Le sette tappe della morte. Un parto alla fine
dell’esistenza?
3ème Millénaire n. 83 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini
La mia
ricerca sulla fine dell’esistenza ha ricevuto un impulso decisivo
da una parte piuttosto inattesa: quello della nascita, il suo polo opposto. Ma morire e nascere, inizio e fine, non vanno di pari passo
da sempre?
Le ricerche di Bernard Montaud sui traumi del passato, tra
cui il trauma perinatale, hanno confermato(se ne
dubitava già) che il parto costituisce una prova maggiore per il bebè.
Stanislav Grof, Arthur Janov e molti altri avevano fatto ricerche su
quell'argomento. Ma i lavori
di Bernard Montaud colpiscono per la loro precisione e le nuove
prospettive per il parto. Dopo aver assistito per una ventina d’anni al ricordo
cosciente della nascita di più di duecento adulti con la psicanalisi
corporea, metodo d’investigazione che fa appello unicamente alla memoria
corporea, ha codificato quel processo in sette tappe. Il bambino sarebbe messo
a confronto con molte prove e sofferenze fisiche e psicologiche, obbligandolo
ogni volta a una soluzione di sopravvivenza. La
nascita costituirebbe così una paziente iniziazione alla vita sulla terra.
In cosa quelle tappe della nascita, che svilupperò più
avanti, si riferirebbero alla morte? Questo processo ha profondamente colpito
la psicoterapeuta dei malati gravi e del morente che io sono, e fa sorgere in
me le domande seguenti:
-
Ci sarebbe un parto
all’altro capo della vita?
-
Quali sarebbero le
tappe?
Due percorsi eroici.
Riflettendo sulla morte, mi è apparsa un’analogia: la
nascita e la morte sembrano seguire uno stesso cammino, ma per certi aspetti
inverso. L’uno è il percorso eroico del bambino che lascia il suo mondo
interiore per raggiungere il mondo esterno; l’altro è
quello, anch’esso eroico, del morente, chiamato a staccarsi dal mondo esterno
per raggiungere un mondo ai nostri occhi sconosciuto.
L’idea di un neonato insensibile e senza percezioni si è
rivelata totalmente falsa. Lui al contrario possiede degli organi di senso estremamente ricettivi che gli permettono di percepire
tutto, di sentire tutto, perfino i pensieri delle persone presenti. All’altro
capo della vita, quelli che sono giunti ai confini della morte, nel NDE (Near Death Experience, esperienza
di morte imminente), testimoniano esperienze
paragonabili degli organi dei sensi. Ci ritorneremo.
Ho perciò provato a vedere se c’è una corrispondenza tra il
percorso di chi nasce e quello di chi muore. Per mostrare questo parallelismo,
ho giustapposto ogni fase della nascita alla fase corrispondente della morte. Non è
certo che un mucchio di ipotesi, una nuova griglia di
lettura, ma ha il merito di fare un chiarimento su quel momento così essenziale
della fine della vita.
Prima tappa della nascita: la “decisione” di nascere.
Ho messo la parola decisione tra virgolette, perché questa
fase non è cosciente che raramente nella nostra cultura. Gli etnologi conoscono
bene i rituali di
certe tribù pellerossa per esempio, dove il vecchio, sapendo che deve morire,
chiede di radunare la parentela. Quando, dopo molti
giorni di viaggio, sono tutti arrivati, li saluta con un cerimoniale prima di
ritirarsi nella sua tenda. “Si presenta” per morire! Da noi, le tracce di quella coscienza della
morte vicina mi sono giunte a diverse riprese da testimonianze di famiglie che
riguardavano un parente morto di morte improvvisa. Dopo il fatto, si sono
ricordati degli incontri affettuosi richiesti dallo scomparso poco prima della
morte, una messa in ordine inabituale dei propri affari o strane frasi sulla propria morte, che nessuno allora prendeva sul serio.
Elisabeth Kubler–Ross ha descritto molti casi di
bambini, le cui parole e disegni annunciavano
chiaramente la propria morte, il proprio distacco. Tutte quelle testimonianze
dicono la stessa cosa: in una parte di loro, sapevano che “era deciso” di
morire. In generale le persone subiscono quella decisione all’apparire di una
malattia mortale.
Seconda tappa della nascita:
il
lungo corridoio del ventre o la lunga fase delle contrazioni non espulsive. Si sa quando questo comincia, ma non quando finirà. La forza
brutale del ventre sottomette il bambino al gioco delle contrazioni. E’
un’immensa prova di durata e d’impegno nello sforzo per andare verso l’uscita.
