3ème Millénaire n. 81 –
Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini
La questione della verità…è una questione? Veramente? La verità non è per la maggior parte di noi di vivere, cioè di pensare, sentire, agire, la risposta che abbiamo accettato riguardo alla vita, ciò che essa è e come dovrebbe essere vissuta?
Molte
persone, in particolare i giovani, non attraversano la vita
pieni di domande e nell’errore? Non sono inconsciamente orientati da
quella che credono essere la verità?
In altre
parole, non riconoscendo ancora la verità che vivono, questa non si basa, molto
semplicemente, su una interpretazione di azioni
passate, dettate anch’esse da un condizionamento anteriore?
Qualsiasi sia la loro età, certi, che credono di conoscere la
Verità della loro verità, desiderano o sono spinti a condividerla con altri. Quelli
che si considerano religiosi, atei o agnostici, vivono la loro verità come se
fosse la Verità. Si riferiscono a quella per giudicare
la loro vita e quella degli altri. L’estremismo e il militarismo sono una possibilità intrinseca, data la dualità in cui si trovano quelli che accettano la Verità in
questione come quelli che la rifiutano.
In un
momento d’estasi, un giorno, furono riunificati in un’unità, tanto che allora
poterono dire “si” con entusiasmo alla Verità che gli si era rivelata. Quel
momento d’estasi è scomparso e resta loro da vivere in un mondo di
tentazioni a cui devono dire no, e ancora no.
E’ la paura
dell’ipocrisia quella di
non accordare la loro vita ai loro discorsi che è all’origine delle loro
proiezioni?
O la loro collera nei confronti di
quelli che non accettano la loro verità? Più ancora, il fatto d’essere visti
come chi incarna la tentazione? La guerra interiore non essendo che un riflesso
di quella esteriore? La guerra interiore essendo
inconsciamente proiettata all’esterno, si accetta provvisoriamente quella
guerra, si affronta o ci si ritira.
Lasciamo da
parte un momento la questione della differenza tra Verità e verità,
e poniamoci una domanda che porta maggior apertura, ma anche più pericolosa,
sapere cos’è la verità. Non la Verità, ma la verità.
La verità
non è quella a cui crediamo ogni momento? Perché in questo
preciso istante noi incarniamo questa verità. La sentiamo e la
esprimiamo agli altri e a noi stessi. Nella misura in cui la verità è unica per
ciascuno (in funzione del tipo umano, della sua polarità, della sua esperienza
e di altre influenze), ci si deve sorprendere della
discordia delle persone? Le verità non sono solo individuali, sono anche
fondate su quelle della
famiglia, del gruppo, della tribù, e, più tardi, della nazione. Allora è così
sorprendente aspirare senza posa alla pace e all'armonia?
Alla fine,
la discussione essenziale non porta tanto su ciò che è la verità e a come
conoscerla, ma sull’ottenere la pace e l’armonia.
La verità
non sarebbe altro per noi che il mezzo per arrivarci. Se il nostro interesse
per la Verità non fa che nascondere il nostro desiderio di pace e d’armonia
(come lo sa la maggioranza dei dittatori e dei fanatici ), ci apriamo a una quantità di falsi consigli e di altre promesse
menzognere. Detto questo, constatiamo che la differenza tra verità e Verità costituisce il soggetto fondamentale dei filosofi e
degli scienziati, queste famose macchine per pensare, macchine cerebrali che
lottano con quell’argomento dal sorgere della prima domanda: “Perché?”.
L’ingegnosità dei movimenti dei nostri filosofi e le sottigliezze delle
scoperte scientifiche importano purtroppo poco, perché il sorgere di un
movimento e di una nuova scoperta scientifica contradditoria
non tarda ad apparire. La Verità pare essere un bersaglio che si muove.
