Personalità ed Essenza
3ème Millénaire n. 86 – Traduzione della dr.ssa Luciana
Scalabrini [202]
3m. Se osservo il mio comportamento nella vita quotidiana, constato subito un certo automatismo nelle reazioni. Esso sembra sempre attivarsi, davanti ad un dato avvenimento, con la stessa modalità, lo stesso schema di risposta. C’è una ragione per questo?
J.R. Si, c’è una
ragione ed è una buona ragione. Se dovessimo rispondere con coscienza ad ogni
stimolo della vita, non avremmo abbastanza coscienza per esserne capaci. La
meccanicità ci permette di rispondere a molte situazioni della vita
automaticamente ed è una buona cosa. La personalità è fatta per questo, cioè
per rispondere alle situazioni della vita in modo automatico. Non ci sono
sforzi da fare, in ogni momento, per rispondere con spontaneità ad una
situazione data quando conoscete già la risposta appropriata, perché la
situazione si è già presentata.
Ora, il problema è il seguente: la macchina umana, che
possiamo chiamare così perché dotata dell’energia automatica dei centri, ha
preso l’iniziativa. E l’essenza, che è la parte reale di noi stessi, è
diventata passiva. Così, oggi rispondiamo a tutto ciò che si presenta
attraverso la personalità, con un meccanismo. Le esperienze che abbiamo non si
fondono con la parte di noi che è importante. Pertanto quell’equilibrio può
essere ribaltato, se è la personalità che guida. Questa si mette in opera verso
i sei o sette anni ed è attraverso di lei che cominciamo ad esprimerci. Siccome
non riceviamo un’educazione giusta, l’essenza rimane passiva fin dall’inizio.
La sede della personalità è nel
cervello, nella testa; lì è l’apparecchio formatore. La sede dell’essenza è
nelle emozioni. Siccome non siamo stati educati sul piano emozionale, l’essenza
non ha nessuna possibilità di trovarsi in contatto con la vita. La personalità
diventa attiva e prende forza sempre di più e nello stesso tempo l’essenza
diventa passiva. Questa è oggi la situazione.
3m. L’inizio di tutto
è dunque in un’educazione impropria. C’è modo di rimediare a tutto questo?
J.R. Il problema è
che per educare i bambini, noi adulti dobbiamo essere educati. Noi siamo
arrivati a credere che il solo bisogno dei bambini fosse un’educazione
intellettuale. Li mandiamo nei collegi migliori, nelle migliori università e
loro ottengono un master, poi un dottorato, ecc. Crediamo che sia solo
necessaria un’educazione intellettuale.
Dobbiamo cominciare con noi stessi, con la realizzazione che
dobbiamo veramente sviluppare le nostre emozioni, voglio dire le emozioni
positive. Perché le emozioni negative sono lì! Dobbiamo cominciare a vedere che
cosa sono le emozioni. Prima di tutto studiare come reagiamo, come rispondiamo
emozionalmente agli avvenimenti, vedere come siamo immaturi sul piano
emozionale. Studiando, osservando, cominciamo ad apprendere. Il sistema di
sviluppo della quarta via si basa sullo sviluppo emozionale dell’uomo.
Questo sviluppo accompagna quello delle facoltà e delle possibilità del corpo.
Perché noi non abbiamo scoperto il tesoro che si trova nel corpo umano.
Leggiamo per esempio in un negozio che il tale o il tal’altro cibo ci fa bene.
Ma questo è solo nella testa! Dobbiamo veramente avere il contatto col corpo in
tutti i modi possibili. Il corpo ha una sua memoria, un suo modo di essere in
relazione con gli altri, ha una vita propria. Dobbiamo andare in ogni sua
parte. Se immaginiamo di vivere in una casa a tre piani, siamo a pianterreno,
senza conoscere gli altri piani. E lì spesso si trovano gli altri modi di
percepire. Abbiamo questa possibilità, di percepire in modo differente il
mondo. Ma, ecco, siamo dei sottosviluppati ed è lì che si trova la causa della
nostra miseria e sofferenza. Non è perché siamo meccanici. E’ perché reagiamo a
tutto quanto succede in modo meccanico.
3m. Ma la
meccanicità ci porta al tempo stesso a desiderare di non lasciare il
conosciuto, a non voler visitare gli altri piani, malgrado il desiderio di
eliminare la sofferenza, di essere pacificati.
J.R. Il primo
problema dell’umano è la paura dell’incerto. La mente ama le cose che già
conosce. Non appena cade su qualcosa di differente, di sconosciuto, la mente lo
rifiuta. La paura è quella del futuro. Cosa succederà domani? Forse mancherà il
denaro? Perderemo la casa o il lavoro? Abbiamo paura del futuro, preferiamo
assestarci sul presente, e questo ci dà un senso di sicurezza. Viviamo come
poveri, mentre abbiamo il potenziale di essere veri umani, ma abbiamo paura
dell’ignoto. Qualunque cosa si dice alla gente, a meno che non abbia avuto
esperienza di quel profumo di vita e al tempo stesso della sua mancanza di
gioia e che c’è qualcosa di meglio, niente è possibile. Cristoforo Colombo, per
fare quello che ha fatto ha preso della gente speciale, insoddisfatta dello
status quo. Gente che non poteva stare dov’era e cercava qualcosa di
differente. Quella passione viene dal cuore. Abbiamo bisogno di un centro
magnetico perché è quello che crea delle persone che cercano altri modi per
svilupparsi. In generale, quando parlate alle persone, non capiscono di cosa
parli, dicono che stanno bene così; molto poche vogliono fare un passo avanti.
