Daniel Roumanoff
Psicanalisi e
liberazione
3ème Millénaire n. 84 – Traduzione dr.ssa Luciana Scalabrini
Psicanalisi e spiritualità spesso non vanno molto d’accordo,
anche se i loro ambiti coincidono, forse proprio perché coincidono.
Infatti la psicanalisi è
venuta a cacciare sulle terre tradizionali della spiritualità. Spiritualità e
psicanalisi trattano tutte e due ciò che succede nell’uomo, all’interno dell’uomo. Percorrono entrambe lo stesso terreno e le reciproche
accuse testimoniano la stessa incomprensione e la stessa
mancanza di conoscenza sia da una parte che dall’altra.
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Certi spiritualisti,
che contestano la scienza, lo fanno opponendo alla scienza
analitica e razionale la fede, l’adesione del cuore, l’irrazionale. Noi non li
seguiamo su questo terreno. La scienza fa parte della conoscenza come la conoscenza spirituale: scienza esterna e scienza interna
sono due aspetti della scienza e l’una non è completa senza l’altra.
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Altre ancora attaccano
Freud accusandolo di riduzionismo perché il suo metodo tende a voler spiegare
il complesso con il semplice, il superiore con l’inferiore, lo spirituale con
il materiale. Pongono allora lo spirituale come un “a priori” che esiste
indipendentemente dalla materia. Questo ci riporta alla antica teologia che
pone l’esistenza di Dio o dello Spirito o della Coscienza prima della materia.
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Anche quando è accettata l’esistenza dell’inconscio, certi
rimproverano a Freud di avergli dato un posto troppo grande, quasi tutto il
posto. L’inconscio può esistere, ma parallelamente può
esserci posto per lo Spirito o per altre forze che non hanno niente a che
vedere con l’inconscio. Questo è un usurpatore che ha detronizzato
il vero sovrano delle profondità: lo Spirito Santo!
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La contestazione
tradizionale rifiuta in blocco le idee freudiane. Conserva le presentazioni tradizionali:
Dio, Creatore, Spirito Santo, diavoli e demoni. L’inconscio freudiano gli
appare come un’immonda cloaca per il posto centrale dato alla sessualità. Essa
non può che opporsi alle concezioni che riducono l’uomo alle sue pulsioni più
elementari. Le più vili, le più basse, le più animali. No, l’uomo è, grazie a
Dio, altra cosa!
E’ Freud soprattutto il
bersaglio principale. Gli rimproverano essenzialmente di spiegare
ciò che c’è di più elevato nell’uomo con i suoi bassifondi e di proiettare le
proprie nefandezze sul resto dell’umanità.
Quando si sente
dire che Freud attacca
i valori tradizionali, bisogna comprendere che
attacca le false credenze, i pregiudizi, l’illusione. Ciò
che è “vero” in
una tradizione non
può essere toccato
da nessun attacco. La contestazione freudiana della tradizione è come la
via indiana che cerca di eliminare manas, il mentale, la
sorgente dell’illusione.
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Per la contestazione
neo-spiritualista d’ispirazione junghiana, l’inconscio non è più unicamente
malefico. Esso forma la trama essenziale della psiche umana, diventa sinonimo
di Spirito Santo, è la presenza del divino nell’uomo. La sessualità, certo, ha
il suo posto, ma non occupa più una posizione centrale. La libido si allarga e
diventa l’attrazione in generale.
L’inconscio diventa il Salvatore. Indica la
buona direzione, quella in cui l’essere troverà il suo compimento. L’inconscio
è il campo in cui si affrontano le potenze del bene e quelle del male. Jung
identifica l’inconscio nella sua dimensione superiore alla quaternità.
L’inconscio è divenuto Dio.
Nelle profondità si affrontano gli dei e i
demoni di cui i miti ci riportano le vicende. Jung reinterpreta così i miti,
riabilita i simboli, s’interessa dei segni.
Pertanto quella opposizione
comincia a estinguersi e si osserva no da una parte e dall’altra dei tentativi
di avvicinamento.
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Già certi spiritualisti
riconoscono l’importanza delle scoperte della psicologia per meglio comprendere
il proprio ambiente. Ciò che interessa è poter parlare di ciò che succede
nell’uomo senza utilizzare termini religiosi, senza fare appello alla
trascendenza.
Alcuni preti o monaci cristiani consigliano
delle psicanalisi prima di entrare negli ordini (Illith, Michel de Certeau,
Jean Francois Catalan, Raymond Hostie, Drewerman). Altri cercano di utilizzare
la psicanalisi per uno scopo spirituale.
Catalan traccia una lista di
vantaggi che un ricercatore spirituale può trovarvi ( comprendere la risonanza
umana dell’esperienza, vedere che non c’è spirituale puro) e barriere da
evitare (riduzionismo, considerare che la via spirituale è una proiezione (
monismo) o inversamente che psichismo e spiritualità sono due cose separate (dualismo),
fare attenzione al rischio di confusione: niente Dio nelle strutture psichiche
(Jung), niente concordismo: psicanalisi e fede.
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Parallelamente certi
psicologi si sono interessati alla spiritualità. Jung è certamente quello che
più ha contribuito a gettare ponti e a introdurre una
dimensione spirituale nella psicologia.