La verità,
come ci è data dalla Chiesa, è fissa; essa non è più
in movimento - è la sua attrattiva principale. Perché il punto centrale della
religione non è la Verità Razionale dei filosofi e degli scienziati, ma la
Verità Rivelata, cioè la rivelazione mistica. Quelli
di noi che sono identificati con lo spirito razionale non
si sorprendono per il giudizio dato a quel tipo di rivelazione, considerata non
come sovrarazionale, ma come irrazionale. Ebbene, resterà sempre così finché ci limiteremo al punto di
vista della Verità Razionale.
La Verità
Rivelata, che per definizione non è soggetta alle prove razionali, è stata attraverso gli anni un polo d’attrazione per i
fantasiosi, i superstiziosi, i pazzi, i megalomani. Essa risponde a una fame, a un bisogno di compimento, di lasciare
l’incertezza per il mondo della Verità sempre stabile. E
tutte le domande sulla verità non si cancellano di fronte a chi continua il
funzionamento meccanico e incosciente della sua vanità e del suo amor proprio? Come esempio rivelatore prendiamo il soggetto dell’anima.
Per molti non si tratta di una questione. Vivono nel postulato che hanno
un’anima. La questione è
perciò di purificarla, di non perderla ecc. E se non avessimo
l’anima? All’origine, nell’Egitto antico, solo il faraone si considerava che
possedesse un’anima. Poi, passando il tempo, solo i nobili la possedevano.
Oggi, tutti ne hanno una. C’è una terza situazione tra quella di avere un’anima
e quella di non averla? In altre parole, se ne può creare una? E se si, come?
Ma questo ci porta lontano dalla
questione della verità.
Dunque ritorniamo al punto che abbiamo
lasciato: il Rivelato e il Razionale. E’ possibile che questi due modi si siano
scontrati all’epoca in cui gli esseri umani cominciarono a sperimentare e a
pensare la loro esperienza. Se il modo razionale di
dialogo è una guerra mentale, il modo rivelato è spesso un’espressione
emozionale e viscerale e può degenerare in scissione, odio, o in guerra totale.
Così è il
quadro storico e sociale in seno al quale è posta la
questione originale. Se il lettore ha fin qui seguito, possiamo dirigerci verso
il luogo dove siamo tutti, cioè la persona. Così
facendo, utilizzeremo il Razionale per andare verso il Rivelato e forse
dimostreremo provvisoriamente che non partecipano delle due differenti realtà,
ma di una sola.
In
gioventù, momento dove si vive nella confusione, all’epoca in cui il suo mondo
di sogno personale era improvvisamente naufragato, senza prospettive
d’avvenire, l’autore scrisse a uno straniero. Questo
distribuiva il suo denaro a piene mani ai passanti. La lettera gli domandava
una sovvenzione per andare in India a studiare “la vita e la morte sul Gange”. Ma se il denaro era reale, il personaggio non lo era. Era
fuggito da un manicomio (le informazioni non dicono se aveva beneficiato troppo
o troppo poco del Razionale o del Rivelato ). Settimane più tardi, arrivò una
lettera con la dicitura “non consegnata”. Leggendo la lettera, il suo redattore
vide che le parole erano scritte perfettamente e sensate, invece le premesse
erano irreali. Vedendo questo, poi vedendo la propria firma al fondo della
lettera, ricevette uno choc che arrestò la sua mente,
lasciando una calma profonda. Ciò che gli risuonò come un colpo in pieno viso erano le questioni di cui aveva discusso
intellettualmente, ma che non aveva mai sperimentato intellettualmente –
emotivamente – istintivamente. Chi era? Chi aveva scritto quella lettera?
Fu una
questione Rivelata, non Razionale. Il redattore della lettera viveva, come la
maggioranza, senza saperlo, nel Razionale. Inconsciamente, la morte del suo
sogno lo lasciò in un vuoto psicologico, una specie di nulla personale. La
vista della firma, una firma che non era lui, fece
nascere istantaneamente una domanda che venne a scontrarsi con la pagina bianca
della sua mente. Il suo centro intellettuale ricevette uno
choc: chi era questo? La forza dello choc fu tale che
fu inghiottito anche il centro emozionale.