Il bambino non ha che una scelta. Andare con le contrazioni o lottare contro di
loro… Ora scopre che se non avanza soffre. Durante questa tappa gioca un potente corpo a corpo con la madre,
di cui sente tutti gli stati d’animo.
Seconda tappa della morte: il lungo corridoio delle perdite
funzionali.
La fine della vita ha le sue contrazioni, la sua prova
d’usura: le perdite funzionali inesorabili punteggiate da qualche tregua più o meno lunga. Le
forze brutali della malattia sottomettono il morente al gioco delle diminuzioni
e perdite dei ruoli. Ma, se il bambino deve stare
nello sforzo, il morente deve imparare a lasciar andare. Come il bambino, il
morente non ha come alternativa che lottare contro le perdite, opponendosi pur
subendole, o di andare con loro approfittando di ciò che resta. In questa fase,
come nel parto, si assiste a un corpo a corpo
psicologico tra il morente e i suoi familiari. Egli sente tutte le loro paure, tutte le tensioni confuse con le sue. Questa tappa contiene
le differenti fasi del lutto descritto da Elisabeth Kubler–Ross:
diniego, rivolta, contrattazione, depressione, le montagne russe della speranza
e della disperazione.
Terza tappa della morte: i punti di blocco del me.
E’ la fase cruciale
che attiene all’attaccamento affettivo centrale (a un
parente, una responsabilità, un ruolo, un bene…). Malgrado
il morente abbia già perduto la maggioranza delle funzioni corporee e il suo
corpo non sia che un inferno di disfunzioni, lotta con accanimento per
mantenere un ultimo controllo sul corpo o sul mondo esterno… Fin là si era
rassegnato alle perdite precedenti, ma ora perdere significa perdere tutto,
tutta l’identità del me. E, come al bambino, occorre al morente una dose di
sofferenza insopportabile per avere il coraggio eroico di sacrificare ciò che ha
di più caro, il suo bisogno di essere questo o quello.
Viaggio alle frontiere della morte.
Prima di proseguire con le tappe extrauterine, devo
precisare che quelle fasi mi hanno dapprima interessato per il loro parallelo
con certe esperienze molto particolari che sopravvengono alle frontiere della
morte: le NDE. Il vissuto riportato da persone dichiarate clinicamente
morte per un arresto cardiaco o respiratorio, per esempio, somigliano alle
tappe 4, 5 e 6 di una morte per parto cesareo, cioè senza le contrazioni di una
decadenza fisica preliminare.
Ma
riassumiamo rapidamente lo svolgimento delle principali fasi di una NDE.
Dapprima il morto si trova proiettato fuori dal corpo,
ondeggiando al di sopra di questo in uno stato di benessere, senza alcuna emozione
o interesse per lui. Vede e sente tutta la scena che si svolge, di cui
testimonierà più tardi con una precisione stupefacente. Meglio,
come se un velo gli fosse caduto dagli occhi, percepisce perfino i pensieri
delle persone presenti. Poi attraversa un tunnel nel quale può
incontrare parenti già deceduti. All’altro capo del tunnel, vede il film della
sua vita nei minimi dettagli e in visione panoramica. Percepisce d’un tratto la
vera portata dei
suoi atti e vive il loro impatto sugli altri. Ora tutti riportano che il solo
giudizio presente è il loro. Nella fase seguente, vissuta da circa il 10% dei
soggetti, si trovano tuffati in una luce indicibile. La parola che torna
costantemente è l’Amore incondizionato mai incontrato sulla terra. Vivono il
Perdono ultimo, quando la loro imperfezione umana incontra l’Amore assoluto.
Questa esperienza è di
una tale potenza che più niente al mondo li attira.
Pertanto, avendo raggiunto un certo limite, devono cambiare
cammino e indossano
di nuovo lo scafandro del loro corpo.
Attualmente, 8 milioni di testimonianze nel mondo attestano quello
svolgimento nelle sue grandi linee a diversi gradi.
