Nascere è “non- nascere”…senza morire.
3ème Millénaire n. 83 – Traduzione della dr.ssa Luciana
Scalabrini
In una notte molto
strana, “sognavo…” che ero una particella piccolissima nell’universo siderale,
volevo “nascere”. Urlavo in un silenzio glaciale: “voglio vivere”, ma il tempo
scorreva inesorabilmente. Avevo l’impressione che i secoli passassero ed ero
sempre nella mia supplica: “Voglio esistere!”. Poi in un batter d’occhio, vidi
miliardi e miliardi di manifestazioni della varietà della vita. Vidi il mistero
della trasformazione e lo straordinario amore nascosto nei cambiamenti di forma
disseminati nello spazio- tempo. Presi allora la misura inaudita del miracolo
d'esistere, di ciò che vuol dire essere, apparire nel mondo, nascere sotto
forma di un essere vivente. Stavo per “non- nascere”…
Quando mi sono “svegliato”, l’indomani, conservavo nel cuore
il ricordo santo della mia origine istantanea, poesia delle cose dell’inizio,
che si moltiplica miliardi di volte con lo stesso slancio, come se fosse la
prima volta…
La straordinaria avventura della nascita poteva prendere
vita e rinascere senza morire…
Quella odissea del
miracolo della nascita è da riscoprire ogni mattina nel mondo detto “reale”,
risvegliandosi alla resurrezione di ogni nuova giornata.
In quel semplice risveglio mattutino è contenuto il segreto
del passaggio dalla nascita dell’umano e del mondo. Tutta la bellezza
dell’avventura umana è ritrovare quel potenziale, risvegliarsi a quel
passaggio, quello della nostra origine istantanea. Si rinnova in ogni
avvenimento quotidiano perché ogni luogo contiene la propria nascita. Tutti i
sensi, tutte le emozioni, tutti i pensieri e le azioni nel risveglio
partecipano a questa straordinaria festa della vita: imparare a non- nascere
infinitamente senza morire…
Interlocutore: Perché
usate il termine “non- nascere”?
D.C.: Ho notato che in
molti amici ricercatori, la parola rinascere o rinascita induceva la paura di
perdere la propria identità, la paura di perdere le proprie caratteristiche
psicologiche. Anche se questo modo di pensare all’evoluzione spirituale è
sbagliato, non drammatizziamo! L’evoluzione si compie in una successione di
risa più che di pianti. “Nel mondo di prima”, le paure causavano inquietudine e
angoscia mentre le paure trasformate procurano potenza. E’ per questo che parlo
di non- nascere senza morire. Quella precisazione toglie le proiezioni o le
credenze che oscurano e appesantiscono il cammino.
Quando i veli dell’ignoranza scompaiono, il reale si rivela
in tutta la sua chiarezza; quando il ricercatore smarrito diventa l’esploratore
felice, la sua coscienza applicata al quotidiano gli dà lo slancio della
saggezza e la contentezza di interrogare la verità.
La visione della realtà l’obbliga alla sincerità, alla
lucidità e alla discriminazione perché scopre il filo del suo labirinto
interiore.
Il suo slancio naturale è determinato ma senza volontarismo.
Fa di più che provare la gioia; la pratica.
L’esercizio delle sue azioni, pensieri, parole gli conferisce
una delicatezza umana molto più fine del ruolo non cosciente del “salvatore,
vittima o persecutore”.
Una nuova pedagogia dell’amore si calerà nella sua persona,
il suo fare e la sua gaiezza non saranno più legati ai portafortuna, ma
all’esperienza del soggetto che si emoziona per la sua presenza nel cuore di
chi vive. Il corpo se ne troverà slegato, sciolto e l’energia creatrice che
mette in opera gli darà la forza delle sue azioni. E’ la fine
dell’identificazione al ruolo del “essere perituro”, a profitto di una
coscienza costante, immortale e illimitata.
