3ème Millénaire n. 84 prima parte – Traduzione della dr.ssa
Luciana Scalabrini
D: Sono
stato nervoso tutta la vita, ma ho sempre cercato di utilizzare questo in modo
positivo. Una mente nervosa impedisce un risveglio esistenziale?
S.H. Ogni personalità è nervosa. La sua natura è di essere ossessionata dalla sua sopravvivenza, che non è
negativo quando si cerca di attraversare una strada trafficata.
La nostra ricerca non è solo sulla
natura della mente, ma anche sul non-mentale che l’accompagna.
Questi elementi, che sono apparentemente due, il nervosismo
e la tranquillità, sono in realtà uno. La mente nervosa è risveglio
esistenziale. Questo diventa evidente quando l’idea
che non è il caso (quella che ci è stata trasmessa) si dilegua da sola
semplicemente. La realtà nuda, qualunque sia la sua qualità è
tutto quello che c’è.
D: Sono psicologo e mi sento un po’ come un ingannatore.
Vedo che i problemi che le persone mi portano generalmente vanno nel senso di fare
degli sforzi per trovare una soluzione e proseguire il viaggio del sé separato.
Come posso assistere le persone senza contribuire a
perpetuare le loro illusioni?
S.H. Le strutture a
partire da cui formiamo le nostre idee e eseguiamo le nostre azioni sono
fraudolente. L’interesse alla sopravvivenza è un motore. Quello che non sembra
evidente è la nostra coscienza di essere frodatori e di non fare niente
a questo riguardo. Ed anche il fatto, certamente, che
dovremmo fare qualcosa.
Non fare niente, pur
sentendo che dovremmo fare qualcosa, sembra il
risultato del nostro grande acume mentale, ma proprio questo è il problema. E’
la tensione senza la quale cerchiamo di essere interi.
Ma non è con le azioni che scopriremo
la totalità, ma al contrario è la
totalità che si esprime in modo adeguato tutto il tempo.
Come potrebbe essere diversamente? La nostra debole speranza
di essere più smaliziati oscura tutto questo.
D: Potete dirmi il vostro punto
di vista sul modo in cui potrei restare nella mia professione? Sono stato
formato ad alleviare il dolore. Amo il mio lavoro, ma vorrei
che il tempo passato con le persone fosse un’esperienza liberatoria, nel senso
essenziale del termine. Come posso essere d’accordo in
tutto con la spiritualità e nello stesso tempo essere psicologo?
S.H. Perché non
trasformare la vostra domanda in risposta e portarla nel vostro lavoro con
trasparenza, offrendo a quelli che lavorano con voi l’assistenza e un modo di
dare una soluzione ai problemi che sia più profonda? Perché non far sì che
l’attività del vostro aiuto, che è la risposta classica alla sofferenza, si integri con l’esplorazione del conflitto, nello stesso
tempo in voi e nel paziente? Niente è sbagliato quando
si tratta di alleviare la sofferenza, ma spesso è fatto senza tener conto del
ciclo sollievo-accumulazione-sollievo, o senza mirare
verso ciò che emana più fondamentalmente dell’essere.
D.
Voi dite che il me è la base della nostra psicologia, però questo pensiero
non è esaminato.
Ma non abbiamo realmente cercato di investigare questo
pensiero con strutture come le terapie e la religione?
S.H. No. Abbiamo
presunto che il me sia presente. E’ la supposizione di base da cui è uscita la
psichiatria, cioè che c’è un me centrale che ha
bisogno di essere curato, aiutato, o consolidato.
Chi controlla se questo me esiste
davvero o no? Il processo psichiatrico è teorico, è un
percorso intellettuale. Non è esperenziale.
La cosa interessante riguardo la
meditazione orientale è che orienta direttamente verso un contatto esperenziale
con le qualità del me, o del pensiero come esse appare. C’è un me? Se si che cosa è? Scopriamo cos’è prima di cominciare a
curarlo, a renderlo felice o a somministrare droghe perché si senta meglio.
D: Allora la terapia con la quale
ci siamo famigliarizzati non
riguarda che i sintomi, piuttosto che l’origine o la radice della sofferenza
psicologica?