Jung vuole integrare le tenebre. E’ interessante
perché sembra inglobare la diversità. Introduce una dimensione spirituale, ma a
che prezzo! E’ popolare tra gli spiritualisti. Rifiuta il primato della
sessualità; la libido diventa appetitus.
Privilegia l’attuale e la regressione. Questo
significa che
le reminiscenze della sessualità infantile sono fantasmi di un’epoca più
tardiva che il soggetto proietta sul suo passato. Lavora sui sogni ai quali
attribuisce un contenuto simbolico: espressione del bisogno di trascendenza…
quaternità. Introduce gli archetipi e l’inconscio collettivo, l’occulto è
onnipresente. Manifesta simpatia verso ogni esperienza
religiosa, i miti, l’alchimia.
Tutto è trattato in maniera vaga e nebulosa.
Scivola verso la fusione globalizzante, l’imprecisione e la confusione. Dopo
Freud egli “si prende per un profeta”.
Al seguito di Jung, il movimento del Potenziale
Umano e della Psicologia Umanista insistono sullo sviluppo della persona che
deve mirare alla piena espressione delle sue potenzialità (Gestalt, Analisi
Transazionale, Bioenergia) Più radicale, il movimento della Psicologia
Transpersonale cerca di andare al di là dell’individuo
(Fromm, Progoff, Maslow).
Tutti quei tentativi però sono insoddisfacenti.
La psicanalisi si trova frenata, deformata, recuperata dalla spiritualità che
distrugge il suo lato innovatore; in parallelo la spiritualità si trova in qualche modo fagocitata dall’approccio psicanalitico.
Swami Prajnanpad è il solo a nostra conoscenza ad essere riuscito a compiere una
vera integrazione nella quale ciascuno degli approcci conserva il suo posto
intero e completo.
Swami
Prajnanpad e la psicanalisi.
Swami Prajnanpad, nonostante alcune riserve sui
limiti di Freud, ha sempre espresso una grande ammirazione.
Lo ammirava per “la sua grande mente”, e la sua lotta
difficile per la causa della verità e diceva che “la struttura totale della
psicanalisi era costruita su questo uomo particolare” e che era il prodotto di
un solo uomo. Appare chiaramente dopo la lista dei libri che aveva Swami
Prajnanpad, che studiò in modo approfondito e meticoloso, che tutto questo
appartiene alla scuola freudiana. Infatti Freud
fornisce il quadro concettuale al quale Swami Prajnanpad ha dato un’estensione,
una portata, che offre un orizzonte nuovo, ma a cui è poco probabile che Freud
avrebbe aderito se l’avesse conosciuto.
Swami Prajnanpad usa le nozioni di inconscio, di rimozione, di libido, di proiezione, di
regressione, di identificazione… Usa tutte queste nozioni, ma sempre al
servizio dello scopo che cerca: rendere accessibili le grandi verità delle Upanishad in modo che diventino
esperienze vissute e non siano una tradizione morta, di cui ci si contenta di
ripetere le parole o su cui si commenta, abitudine così consueta in India, che
l’espressione Vedantino in parole è passata nel linguaggio corrente.
Ci si può domandare allora perché ricorrere alla
psicanalisi e non restare nel quadro del Vedanta. Cosa porta di più la psicanalisi? Di primo acchito appare
più scientifica e più precisa. La presentazione che dà del funzionamento della psiche è argomentato, razionale. Non si riferisce ad alcuna autorità esterna né ad alcuna rivelazione, usa un
linguaggio specifico che permette di vedere da un nuovo angolo una problematica
antica. Infine Swami Prajnanpad ci vede un metodo razionale di
esplorazione del funzionamento dell’inconscio e la possibilità di
rendersene liberi, anche se questo non corrisponde alla visione di Freud.
Swami Prajnanpad non contesta mai Freud, ma
cerca ogni volta di espanderlo. Così l’inerzia delle origini di Freud diventa
la Neutralità, l’Equilibrio, l’Assoluto, il Brahaman delle Upanishad. La pulsione di morte non è
altro che il nirvana o estinzione del
me. La coscienza della felicità dell’embrione è l’Assoluto fisico. E ciò che caratterizza l’uomo è il suo desiderio d’infinito,
che niente saprebbe soddisfare che l’infinito stesso.
Sarebbe interessante rintracciare l’evoluzione
di Swami Prajnanpad e vedere come è passato da una
pratica che si riferiva esplicitamente a Freud, poiché i suoi allievi la
chiamavano psicanalisi a quella di manonasha (distruzione del mentale), ma non disponiamo che di pochi elementi per poterne
dare una descrizione precisa.
Ciò che sappiamo di più preciso è che Swamiji ha
cominciato a praticare delle analisi al Kashi Vidyapith, dopo il suo ritorno
dall’Himalaya e che le proseguì dal 1925 al 1930.
Le sedute in cui “ l’inconscio
viene alla superficie”, sono chiamate psicanalisi dai suoi studenti indiani. Swamiji accetta il termine.
Più tardi, verso il 38, lo rifiuterà
e parlerà di manonasha, termine tratto da Yogavasistha.
Dunque Swami Prajnanpad non prenderà né tutto
Freud, né ciò che non pareva sufficientemente fondato.
Scriverà molto più tardi: “Ciò che gli psicologi e saggi orientali hanno visto nella
sua pienezza, gli psicologi occidentali, particolarmente Freud, l’hanno messo in evidenza, parzialmente e un po’ superficialmente”.