Interlocutore: Ma
sembra che per la maggioranza di noi la parola “nascere” significhi: essere
identificato con un corpo, con pensieri. “So che esisto, sono nato…dunque dovrò
morire…” Cosa ne pensate?
D.C. Si, l’immagine
che ho di me identificata con quel ragionamento mi costringe a vivere in una
gabbia mentale “sintonizzata su radio sofferenza”. I pensieri e le azioni che
ne derivano saranno fondate su questa sofferenza primitiva.
Interlocutore: Come non pensare alla morte dei propri
cari?
D.C. Ecco una
storia:
Un vecchio che sta morendo è vegliato dagli amici in
lagrime.
Apre gli occhi e scoppia a ridere.
Gli amici esclamano: “Perché ridi
mentre noi piangiamo?”
“Rido perché è la paura della vostra
morte che vi fa piangere”
E muore ridendo.
Senza drammatizzare, ma senza concessioni, guardiamo quel
che succede quando compensate o negate l’immagine della paura della vostra morte…(risa): i giorni passano
come una nostalgia o una mancanza! Il mondo è conosciuto e non offre più
sorprese, è una sfilza di sepolture coi suoi pianti, le sue fatalità, le sue
spiegazioni, i suoi commenti che accompagnano la morte della vita! Questo vi
dice qualcosa?(risa).
Interlocutore: Se
sono sincero con le mie inquietudini, si .
D.C. E’ buon
segno…, perché siete consapevole dell’immagine che vi chiude in un ruolo di
“vegliardo” che ha banalizzato tutto, invece di vedere “ciò che è altro e
differente”.
Se aveste coscienza di quel ruolo, potreste prendere
distanza da quell’automatismo “me” e ridare vita a quel bambino stupito,
gioioso, creativo, che ha l’avventura negli occhi e il cuore nella scoperta
della sua metamorfosi.
Abbellire la propria vita si, cambiarla no, Sperimentarla si, pensarla no.
Interlocutore:
Dobbiamo dunque morire all’immagine del falso me e del falso mondo?
D.C. Si, e ciò
significa non – nascere al mondo “conosciuto” e all’immagine “conosciuta” che
ho di me per non rinchiudermi in una gabbia memoria.
Ecco uno dei primi segreti per non restare prigionieri di
quella gabbia “immagine–me”, che trasforma la diversità infinita in una
“flatulenza cerebrale” (risa)
Come vi sentite?
(lungo silenzio) Sento quello che dite più che comprenderlo,
ma mi sento semplificato! Stranamente aperto al silenzio e ai rumori che ci
circondano…
D.C. Sentite la
differenza tra radio–presenza e radio–sofferenza?
Come una progressiva ritirata delle idee e dei pensieri a
beneficio della contemplazione di quello che è immediato, non è vero?… Come una
realtà più silenziosa, primordiale e affettuosa della nostra esistenza, prima
di sintonizzarsi per abitudine sulla frequenza di radio –sofferenza.
Interlocutore: Si, come un passaggio tra l’esteriorità e
l’interiorità, tra essere al riparo o essere fuori, esposti alle intemperie.
D.C. Quel passaggio
è la scoperta della gioia di essere liberi, liberi di passare da una riva
all’altra, in un rapporto con il reale quotidiano come si presenta. Il
risveglio a questo passaggio dinamico
tra il tempo–orologio e l’ “atemporale–ora”, dà la perfezione di cui l’umano è
capace.
Il passaggio tra essere vittima dei tormenti del mondo e la potenza silenziosa universale, è un ponte tra la finitezza del mondo e il suo sorgere. Questo va e vieni ininterrotto è un movimento permanente che riporta l’universo ad ogni cosa. “Ogni uno” di noi vi è invitato immediatamente. Senza prendere appuntamento!
L’essenza dell’opera umana è ritrovare questa verità. La
grazia che ne segue cambia il soggetto umano in figlio glorioso della saggezza
e da qui risa, modestia e libertà si impareranno e si personalizzeranno nel
proprio quotidiano…
Interlocutore: Toh,
si direbbe che non ho più idee, non penso più!
