Lama Lhundroup
Illusione e Realtà
3ème Millénaire n. 87 – Traduzione
della dr.ssa Luciana Scalabrini
“Come un sogno, come
un’illusione
Come una città di Gandaharva,,
E’ così che la nascita e la vita,
E’ così che la morte è insegnata”
Nagarjuna
In ogni momento ci
confrontiamo con l’illusione e la Realtà. Esisto o non esisto? Non ne siamo
veramente certi. Se si, come? In che misura? Fino a
che punto ciò che penso, ciò che sento, ciò che credo è Reale o illusorio?
Posso veramente contare su questo o su quello? E se non esisto, allora chi c’è
là, il Reale o l’illusione?
E il mondo in cui viviamo è
veramente solido? La strada, gli alberi, il sole e la luna sono
come li vedo? Le persone sono quelle che conosco? La relazione che intrattengo
con loro è autentica? Io stesso sono quello che credo di essere,
o forse non sono chi voi credete?
Sono al sicuro o al fondo completamente in panico? Di fronte
alla realtà della vita e della morte, una falsa sicurezza conta di più di un
vero panico?
Aprirsi all’incertezza, lasciar andare le certezze, tutte senza eccezione.
Chi pone queste domande, quale è la natura di chi domanda?
Ecco il terreno dove può germogliare il non dubbio. Se si arriva a rimanere proprio lì, prima della risposta,
senza concetti, senza commenti, allora è la realtà immediata, libera da se
stessa, che sorge da se stessa spontaneamente, luogo dell’azione diretta del
corpo, della parola e della mente, che si armonizza in seno a tutte le
situazioni senza speranza né paura.
Ma generalmente quella semplicità diretta è inaccessibile e la peggiore delle
illusioni è credere che l’abbiamo realizzata quando è
un fantasma in più. Abitualmente colmiamo la mancanza della domanda
immediatamente con rappresentazioni mentali, affettive e o filosofiche più o
meno sottili e viaggiamo sul filo delle
illusioni magiche create dalla nostra mente.
Generalmente non è possibile discernere da soli la realtà
dall’illusione come tende a farci credere l’individualismo contemporaneo. Solo
i cigni, pare, sono capaci di aspirare il latte mescolato all’acqua con
successo, cioè bevendo il latte e lasciando l’acqua
senza soffocare.
Ecco perché è necessario un metodo, un
segno, dei segni col loro significante e il loro significato. L’insegnamento del Budda è un metodo, un mezzo abile uscito
da quello e da quelli che hanno realizzato la realtà al di là
dell’illusione, quella intelligenza immediata o saggezza atemporale. Il
metodo, il suo linguaggio, i suoi simboli, è il significante che indica il
significato, all’occorrenza il reale che non è nelle parole né in alcuna rappresentazione, qualsiasi essa sia. In altre parole, il dito che mostra la luna non è
ancora la luna, ma bisogna ancora guardare nella giusta direzione; e diciamo
che la tradizione ha fatto le sue prove conducendo innumerevoli persone al
risveglio spirituale che è la dissoluzione di ogni
illusione, il cambiamento della folla di passioni che l’accompagna e al tempo
stesso il compimento della realtà in sé, l’assoluto, la grande felicità.
La tradizione del Budda offre molti metodi che hanno tutti come scopo la liberazione dall’illusione e dalle insoddisfazioni e sofferenze che ne derivano.
Essendo la prima constatazione del Budda che l’origine di tutti i mali è proprio l’illusione, l’ignoranza della realtà, l’assenza del riconoscimento della realtà così com’è, propone due approcci considerati validi:
- l’esperienza immediata
- e il
ragionamento logico.
La prima è fondamentale.
“E’ l’esperienza yogica immediata che si può definire mistica. Mistica
non designa affatto un’esperienza in cui l’ispirato si immerge
in uno stato di coscienza alterato più o meno fantastico. Quella
esperienza di risveglio alla realtà corrisponde alla presenza di immediatezza, o
l’istantaneità in cui si vive ciò che siamo e viviamo, prima che la mente
faccia una scelta di un soggetto e di un oggetto; essa è detta yogica ( yoga
vuol dire unione), perché è lo stato d’unione non duale, l’esperienza della
magia ordinaria” ( Lama Denis).
Se si pensa che il me che sta soffrendo esiste fuori dal corpo, se una tale entità esiste, allora dovrebbe
esistere nel tempo. Ma il passato è scomparso, il
futuro non c’è ancora e il presente passa. Il me – io non è
nel corpo né nella mente… E si medita sulla vacuità del sé…
Il seguente punto di vista, detto idealista, si basa sulle parole del Budda: “tutti i fenomeni non sono che la mente”.
I fenomeni appaiono, ma al livello ultimo sono privi di esistenza propria. Questo è ormai scoperto dalle scienze contemporanee.
La mente che percepisce e l’oggetto percepito sembrano esistere come due entità distinte, eppure il soggetto e l’oggetto si pongono l’uno in rapporto all’altro nella mente stessa che è lei stessa libera dalla dualità.