Potrebbe darsi che i “quasi morti” della NDE vivano in un tempo concentrato ciò che l’agonizzante vive in
modo diluito in molti giorni? Le NDE ci sembrano indicare che il morente guarda
sempre più lontano, come attraverso una vista lunga: dapprima il suo corpo e
gli umani attorno, poi tutta la sua vita passata, per infine intravedere una
dimensione molto al di là dell’umano. Nel processo
della nascita descritto da Bernard Montaud, al contrario, il bambino vedrebbe
sempre più vicino; dapprima le condizioni terrene, poi la condizione
umana in generale e infine l’interiorità della propria madre. Ho provato a comprendere le mie
osservazioni vicino ai morenti alla luce di quel nuovo chiarimento.
Ma riprendiamo il processo delle tappe extrauterine, precisando
che, nel bambino come nel morente, possono essere mescolate tra loro.
Quarta tappa della nascita: l’uscita dal ventre.
Il bambino lascia il ventre della madre, pur restandovi
attaccato con il cordone ombelicale. Vive dapprima un gran sollievo, il piacere
di un’improvvisa libertà, seguito dall’incontro brutale delle condizioni
terrene come l’aria fredda, la luce violenta, i rumori.
Quarta tappa della morte: l’uscita dal me.
A partire da questa tappa il morente entra nello stato
chiamato agonia, mentre il suo spirito guadagna in altezza di vista. La fine
delle identificazioni, ma soprattutto il fatto d’avere abbandonato la presa,
gli danno un senso di sollievo e di libertà. Staccato
dai ruoli, entra in una grande distanza emozionale che
lo porta al di sopra della mescolanza umana.
Mentre in questa fase il bambino subisce il mondo fisico, il
morente subisce il mondo psichico di chi lo circonda, il tormento affettivo, le
afflizioni e i sensi di colpa. “Loro non piangono la mia morte, ma piangono perchè li lascio. Quando
si muore il peggio è il peso dei vivi”, diceva una paziente dieci giorni prima
di morire.
Quinta tappa della nascita: l’incontro con l’imperfezione
umana.
In questa fase, il neonato è curato dall’ostetrica. E’ il
suo primo incontro con un campione umano che certo è professionale, ma senza
legame d’amore. Il cordone è tagliato e lui scopre la condizione umana: la dissociazione
del corpo dalla mente. Gli umani hanno tutti la stupefacente
facoltà di essere presenti con il corpo e altrove con la testa. Lui
soffre terribilmente di essere toccato da mani assenti e vuote. Così,
focalizzandosi su quello che non ha nessuna importanza
per lui, come i suoi piedi o il suo corpo, chi lo accudisce lo fa oggetto delle
sue cure, dove solo il corpo ha importanza ai suoi occhi.
Quinta tappa della morte: vedere la propria imperfezione o
il bilancio della vita.
A differenza del bambino che incontra l’imperfezione della
nostra umanità così divisa e incosciente, il morente incontra la totalità della
propria vita con tutta la sua imperfezione. Come nelle NDE è davanti alle
motivazioni e alle conseguenze vere delle sue azioni. Durante l’agonia,
i morenti non parlano più molto e raramente dicono a cosa si trovano
confrontati in quella revisione della loro vita. A
volte osserviamo una certa agitazione, a lamenti o semplicemente vediamo che
non arrivano a morire. A volte ci sono alcune parole udibili, come quelle di
una morente a una figlia handicappata che aveva
sofferto della sua distanza e della sua durezza: "Dio mio, come hai dovuto
soffrire!"
Sesta tappa della nascita: l’amore condizionato dei
genitori.
Il bambino è portato alla sua mamma. Mentre aveva sperato che i genitori fossero diversi dalle
levatrici, scopre il loro amore così imperfetto, così condizionato paragonato
all’incondizionato e alla perfezione dell’esperienza intrauterina. Per la prima
volta, il neonato scopre che ignorano tutto di lui e di ciò che sta
attraversando. Non è visto per quello che è, perché esiste solo nel loro mondo
di proiezioni e di desideri. Ha già il suo posto nello scacchiere familiare,
con il compito di riunire o separare la coppia parentale, di procurare alla
madre importanza agli occhi del marito o di essere
colui che è sempre di troppo… Quella percezione porta il neonato al limite
della resistenza nervosa. Per preservare l’equilibrio psicologico, sarà
obbligato a usare il suo primo meccanismo di difesa.
E’ il senso della tappa seguente.
Sesta tappa della morte: l’Amore o l’assenza d’Amore.