3m. Per andare al di
là della meccanicità, è necessario avere in partenza quel gusto dell’ignoto,
quell’intuizione che qualcosa è possibile in altro modo?
J.R. E’ come per
ogni situazione della vita. Quando siamo
piccoli speriamo sempre che qualcosa accada, che cambierà la situazione.
Reclamiamo con nostra madre. Poi vediamo che non è possibile. Poi ci si dice: “molto
bene, quando la scuola sarà finita, tutto andrà meglio”. Ma una volta
finita la scuola, ci si rende conto che non è cambiato niente. Poi il collège,
poi il lavoro… “quando sarò indipendente, andrà meglio. Poi mi sposo ed è
perfetto”. Poi i bambini. Aspettiamo tutto il tempo che qualcosa cambi la
nostra vita.
Non realizziamo che non è l’esterno che cambia le cose, ma
che questo deve venire da dentro.
La gente dice: “vado in un paese diverso e finalmente là
sarò felice”. Ma portate voi stessi come siete. Per prima cosa, non è
cambiare posto, ma lasciar indietro se stessi. E diventate capaci di cambiare
le cose. Non sono le condizioni esterne che ci devono cambiare, ma il nostro
modo di percepire la realtà, la vita.
3m. Ci sono ostacoli
interni, nodi emotivi, che sono cose grosse di fronte a noi. Come sciogliere
quei nodi che ci costringono alla meccanicità? Il lavoro su di sé permette
all’energia di crescere. Ma, arrivati a un certo stadio, la disperdiamo
totalmente con un ritorno di fiamma alla personalità, ai suoi desideri, alle
sue pulsioni…
J.R. Comprendo. Quei nodi sono tutti emotivi. Sono messi da piccoli. Chiamiamoli traumatismi. Un trauma è come un taglio. Qualcosa si è inscritto nelle emozioni. Nell’infanzia siamo feriti molto profondamente. Nascondiamo questo e quando intanto diventiamo adulti, non possiamo attribuire il nostro comportamento a quegli avvenimenti della nostra infanzia. Non ne vediamo l’origine, non percepiamo che il nostro comportamento, le nostre reazioni, le nostre risposte alle situazioni della vita. Questo viene da ciò che chiamate i nodi, i traumi.
Ciò che è importante è che i traumi sono stati messi
artificialmente nel nostro emozionale, si nutrono delle nostre emozioni, ne
hanno bisogno.
Quei comportamenti assorbono la vostra attenzione. E voi
dite: “è reale, è quel che sono, sono io”. Ma non è vero, non è la
realtà. E’ solo una parte di voi, e questo non fa che rispondere a un trauma,
un condizionamento dell’infanzia. Se cominciamo a ritirare la nostra attenzione
dai comportamenti, se mettiamo la nostra attenzione a un posto più appropriato,
in uno stato di coscienza, diventiamo capaci di percepire, di vedere noi
stessi.
Appare l’osservatore.
Cominciamo a vedere che quei traumi nell’osservatore non
esistono. L’osservatore è libero da loro.
I traumi non esistono che nel nostro sé inferiore. E’ lì che
si manifestano. Se passiamo ad un più alto stato di coscienza, non possono
agire, perché la nostra attenzione non è disponibile per loro. L’attenzione è
come l’acqua che può permettere ai condizionamenti di crescere e di avere
radici molto profonde nella nostra psiche.
Se chiudete l'acqua, che è la vostra attenzione, e la versate da
un’altra parte, quei traumi cominciano a morire, a perdere il loro potere. Ma
la gente pensa che parlandone si possano eliminare.
3m. E’ la questione
dell’analisi psicanalitica…
J.R. Si. Quello non
può essere realizzato con la parola. Perché quell’azione si svolge dentro di
voi, è la vostra attenzione che va da una parte verso un’altra. E generalmente
questa seconda parte è più rilassata, è nel corpo. La vostra attenzione si
porta nel corpo e andate sempre più verso un rilassamento del corpo. E
lasciando che il rilassamento si faccia nel corpo, anche le vostre emozioni si
rilassano. Tutti quei comportamenti derivati dai traumi, si manifestano con
tensioni, e producono reazioni.
Sono le tensioni che generano reazioni.
3m. E poi la
reazione è più rapida della testa, non la si vede.
J.R. Infatti. E
tutte quelle reazioni assorbono energia che sarebbe molto utile. Le energie se
ne vanno per nutrire quello stato artificiale. Allora abbiamo meno opportunità
di trasformarci, perché abbiamo meno energia. Abbiamo bisogno di energia di
buona qualità per trasformarci, migliore di quella dell’energia puramente
meccanica.
