Chris Iwen
3ème Millénaire n. 85 – Traduzione della dr.ssa Luciana
Scalabrini
Chris Iwen, diplomata in neuroscienze e in psicologia, ha esplorato i grandi
insegnamenti spirituali d’oriente ed occidente. Avendo scelto di lavorare nel
campo dell’educazione, ha realizzato che l’essenza autentica della spiritualità
non si trova nelle regole e nei dogmi, ma nell’apertura e nell’espansione del
cuore.
Nelle danze delle
nostre vite, caotiche o felici, quale libertà e quale amore rincorriamo? Fare
ciò che si vuole, quando si vuole, dove si vuole… se possibile vivendo
ininterrottamente quel sentimento puro e inebriante… Quella doppia aspirazione
è pura chimera, oppure rimanda l’eco di una realtà che ci oltrepassa? Così
spesso la libertà sembra amaramente arida, senza ciò che si chiama amore, e
volere coltivare l’amore sembra incatenarci.
Esaminiamo tutte
queste motivazioni cui successivamente sottomettiamo il potere della nostra
volontà, le nostre capacità di rispondervi e la libertà che quello ci procura.
C’è anzitutto il
tango dei nostri istinti. Il richiamo indiscutibile della sopravvivenza del
corpo ci costringe agli sforzi per rispondere ai bisogni primari, la nostra volontà
qui s’interroga ben poco quanto alla sua libertà. Possiamo sviluppare un
“amore” tutto particolare, in realtà un attaccamento, per i piaceri della
tavola, o per il luogo dove viviamo.
Combattiamo spesso per avere un ruolo professionale, quella posizione che si
confaccia meglio alla nostra personalità intellettuale, nei limiti a volte
vissuti come sgradevoli: leggi del mercato dell’impiego, il posto giusto,
ciascuno secondo le sue speranze.
E nell’incontro con l’altro, l’istinto si focalizza sulla forma
del potenziale alter ego: occhi e corpo, colorito e curve provocano
un’attrazione animale e inebriante, la cui conquista ci obnubila e ci
appassiona… fino a tempi successivi, calmi, in cui ci si può sorprendere di
trovare noiosi. Quale libertà in quella ripetizione di stimoli gradevoli, in
quella libido più o meno saziata? Sul piano istintivo dunque la nostra libertà
è limitata da leggi fisiche e da condizioni sociali, e il nostro “amore”, o il suo riflesso sulla materia,
soggetto alla ripetizione, che può diventare compulsiva. Allora, non sarebbe
meglio, parlando dell’attrazione fisica, parlare di amore fisico?
Inoltre, c’e il
valzer quasi interminabile delle nostre emozioni, in tutte le loro sfumature,
il loro balletto che oscilla tra polo grigio e polo rosa, polo Nord e polo Sud.
E tra quelle, il bisogno secondario, dicono gli psicologi, d’essere amati. Che
sforzi per brillare, attirare sguardi e sorrisi! Si è liberi di scegliere le
proprie frequentazioni? Ci tocca rispondere a ciò che ci si attende da noi, a
ciò che si pensa che ci si aspetta da noi, per riscuotere consenso e
approvazione… Le convenzioni sociali sono come un tutore, o una difesa di
fronte al nostro libero arbitrio. Non dimenticare, si sa, “amare e essere
amato”. E noi diciamo di voler amare, ma quando l’occhio del cuore spirituale
si avvicina, si accorge, dietro la metà di quel desiderio, di un bisogno,
fratello dei bisogni vitali: “Voglio essere stimolato da un oggetto esterno a me, perché fin da piccolo ho sperimentato il
piacere che procura quella interazione. Si, voglio essere affascinato,
trasportato da quegli oggetti esteriori, oggetti di terra o di carne. Prendo,
cambio, scopro quelle forme dalle funzioni lineari inedite, e quegli altri
esseri che forse soddisferanno quel bisogno profondo.”
A quel livello nascono i nostri bisogni più profondi, e la
relazione amorosa ne è un punto focale, spesso perché noi vediamo nell’altro
quelle qualità complementari che mancano alla nostra psicologia.
Ma anche in modo più pragmatico, perché l’altro partecipa,
nel suo slancio verso di noi, al nostro
benessere in tutte le sue dimensioni. A volte anche forse perché, negli occhi
dell’altro e nello stato vicino ad una leggera trance indotta dalla nostra
focalizzazione, intravediamo la presenza di quella coscienza umana, la cui
grandezza misteriosa risuona con la nostra essenza nascosta. Nonostante tutto,
quella attrazione, attaccata ad un individuo particolare, non è senza
dubbio più degna di portare il nome
d’amore, o allora, non sarebbe meglio parlare d’amore affettivo, per quel
sentimento rivolto verso la parte psicologica del nostro partner?
Poi viene la sfilza delle nostre idee. Cosa abbiamo scelto
dei nostri modi di pensare? Quando le nostre facoltà di riflessione non sono
semplicemente asservite alla razionalizzazione, al servizio dei desideri
emozionali più o meno consci? Manipolato da bambino dal nostro ambiente
famigliare e sociale, le opinioni si radicano e si giustificano.
Con le letture, le
discussioni, le riflessioni, a volte cerchiamo di rivestire con parole la
nostra realtà di questo mondo e della nostra coscienza, di cui percepiamo la
vita nel nostro intimo. Una consacrazione intellettuale, in seguito a una
scoperta di concetti e di giudizi, può
anche favorire lo stabilirsi di molti attaccamenti e limitazioni.
Se si guarda più da
vicino, quel fenomeno che chiamiamo amore comporta un doppio movimento:
dapprima un’attrazione verso un oggetto, un essere, un’idea. E’ la percezione
che è quell’oggetto che provoca in noi una reazione gradevole e induce una
tensione, una attrazione, un “andare verso”.