Questa fase dovrebbe essere l’incontro con la luce d’Amore
delle NDE. Ora, solo il 10% dei soggetti delle NDE raggiunge quell’Amore, non
ce ne sono di più negli agonizzanti. Non posso che sollecitare l’importanza
dell’amore tra il morente e i suoi cari. Come molti assistenti, ho io stessa visto agonie che non finivano mai e, appena una data
persona andava al capezzale del morente,
lui si spegneva. In assenza dell’amore interno, questo deve venire da fuori,
dai parenti e dagli assistenti. Ma succede anche che ci si trovi di fronte a un viso così raggiante e sereno che una presenza luminosa
nascosta ai nostri occhi è indubitabile.
Settima tappa della nascita: l’installazione dello schermo o
la chiusura dei grandi organi di senso per percepire meno e soffrire meno in
questo mondo.
Perdendo i “grandi occhi” non è più nel mondo, ma nel “suo” mondo. Il traumatismo della nascita sembra avvenire per
migliorare le condizioni del parto, perché la più gran sofferenza viene
attraverso l’umano. Così l’impronta di quella sofferenza prima e unica diviene
la base della sua personalità, anch’essa unica, e attraverso di lei sente di
esistere. Tutta la vita l’essere umano tenta di difendersi
contro quel primo dolore, pur riproducendolo inesorabilmente, come per
ritrovare i propri riferimenti originali.
Settima tappa: la morte o il togliere lo schermo.
Non occorre alcuna spiegazione.
La testa in avanti o all’indietro.
In conclusione, quel processo ci chiarisce sulle diverse
difficoltà inerenti alla morte, ma anche su certi vantaggi Ne ho rilevati
alcuni :
- Se
il 97% dei neonati nella nascita si
presentano con la testa in avanti, solo il 3% all’indietro, la proporzione è
invertita, mi sembra , alla fine della vita. Una piccolissima parte di persone
comincia la morte “con la testa in avanti”, con un “si, vado!” . La maggioranza si presenta all’indietro. La ragione
principale di quella differenza mi pare essere nel fatto che il bambino è a
termine, mentre la maggioranza dei morenti non si sentono né pronti né compiuti
ed è logico che rifiutino
la morte. E se la lotta contro le contraddizioni servisse a
guadagnare del tempo per andare allo scopo di ciò che si ha da compiere sulla
terra!
-
La percezione del
dolore è strettamente legata al senso o all’assenza di senso.
Una donna potrebbe sopportare le contrazioni dolore del parto, se non
conoscesse il loro senso: la dilatazione del collo uterino perché il bambino
possa nascere? E non è l’assenza di senso che rende
insopportabile la fine della vita, intollerabile la degradazione fisica?
-
Nella seconda tappa,
quella delle contrazioni del corpo decadente, incontriamo la lotta accanita
contro la malattia, la speranza di guarire e la disperazione dell’aggravamento.
Si dice che la
speranza fa vivere, direi piuttosto che fa durare.
Il giorno in cui
un medico ha detto a una paziente leucemica che non
c’era più nessun
trattamento possibile, ha esclamato: “Finalmente è finito
l’inferno della speranza!”; è
diventata calma e distesa, non esprimendo più che i desideri
di ciò che voleva ancora
prima di morire. Approfittare di quello che resta, ecco il grande vantaggio che permette
davvero di vivere in questa fase.
-
La tappa dei punti di
blocco sembra intimamente legata alla capacità o no di lasciar andare o di
accettare di perdere per vincere altrove. Le perdite servono, come le
contrazioni uterine, a preparare un passaggio, ma per il quale non si passerà
che spogliati di tutto. Per l’ego è impossibile vedere un senso
al di là della sua persona. E meno ha un senso, più la
lotta sarà accanita e più bisognerà reggere un dolore insopportabile per
lasciar andare, Ora, è evidente che più la sofferenza è grande, più la
tentazione del suicidio o dell’eutanasia sarà forte. Invece di uscire dal me
verso un nuovo stato di coscienza, prenderà la via della disperazione.
-
Credo che la vicinanza
della morte abbia la virtù di spingere l’uomo verso il meglio di sé; grazie
all’imminenza della morte, diventa capace di dire o di agire in un modo prima
impensabile. Il vantaggio per il morente e i suoi cari mi pare di andare
all’apice dell’amore possibile. Ma il principale vantaggio sta secondo me a monte del processo del morire. Infatti,
se il 20° secolo ha iniziato la preparazione al parto durante la gravidanza,
non succederà nel 21° secolo di iniziare nel corso della vita una preparazione
al parto finale?