Per comprenderlo basta prendere ad esempio il sogno che è analogo all’esperienza di veglia. In un sogno il soggetto onirico, me che sto sognando, e l’oggetto percepito nel sogno non sono differenti. I due appaiono nella mente, eppure io vivo l’esperienza di essere divorato da un mostro molto diverso da me. Il mio corpo, il mostro, la foresta, l’emozione sembrano reali fino a che non realizzo che è un sogno. Non sono che illusioni oniriche prive di un’esistenza separata dalla mente che le proietta. Le esperienze di veglia sono altrettanto prive della dualità soggettiva e la loro realtà dipende dalla mente che le percepisce. In altre parole, il soggetto che percepisce e l’oggetto percepito sono interdipendenti, la realtà del mondo in cui vivo non essendo separata dalle proiezioni della mia mente.
Secondo questo punto di vista, per scoprire la realtà priva di proiezioni
illusorie, bisogna meditare sulla
vacuità del soggetto che pensa e degli
oggetti che sono i suoi pensieri, le sue immagini interiori ed esteriori;
lasciare riposare la mente in se stessa nell’intelligenza della vacuità del
soggetto e degli oggetti; vivere tutto come un sogno…
La terza scuola, l’approccio della vacuità o “via di Mezzo”( Madhyamaka) riprende gli
argomenti della prima dimostrando l’assenza di realtà intrinseca del me e
quelli della seconda dimostrando l’assenza di realtà autonoma dei fenomeni
percepiti come esterni. Però rimette in questione la
realtà della stessa mente, essendo considerata come vacuità, cioè
vuota d’esistenza autonoma e indipendente. Benchè ci siano molte suddivisioni in seno a questa scuola, questa
culmina con la dimostrazione che ogni affermazione sulla realtà ultima o
relativa è obsoleta; finchè resta un’interpretazione, una elaborazione
concettuale, c’è un velo che impedisce
la realizzazione diretta. Dire che la realtà è vacuità o dire che è mente, non
sono che etichette, prodotti del mentale sovrapposti
ad una realtà indicibile, inconcepibile. Praticamente
è la via del non appoggiarsi, di lasciar essere ciò che è senza intervento d’alcun genere, meditare nel non agire del
mentale…
Infine, l’ultimo punto di vista è quello della purezza
adamantina che si basa su quello della via di mezzo, ma che considera la
vacuità inseparabile dalla chiara luce.
La natura della mente è l’unione non duale
della vacuità e della chiara luce La realtà, ciò che siamo
e viviamo fondamentalmente, la natura della mente o natura di ogni esperienza,
quello che si chiama la Natura di Budda, è raffigurata secondo tre prospettive:
-
La Natura di Budda come
base pura dall’origine è la stessa per un Budda e per noi vivi, ma è velata
dalla visione duale e dalla emozioni perturbatrici
negli esseri ordinari.
- La Natura di Budda
come via è detta pura/impura, cioè attraverso la
pratica dei mezzi abili si libera poco a
poco dalle impurità impermanenti che la
ricoprono.
- La
Natura di Budda come frutto: quando tutte le illusioni e le passioni sono
dissolte, essa appare in tutta la sua purezza. E’ la pienezza della realizzazione
dello stato di Budda e di tutte le sue qualità.
-
Quest’ultima
prospettiva è quella della pienezza della vacuità, che si traduce nella pratica
del vajrayana: la via adamantina dei tantra, il cui simbolismo è l’unione non
duale della chiarezza, dell’intelligenza immediata e della vacuità Che cos’è la
vacuità? E’ il vuoto di sé, della visione
duale, dell’illusione. Cos’è la pienezza? E’ la pienezza delle qualità, della felicità, della realizzazione
della realtà libera dagli oscuramenti illusori. Un vuoto di illusioni
e un pieno di realtà Quest’ultima prospettiva si pratica sulla base delle
precedenti in una relazione consacrata alla tradizione, trasmessa dagli
insegnamenti e in particolare da un lama abilitato a trasmetterli.
Tutto questo può sembrare elaborato, ma non lo è più del
grado di complessità della nostra mente, dove il reale
e l’illusione sono intrecciati. Se il risveglio alla
realtà è un’esperienza fondamentalmente semplice e la via che vi conduce è la
pratica della semplicità, è molto difficile arrivarci senza la comprensione e i
mezzi di una tradizione autentica e completa, che permette di superare i limiti
individuali nei quali vivono le illusioni. Questo senza perdere di vista che la
tradizione, nella sua filosofia, le sue pratiche e i suoi abbellimenti, non
insegna nient’altro che la semplicità.
Quella semplicità si scopre in quella che si chiama meditazione o più giustamente contemplazione. Ce ne sono molti approcci; le prospettive filosofiche ricordate sopra hanno il merito di associare la visione all’esperienza in un approccio coerente, rigoroso e progressivo, che soddisfa le esigenze intellettuali e quelle contemplative.
Secondo l’ insegnamento
del Budda, non ci sono veramente altri mezzi per discernere la realtà
dall’illusione che con la pratica ancestrale della meditazione seduta e in
azione. Stare tra il cielo e la terra in una semplice presenza calma e attenta non è una via astratta o eterea, ma una
pratica in cui si incorpora la realtà, si armonizza il corpo e la mente, ci si
riconcilia fondamentalmente con la Natura in tutti i suoi aspetti.