Non confondiamoci, quel processo di attrazione lo dobbiamo
alle reattività proprie dei nostri supporti di incarnazione, ai nostri corpi
fisici e sottili. E’ quella reattività dei tre livelli, che la tradizione
descrive come costitutivi del nostro ego, che è la sorgente dei famosi
attaccamenti. Ma viene poi la parte interessante, quella che mette in movimento la nostra volontà, per
partecipare, includerci pienamente nella nostra relazione con l’oggetto.
Si, l’amore non è solo
quella gradevole sensazione, indotta da una reazione riflessa dallo
stimolo, quella non è che la metà dell’amore. E’ nel movimento della nostra
volontà per acquistare, conservare e intensificare quello stimolo, a volte in
modo retroattivo, che si trova nella nostra “tripla natura interiore (senza che
sia peggiorativo, come si può dire del
primo gradino della scala in rapporto al secondo)”, il riflesso dell’amore
ultimo, rivelatore della promessa del vero scopo della nostra esistenza.
Quando applichiamo
quella azione verso gli oggetti del mondo lineare, soddisfiamo la nostra natura
di base, che si potrebbe anche chiamare natura minimale. Quella non è la
libertà promessa, ma la funzione di un veicolo, di una macchina. Dopo molto
tempo infatti, non risuona la voce del saggio: “Chi rincorre i desideri
esteriori, anche quando li soddisfa, rende schiavo il suo spirito” ? E nel post
scriptum, il saggio aggiunge: “Non martirizzare il tuo triplo veicolo, perché
chi vuole vedere troppo in fretta senza esserne distaccato, credendo di
disfarsi dei desideri, non farà che lanciare un boomerang, che ha una forza
proporzionale alla sua gettata, che rischia di tornare a disequilibrare il
lanciatore. Cerca di rispondere in modo ragionevole ed equilibrato ai tuoi
bisogni vitali, emozionali e intellettuali, perché così la gioia della
meditazione si installerà dolcemente su un terreno pacificato. Essa scaverà su
quel piccolo treppiede un suo solco sempre più profondo, ingrandendosi momento
dopo momento fino all’infinito, dove la luce non è più percepita dagli occhi,
ma proiettata dal fuoco interiore”.
L’errore è quando facciamo del triplo veicolo uno scopo
essenziale e ci perdiamo nelle
successioni di attrazioni ai tre primi livelli: fisica, emozionale ed
intellettuale, e dilapidiamo tutto il nostro tempo e la nostra attenzione in
quello, insensibili alla nostra coscienza, parte divina di noi stessi. Questi
cari corpi non sono che un insieme di
meccanismi automatici minimali, ma mantengono la nostra piccola fiamma della
nostra coscienza accesa, fino al momento in cui si decida di applicarsi seriamente alla conoscenza
della nostra interiorità. Gli amori che viviamo attraverso le loro reazioni
sono, l’abbiamo visto, amori reattivi, suscitati dall’incontro con l’oggetto. E
succede qualcosa, quando decido di seguire quella possibilità di slancio
positivo interiore, immobile. Infatti scopro che quel movimento della mia
volontà per l’esterno, esiste paradossalmente in modo indipendente da una sollecitazione
esterna. Posso amare senza oggetto, posso scegliere questo. E posso scegliere
di amplificare quella capacità intrinseca della mia coscienza in un’azione
ultima, l’azione perfetta cercata invano da certi praticanti d’arti marziali, come un atto di concentrazione e di
luminosità interiore.
Dispiego l’amore attivo, quello che non nasce in relazione a
niente, ma come semplice approfondimento del mio essere, l’espressione
scaturita dal libero arbitrio.
Slancio denso e silenzioso verso il tutto, preghiera che non
si applica all’oggetto, all’essere o a un’idea particolare, e movimento della
mia coscienza per se stessa, in se stessa. Ed è una prima libertà, quella che
sceglie il nostro essere e il momento in cui diventa attento al suo nocciolo di
coscienza, perché allora è rivelata una parte del mistero.
E’ questa
potenzialità, di fare fiorire spontaneamente qualcosa da noi stessi, che può
trasformare lo sguardo che posiamo attorno a noi e al nostro comportamento.
Amare, dare senza aspettarsi un ritorno, ecco chi incarna nella materia la
nostra potenzialità di essere solare.
Come principio di vita, questa volontà deve guidarci a
cercare, al di là dell’attrazione amorosa istintiva per il partner, la
contemplazione del suo ritratto psicologico. A chi è attento al ritratto
psicologico, sarà ispirato a cercare oltre e a voler vedere in modo più
distaccato l’essenza divina dell’essere amato. Quello sguardo d’amore fraterno,
ci mostra infine la via del distacco, si chiama anche amore impersonale, ma si
potrebbe anche qualificarlo come onnipersonale. In questa scoperta le nostre
anime cominciano a elevarsi e a quello o a quella che opera per l’elevazione delle anime, quello
slancio volontario mostrerà la via della giusta meditazione.
Il cuore spirituale
si concentra allora nella sua meditazione gioiosa, e così la coscienza, pur
soddisfacendoli, contempla dall’alto con benevolenza, quei piccoli
bisogni–desideri di stimoli che vengono dall’esterno.
Il prolungamento
della meditazione estende e fa crescere il campo di quella coscienza,
con l’amore per se stessa, con la volontà centrata sul fine ultimo. Il fenomeno
è divino, quasi perfetto: in quel movimento della nostra volontà per sviluppare
e aprire la nostra coscienza verso il vissuto dell’amore gratuito e assoluto
per il tutto, in questa meditazione si dispiega e si conquista infine la
libertà essenziale.