D.C. Le idee vengono
dal pensiero mentre le intuizioni
primordiali sorgono dall’esperienza immediata. Le idee si danno così tanta
importanza che attirano l’attenzione di chi parla, favoriscono l’atteggiamento
irrazionale e aprono la porta a tutti i deliri.
Sentite ciò che significa per voi non-nascere delle idee del
pensiero “morte” senza morire?
(silenzio)
Interlocutore: Mi
sento presente, nuovo…, per niente stanco, con una forza di vivere…
tutto è nuovo! Si direbbe che sto per nascere!!!
D.C.: La vera presenza è il frutto della cancellazione
rinnovata… Nessun destino, nessuna fatalità, nessun modello esplicativo, nessun
a priori, nessun giudizio.
Avete una domanda?
(Silenzio) No. Sono senza domande! Vivente senza domande!
D.C. Voi siete la risposta, no? Voi siete la risposta nuova!
Come una nuova vita, una interrogazione vissuta sempre rinnovata senza perché o
come!
Interlocutore: Ho
l’impressione di aver attraversato il muro del suono mentale… il Big bang del
mistero…
D.C. Voi siete il
mistero, senza le abituali forze opposte: la domanda che aspetta la risposta. Eccovi diventato il mistero in seno al quale la domanda
diventa la risposta. Una domanda si vive in sé, essa non chiede come un
mendicante, si anima in se stessa, non è una mancanza. Qui non è più un
interrogatorio, non si ordina in argomenti logici, è rivelatrice, innegabile,
creatrice, cristallina, illuminante, gioiosa ed eclatante nella sua essenza
assoluta.
Interlocutore: Ora
che il tempo falso e il falso soggetto non esistono più, vorrei tornare nella
storia della vostra infanzia. Quando avete avuto l’impressione di “non–nascere”
per la prima volta?
D.C. Ora… in questo “qui”… intimo tra noi due, lì dove si
cambiano i nostri silenzi in parole… (risa).
Da bambino ero felice di giocare a “si direbbe che sono
David”. Ero come tutti, avevo degli amici, ma ero di più di questo. Vivevo
giorno e notte in una dolce presenza intima, meravigliosamente misteriosa e
protettiva. Gli avvenimenti di superficie (famiglia emigrata, povertà e
difficoltà parentali) avevano poca presa sul mio ancoraggio interiore.
Le notti e i giorni erano i miei territori di gioco e la
voglia di giocare e rigiocare all’interno della mia mente si è fortificato come
uno slancio naturale. Ho attraversato i primi anni della mia adolescenza in
quella qualità interiore perché sapevo “rientrare dentro di me”.
Poi alla fine dell’adolescenza, certe qualità di presenza
sono un po’ svanite… Mi sono identificato con David adattato dalla famiglia e
dalla società. Poco a poco ho perso quel contatto intimo.
Il cattivo umore, le reazioni e il corteo di sofferenze
hanno fatto la loro comparsa nella mia mente. Ero diventato ribelle, proteggevo
il mio ego senza saperlo! Poi, verso i 25 anni, ci fu una chiamata, una notte,
ho rivisto chi ero, non era un sogno, non era un sogno… assistevo allo
spettacolo della mia unità ritrovata. Dopo essere nato identificato “con
l’immagine me, vita, morte”, io stavo per non–nascere senza morire illuminando
il mondo della interiorità. Là cominciava uno straordinario cammino verso il
risveglio…
Scoprire lo spazio del mondo interiore della mente umana dà
la chiave “io sono quello”, il passaggio tra il dentro e il fuori, l’alto e il
basso, destra e sinistra, il prima e il dopo.
Interlocutore: “La
linfa è all’interno del grano, delle radici, del tronco, dei rami, dei fiori, del
profumo. Non è questa vita che spinge l’esteriorità coesistendo infinitamente
con essa stessa!” (citazione da 3ème Millénaire n.78 L’autoconoscenza unifica).
Potete descrivere più precisamente i passaggi che danno
accesso a quella presenza rinascente?