3m. Questa
trasformazione necessita di un’energia più fine, ma non c’è solo la questione
della qualità, ma c’è anche quella della quantità. Qualità e quantità sono
entrambe necessarie insieme?
J.R. L’energia
dell’attenzione è legata all’energia della sensività. Una sensibilità libera
offre la possibilità di una maggiore quantità d’attenzione. Certo, se c’è la
qualità, ma manca la quantità, perdete la qualità. Dovete essere capaci di
avere la vostra attenzione sotto controllo più a lungo. Perché l’attenzione è
sempre stimolata da ciò che accade fuori. Potete guardare un film per due ore e
mezzo e la vostra attenzione è catturata dallo schermo. Ma è un’attenzione
automatica, che non ha niente a che fare con l’attenzione che dovete mantenere attraverso
voi stessi. Abbiamo bisogno di sviluppare un’attenzione libera e questa deve
essere diretta. Dirigo la mia attenzione al mio corpo, per esempio, alla mia
respirazione e quella respirazione ha
una qualità di presenza differente. Dal momento in cui la mia attenzione è
libera dalle associazione del pensiero, dalle associazioni mentali che si fanno
da sole, la qualità della mia presenza si modifica. Divento più me stesso, sono
più cosciente di me stesso. Quanto tempo posso mantenere questo? Dipende da ciò
che ho fatto prima. Se non faccio niente, nessuna meditazione, nessuna
osservazione, nessun movimento, allora non è possibile niente.
3m. Se mettiamo
l’attenzione sul corpo, questo è possibile per un certo tempo e allora l’ego è
privo di energia. Ma una volta che l’attenzione torna al livello ordinario,
l’ego e le sue manifestazioni ricompaiono, forse anche più forte se l’ego
avverte che la sua fine è prossima. Quando ritorna si dice: la via è libera,
festeggiamo! E’ un ostacolo pesante in questo lavoro, un po’ come Sisifo che,
quasi giunto a spingere il suo roccione in cima alla montagna, lo vede rotolare
giù...
J.R. Passiamo dalla
personalità, quando dormiamo, quando siamo nel funzionamento automatico, a più
essenza quando ci svegliamo. Siamo più vicini all’essenziale. Dunque la prima
tappa per svegliarci è liberare la nostra attenzione. Dovete essere attenti a
dove si trova l’attenzione, perché viaggia nel corso della giornata. E’ su un
pensiero, poi su un altro. Poi arriva un’emozione e attira l’attenzione. Poi
abbiamo fame e l’attenzione è sulla fame. Tra quei momenti in cui l’attenzione
viaggia dall’uno all’altro, possiamo dirigerla intenzionalmente. Basta la mano
sinistra: dirigo l’attenzione verso la mano sinistra, e anche mentre vi parlo o
analizzo una o l’altra cosa, una parte dell’attenzione è sulla mano sinistra.
Questo mi pone in uno stato differente. Se questo se ne va, cosa che avviene di
sicuro, continuo a parlare, ma dormo. Infatti non sono lì. La mia attenzione è
imprigionata nel processo che si svolge, qualunque esso sia. Ma quando dirigo
l’attenzione, non sono più intrappolato. L’osservatore è lì, perché metto la
sensazione e la libera attenzione. Dunque, ogni volta che la vostra attenzione
è libera, sperimentate uno stato differente da quello in cui la vostra
attenzione è intrappolata. In questo modo cominciate a imparare: quando fate
certe cose, la vostra attenzione è legata, in altre siete più liberi, più
capaci di vedere la vostra vita in una prospettiva più ampia. Vedete i momenti
in cui non siete identificati con la situazione e la vostra coscienza è più
aperta e più distesa. Nella misura in cui la vostra attenzione è imprigionata
nella meccanicità, la vita non ha alcun senso. Siete solo una macchina
reattiva.
3m. Quando proponete
di portare l’attenzione per esempio sulla mano sinistra, è la testa che prende
la decisione. E’ ancora un processo mentale?
J. R. Si, è
l’inizio. Prima vi ricordate di fare quello.
La prima tappa è realizzare che la mia attenzione è intrappolata. Dove
sono? Siete nei pensieri o nell’emozione. Nel momento in cui ve lo domandate,
comincia il cambiamento. Ora oriento il pensiero alla mano sinistra. Si, è con
la testa. Ma ora sono a contatto con la sensazione. Il pensiero e la sensazione
lavorano insieme. Due centri sono insieme. Non sto pensando a ciò che accade,
ma tengo l’attenzione sulla mano. Poi arriva l’emozione e comincia a
partecipare al processo. Comincio a ricordarmi di me stesso. Questo ricordarsi
di sé ha molti strati, come una cipolla. Cominciate dallo strato più
superficiale, dite vado sulla mano, poi sulla respirazione, sugli
occhi…Guardate ciò che vedete e avete una prospettiva, siete coscienti di
vedere le cose, in una visione diversa, siete coscienti della loro profondità.
E così col gusto, o l’udito. Tutte le vostre facoltà sono nel presente. Allora
avete il piacere di quel ricordarsi di sé, che può essere molto profondo e
portarvi fino a Dio.