Sono citati
i centri perché in seguito il nostro redattore, diventato ricercatore di
verità, entrò in un insegnamento esoterico, le cui pratiche fondamentali mirano
subito a verificare razionalmente i fondamenti del detto insegnamento. Uno di
questi fondamenti era la costruzione dell’essere umano in tre centri:
l’intelletto o il razionale, l’emozionale o il sentimento, e l’istintivo –
sessuale. A quell’esame, il ricercatore osservò il funzionamento e il disfunzionamento
di ognuno dei centri, ma constatò anche che ciascuno di loro aveva la propria
personalità. Un centro desidera, un altro no.
Conflitto interiore. “Si” e “no” all’infinito finché uno dei due si estingue, o
fino a che uno choc non fa pendere la bilancia.
L’osservazione,
quando fu spinta più lontano, mostrò che non solo ogni centro aveva una
personalità propria, ma aveva anche le proprie verità e le proprie credenze, cioè il “me” che tutti credono essere l’unico me e prendono
di volta in volta la direzione dell’entità corpo – cuore - pensiero. Ciò che prendiamo comunemente di
noi stessi come uno, ed è conosciuto così, è una
verità sociale. Ma l’indagine condotta dal ricercatore, che
si basava sulle pratiche del ricordo di sé e dell’osservazione di sé, condotta
nel giusto modo, lo portò ad ammettere che non era l’Io indivisibile, l’Io che
credeva di essere; al contrario, egli era multiplo. L’osservazione rivelò che ogni “ io del momento” è una viva
incarnazione della sua verità di quel momento, determinata dallo choc esterno e
interno dato dalla realtà fisica.
La scoperta
più radicale fatta a questo punto era che non solo non siamo
ciò che crediamo di essere, ma che non abbiamo il corpo. In altri termini, non
c’è nessuna coscienza risvegliata del corpo. Noi viviamo nella testa, in un
mondo mentale, e non diveniamo coscienti del corpo che per il bisogno di
nutrirci, di bere, per il desiderio o la paura. Passiamo la vita ad ascoltare
le voci nella nostra testa che ci danno la loro verità
del momento. Prendiamo ciascuna di quelle voci, che sono instabili, con il loro
programma, per noi stessi, per quello che siamo.
Divenire
coscienti del corpo significa che dovremmo spegnere la
“radio “ riorientando la nostra attenzione nel corpo. Questa redistribuzione
dell’attenzione rende chiara la testa e allora possiamo osservare la verità del
momento, cioè si manifesta quell’io, o, più tardi,
un’impressione diretta, pura, dell’Immediato.
Come molti
ricercatori seri, il nostro, guidato dal suo insegnante (perché nessuno eccetto
i geni spirituali, si può risvegliare senza guida), dopo molti anni di pratica
e domande, giunse a sperimentare direttamente che, ciò che è preso per il
nostro sé ordinario, o la vita ordinaria, non è più
così ordinario. Si produce una transizione. Il tempo psicologico si ferma.
Appaiono la calma e lo spazio. Le impressioni, una volta statiche, divengono dinamiche, dimensionali. L’Immediato si offre; il
mondo fisico diventa metafisico.
L’interpretazione
dell’esperienza vissuta può essere simbolica, mitologica o archetipica. Può anche passare alla discussione sulla
stessa pratica, chiedendosi
cos’è il sé nel ricordo di sé. Ci si risveglia a livelli di pregiudizio,
d’identificazione, di sonno, sempre più nascosti nella psiche, tutti centrati attorno
a ciò che si
dice il “me”, quello che si prende per il “sé”. La Coscienza è scoperta nel
riconoscimento vivente dell’unità nella pluralità. E’ possibile perfino andare
fino al punto in cui si ha la percezione senza chi
percepisce. O, come dicono alcuni, coscienza senza oggetto (sottinteso che
l’assenza di oggetto significa assenza di soggetto).
Abbiamo
dunque tracciato il cerchio nella sua totalità, un cerchio
che lega il Razionale al Rivelato. Disponendo di una
considerevole scala, dal basso all’alto, è un’esperienza in marcia.
E’ la
verità?
Chi fa la
domanda?