D.C. Ecco alcune piste pedagogiche per Imparare ad imparare a non–nascere senza usare concetti di gerarchia, senza negare lo straordinario insegnamento che ne deriva!
Scoprire il passaggio tra:
il mentale e la distrazione dà
l’onnipresenza;
il senso e la realtà dà il
nettare della vita;
il passato e il futuro dà la
potenza dell’istante presente;
le paure e la vittima dà il
coraggio intrepido dell’azione;
la collera e la pace dà la gioia
duratura;
l’indifferenza e la reazione dà
l’innocenza dell’amore;
l’amore e l’odio dà la non
–dualità;
il giudizio e il senso di colpa
dà l’autonomia spirituale;
un uomo e una donna dà il divino
incarnato;
io so e non so dà l’onniscienza;
Nascere e morire dà
l’immortalità;
la malattia e l’essere in buona
salute dà la guarigione;
la sofferenza e il dolore dà la
quiete;
i lamenti e il nichilismo dà il
ridere;
le cause e gli effetti dà
l’invincibilità;
le forme e le non forme dà la
vacuità;
il silenzio e la parola dà la
saggezza;
le cose e la loro origine dà
l’intelligenza pura;
due pensieri dà la sorgente del
pensiero;
il giorno e i sogni dà la
libertà creatrice;
il sogno profondo e il giorno dà
il miracolo d’esistere;
la pagina bianca e la scrittura
dà la saggezza;
la verità e l’errore danno la
giustizia;
i sogni e il sonno profondo dà
il risveglio.
Nascita dell’istante…
Io sono scintilla di diamante,
una polvere di vita,
un intervallo d’istante,
rinascente, io sono.
Questo passaggio non è esoterico, è
In ogni sguardo,
in ogni ascolto,
in ogni parola,
in ogni emozione,
in ogni incontro.
E’ un atto d’intelligenza pura,
è un’energia pura,
è una comprensione senza la
ragione,
è un’evidenza semplice e
gioiosa,
danzante, divertita, divertente.
Ciò che scoprite
Non è un oggetto
Non è uno stato
Non è uno stato
Non è una sicurezza, ma
UNA FRAGILITA’ ONDEGGIANTE
In quel cuore così intimo ma
dilatato all’infinito
Io sono quella scintilla a cielo
aperto
Nel cuore del quale prende
nascita
La fragilità d’essere,
La fragilità di manifestarsi,
La fragilità di dimenticarsi,
La fragilità della prima volta
Quella fragilità non è
difensiva,
non sa ancora pensare agli attacchi e alle difese,
è un passaggio a cuore aperto.
Il principio di rinnovamento
Di questo intervallo di grazia
Tra la nostra anima individuale
e l’anima del mondo,
è un passaggio che non si
imprime
che una sola volta…
Ritrovare il passaggio,
Il legame,
L’intervallo,
Lo spazio,
è il tempo benedetto del
passaggio, il luogo dove la potenza dell’eternità sgorga d’istante in istante.
Qui si rinnova la matrice delle cose e dei pensieri da dove si propagano le
idee.
Non è un passaggio mistico, ma
un luogo
Di verità e di concretezza.
Quando lo scoprite,
Fate un incontro straordinario.
Scoprite il segreto dei segreti
Entrate nell’Ordine dei Misteri.
Il Gesto.
Quando scoprite la chiave e la
serratura,
Non scoprite uno stato di
coscienza,
Scoprite un gesto da fare e
rifare.
Quel gesto è sempre da rifare
nello spirito della prima volta
Migliaia di volte
Milioni di volte
Miliardi di volte
E’ un gesto
divertito,
ludico,
gioioso,
semplice,
gaio,
che confida.
La buona novella.
E’ che questo si realizza
sempre,
Non potete lasciarlo,
Non potete lasciarvi,
E’ un appuntamento che non
potete mancare.
Vi è rappresentato
Ridonato,
Vi è offerto
E Offerto di nuovo.