S.H. La maggior parte
delle terapie di cui siamo famigliari considerano ciò che possono fatturare
alle compagnie d’assicurazione.
E’ quello che considerano prima di tutto. Questo rientra
nella lista delle malattie rimborsabili, che permetterebbe
al capufficio di mandare una fattura e di essere
pagato? La seconda considerazione è sapere come il terapeuta può fare una
consultazione di quindici minuti senza trovare debole il mentale della persona
che gli sta di fronte.
Ci sono tanti terapeuti che sopportano difficilmente di
vedere una persona più del bisogno.
E’ il problema delle terapie. Questo non va bene. Il
terapeuta tratta il paziente come se avesse una malattia. Trovate la malattia.
Dimostrate la sua presenza. Dov’è? Ci sono
semplicemente comportamenti che rientrano nel quadro del pensiero del terapeuta e altri no. E se è una alterazione fisiologica, a cosa serve la
terapia?
D.
Allora voi dite
che le terapie vanno nel senso delle illusioni del pensiero?
S.H. Non è che le
terapie vanno nel loro senso; esse
“sono” le illusioni. Se avete l’idea del “ me”,
allora il “me” è separato e deve trovarsi nella sofferenza o nella difficoltà.
Poi deve trovare il suo cammino per sentirsi meglio. Per
quello andate da un terapeuta, andate da un prete, adottate una
religione o una filosofia. Se siete separati, siete
nella sofferenza.
D.
E le terapie non riguardano
quell’aspetto fondamentale del “me”?
S.H. Le terapie
riguardano le manifestazioni e, una volta che siete in quel mondo, vi trovate
in un mondo che non ha fine. Andate da un terapeuta e dite: “sto
male”. Se il terapeuta risponde: “State male perché siete nella separazione e
siete nella separazione perché ogni cosa della vostra vita è costruita su una base falsa”,
dovete decostruire la vostra vita. Dovete passare attraverso una completa
ristrutturazione.
Le persone non vanno dal terapeuta per quello. Ci vanno per
una riparazione, per poter conservare la loro vita.
Se il terapeuta ha onestà, è al di fuori del business, deve
esaminare la propria vita. Quanti sono interessati a questo?
E’ una domanda profonda che ogni psicologo deve affrontare:
“permetto alla coscienza di circolare liberamente nella mia vita?” Non
è nel paziente: è in me. E quando questo circola liberamente in me, allora
questo passa nella relazione con colui che si chiama il paziente. Ora, è
insieme che esploriamo. Eccoci di nuovo nel dialogo.
E quando dialogo col paziente, non posso stare fuori dalla
“pazzia”. Devo entrarci. E se ci entro, allora sono in
una situazione differente da quella, distante e senza dialogo, dello psicologo.
Non è senza pericolo, ma la situazione è diventata trasformatrice.
D: Anche se è
vero che molte terapie e metodi psicologici hanno problemi, ce ne sono molti
che non ne hanno. La tendenza per molti
è accettare la definizione che il paziente ha del problema piuttosto che fare
una diagnosi nelle regole del quadro medico. I problemi si trovano nei
comportamenti giudicati indesiderabili piuttosto che sotto forma di
manifestazioni patologiche. Se nessuno si lamenta del
problema, non c’è problema. Cosa ne pensate?
S.H. Sembra che la
psicologia, come campo di conoscenza, integri le correnti che smontino il
contenuto sociale del modello della “malattia”. La mia preoccupazione di fronte
alla psicologia è legata alla tendenza a vedere della patologia nelle sfide della vita
e, nello stesso tempo, a psicologizzare il disequilibrio
psicologico.
Vorrei che la psicologia si interessasse
a domande come: cos’è la coscienza? La malattia mentale esiste al di fuori di
ciò che può essere anormale a livello del cervello? Dove si trova la malattia?
I problemi psicologici sono individuali o rivelano definizioni collettive e
sociali? Se un comportamento è indesiderabile, perché
non renderlo illegale piuttosto che definirlo malattia? Il cambiamento avviene
in un processo o è senza causa? E’ per grazia? Il campo della psicologia sta
subendo grandi trasformazioni, come è giusto. In
questo cambiamento, certi individui brillanti vanno al cuore del problema.
(continua)