la risposta classica alla sofferenza, si integri con l’esplorazione del conflitto, nello stesso tempo in voi e nel paziente? Niente è sbagliato quando si tratta di alleviare la sofferenza, ma spesso è fatto senza tener conto del ciclo sollievo-accumulazione-sollievo, o senza mirare verso ciò che emana più fondamentalmente dell’essere.

 

D.      Voi dite che il me è la base della nostra psicologia, però questo pensiero non è esaminato.

Ma non abbiamo realmente cercato di investigare questo pensiero con strutture come le terapie e la religione?

S.H.   No. Abbiamo presunto che il me sia presente. E’ la supposizione di base da cui è uscita la psichiatria, cioè che c’è un me centrale che ha bisogno di essere curato, aiutato, o consolidato.

Chi controlla se questo me esiste davvero o no? Il processo psichiatrico è teorico, è un percorso intellettuale. Non è esperenziale.

La cosa interessante riguardo la meditazione orientale è che orienta direttamente verso un contatto esperenziale con le qualità del me, o del pensiero come esse appare. C’è un me? Se si che cosa è? Scopriamo cos’è prima di cominciare a curarlo, a renderlo felice o a somministrare droghe perché si senta meglio.

 

D: Allora la terapia con la quale ci siamo famigliarizzati non riguarda che i sintomi, piuttosto che l’origine o la radice della sofferenza psicologica?

S.H.  La maggior parte delle terapie di cui siamo famigliari considerano ciò che possono fatturare alle compagnie d’assicurazione.

E’ quello che considerano prima di tutto. Questo rientra nella lista delle malattie rimborsabili, che permetterebbe al capufficio di mandare una fattura e di essere pagato? La seconda considerazione è sapere come il terapeuta può fare una consultazione di quindici minuti senza trovare debole il mentale della persona che gli sta di fronte.

Ci sono tanti terapeuti che sopportano difficilmente di vedere una persona più del bisogno.

E’ il problema delle terapie. Questo non va bene. Il terapeuta tratta il paziente come se avesse una malattia. Trovate la malattia. Dimostrate la sua presenza. Dov’è? Ci sono semplicemente comportamenti che rientrano nel quadro  del pensiero del terapeuta e altri no. E se è una alterazione fisiologica, a cosa serve la terapia?

 

D.      Allora voi dite che le terapie vanno nel senso delle illusioni del pensiero?

S.H.   Non è che le terapie vanno nel loro senso; esse  “sono” le illusioni. Se avete l’idea del “ me”, allora il “me” è separato e deve trovarsi nella sofferenza o nella difficoltà. Poi deve trovare il suo cammino per sentirsi meglio. Per quello andate da un terapeuta, andate da un prete, adottate una religione o una filosofia. Se siete separati, siete nella sofferenza.

 

D.      E le terapie non riguardano quell’aspetto fondamentale del “me”?

S.H.   Le terapie riguardano le manifestazioni e, una volta che siete in quel mondo, vi trovate in un mondo che non ha fine. Andate da un terapeuta e dite: “sto male”. Se il terapeuta risponde: “State male perché siete nella separazione e siete nella separazione perché ogni cosa della vostra vita è costruita  su una base falsa”, dovete decostruire la vostra vita. Dovete passare attraverso una completa ristrutturazione.

Le persone non vanno dal terapeuta per quello. Ci vanno per una riparazione, per poter conservare la loro vita.

Se il terapeuta ha onestà, è al di fuori del business, deve esaminare la propria vita. Quanti sono interessati a questo?

E’ una domanda profonda che ogni psicologo deve affrontare: “permetto alla coscienza  di circolare liberamente nella mia vita?” Non è nel paziente: è in me. E quando questo circola liberamente in me, allora questo passa nella relazione con colui che si chiama il paziente. Ora, è insieme che esploriamo. Eccoci di nuovo nel dialogo. E quando dialogo col paziente, non posso stare fuori dalla “pazzia”. Devo entrarci. E se ci entro, allora sono in una situazione differente da quella, distante e senza dialogo, dello psicologo. Non è senza pericolo, ma la situazione è diventata trasformatrice.

 

D: Anche se è vero che molte terapie e metodi psicologici hanno problemi, ce ne sono molti che non ne hanno. La tendenza per molti è accettare la definizione che il paziente ha del problema piuttosto che fare una diagnosi nelle regole del quadro medico. I problemi si trovano nei comportamenti giudicati indesiderabili piuttosto che sotto forma di manifestazioni patologiche. Se nessuno si lamenta del problema, non c’è problema. Cosa ne pensate?

 

S.H.   Sembra che la psicologia, come campo di conoscenza, integri le correnti che smontino il contenuto sociale del modello della “malattia”. La mia preoccupazione di fronte alla psicologia è legata alla tendenza a vedere  della patologia nelle sfide della vita e, nello stesso tempo, a psicologizzare il disequilibrio psicologico.

Vorrei che la psicologia si interessasse a domande come: cos’è la coscienza? La malattia mentale esiste al di fuori di ciò che può essere anormale a livello del cervello? Dove si trova la malattia? I problemi psicologici sono individuali o rivelano definizioni collettive e sociali? Se un comportamento è indesiderabile, perché non renderlo illegale piuttosto che definirlo malattia? Il cambiamento avviene in un processo o è senza causa? E’ per grazia? Il campo della psicologia sta subendo grandi trasformazioni, come è giusto. In questo cambiamento, certi individui brillanti vanno al cuore del problema.

(continua)