Michael Siciliano
Diventare un essere umano. (Dall’uomo- robot all’uomo di cuore)
3ème Millémaire n. 86 – Traduzione
della dr.ssa Luciana Scalabrini [197]
3m. L’uomo può
essere assimilato a un robot? Se
si, a partire da quando questo si attua in un essere umano e perché?
M.S. Direi che la
prima grande ragione che ci conduce la maggior parte
del tempo a essere nella ripetizione e nella reazione automatica, è che siamo
non coscienti.
Non abbiamo veramente nessuna idea
che le nostre reazioni, ciò che facciamo, diciamo , il modo in cui lo diciamo,
è meccanico. Sono dei processi appresi. Quei meccanismi derivano dai nostri
programmi.
Sono cose che abbiamo appreso dalla nostra nascita, e anche
prima. Quando eravamo nel ventre di nostra madre, abbiamo cominciato a imparare diversi tipi di reazione perché potevamo sentire
come reagiva nostra madre a certe cose, a certe energie e questo ci ha
programmato. Più tardi le nostre esperienze da bambini ci programmano. Esempio:
bambini, piangiamo, ma i genitori non sopportano i pianti e
esce un “taci” in tono di collera. Il bambino cresce. Crescendo, la paura del
genitore cresce perché questo ha della collera, ma il bambino non comprende la
collera. Un giorno il genitore picchia il bambino e da quel giorno il genitore
porta una camicia rossa. Per il resto della vita, ogni volta che il bambino
vede una camicia di quel genere, prova paura.
Quella esperienza ha programmato in lui un meccanismo automatico.
Lì non si tratta di decisioni, ma di un programma. Non c’è nessuna
decisione quanto alle persone con la camicia rossa, nemmeno quando il bambino
cresce. A meno che la persona diventi cosciente, ogni volta che vedrà qualcuno
con quel tipo di camicia, sentirà qualcosa di forte che altera la sua energia e
probabilmente lo allontana dalla gioia. “Mamma, ho sentito un forte rumore
dentro, ho paura”. “No, non c’è nessun rumore; non c’è da aver paura”. Ora,
c’era un rumore. Ecco un altro tipo d’esempio, che spiega come il bambino
cominci a non fidarsi più della sua esperienza, del suo sentire, perché per un
bambino la mamma è dio, lei sa.
Così quei programmi si imprimono in
noi fin dall’infanzia: l’informazione entra, invade la persona, e il meccanismo
si ripete in seguito ancora e ancora, anno dopo anno.
Si potrebbe dire che siamo come un computer, in cui inserite
i programmi che volete, tutti quelli con cui volete
lavorare. Il computer farà esattamente ciò per cui è
programmato. Possiamo paragonarci a dei robot.
Non agiamo secondo quello che siamo perché non sappiamo nemmeno chi
siamo, non ci conosciamo. Abbiamo perso tanto di questo fin dall’infanzia. Non
comprendiamo che quelle reazioni non sono noi, pensiamo che siamo noi. “Ma si, sono io, io
le faccio, dunque sono io!” Mentre sono solo azioni e parole, anzi reazioni automatiche.
Quando siamo nei meccanismi automatici, non c’è relazione.
Non ci sono che scenari impressi in noi che si ripetono
lungo tutta la vita , che colorano ogni aspetto della
nostra vita se non facciamo niente per diventare consapevoli, coscienti di
quello che siamo veramente.
Non c’è bisogno che un avvenimento si ripeta
per programmarci inconsciamente per il resto della vita. Un solo avvenimento basta a
indurre in noi un comportamento automatico, inconscio.
Per esempio, se sento tristezza, o gioia, o qualunque cosa
faccia sorgere un sentimento o un’emozione, quando si
verifica un avvenimento simile, potranno sorgere la stessa emozione o lo
stesso sentimento, a mia insaputa, in modo automatico.
Vi domanderete perché facciamo questo. E’ che non conosciamo
un altro modo. Siamo non consci, non facciamo attenzione, non c’è vigilanza.
Non siamo nel momento presente.
Un altro esempio: quanti di voi avranno
detto: “Non sarò mai come mio padre, non farò mai come mia madre”. Ho sentito questo da molti, compreso me da adolescente:
per me la cosa peggiore che potessi fare nella vita era essere come mio padre,
allora la pensavo così. Era un uomo collerico e faceva cose che non avrei
desiderato fare. Ma il tempo passa, io cresco e tutto a
un tratto, nel mezzo di un’azione, mi fermo, per realizzare che era la stessa
tonalità e le stesse parole di mio padre. Questo è successo più o meno spesso,
secondo le situazioni. Ho visto chiaramente che diventavo ciò che non volevo diventare. A quel tempo non avevo nessuna comprensione
dei programmi, della condizione umana. Quando vedete,
in effetti, che agite come vostro padre o vostra madre, è lì l’inizio della
presa di coscienza che non siete voi e che agite esattamente nel modo in cui le
cose si sono impresse in voi.
3m. Questi
automatismi invadono non solo le azioni, ma anche pensieri e parole in ogni
momento della giornata?
M.S. Si. Cresciamo
pensando che pensieri parole e azioni siamo noi. C’identifichiamo con quei
programmi, con quegli automatismi. Quello è il nostro condizionamento.
Cominciare a prendere coscienza di questo, dà la possibilità di aprirsi
all’umano in sé, alla relazione invece che alla reazione, di essere
responsabili invece che vittime.
3m. Allora alla fine
nel mondo non cosciente, non è tanto la situazione o la persona di fronte che ci interessano davvero, ma piuttosto la persona o la
situazione ci permettono di mettere in moto la nostra programmazione e i nostri
meccanismi. Parole, pensieri e azioni non sono connesse
con chi sono io e dipendono dalle credenze, illusioni e meccanismi coi quali mi
identifico e con cui mi esercito per tutta la vita.
M.S. Si. Un esempio:
sono un collerico. Parlo a uno che non mi ascolta, non
veramente. Ciò mi procura una frustrazione. Non esprimo ciò che sento, ed ecco
la perfetta occasione per attivare la mia collera e per rimproverare l’altro
che non mi ascolta. Ecco un esempio di come utilizzo una situazione esterna per
attivare un meccanismo, la collera invece di comunicare e comprendere ciò che
succede in me: il bisogno di essere ascoltato.
Negli anni ‘70, mi sono impegnato nel cammino spirituale.
Una cosa che m’interessava molto come padre: allevare bene il mio bambino, come
allevarlo in coscienza. Ho ricevuto molte risposte e ho cominciato a lavorare
con quelle risposte.
Ecco una piccola storia a proposito dei programmi perché
molti di noi pensano che la maggior parte dei
programmi che riceviamo siano negativi e non necessariamente è così. Da bambini
riceviamo molte belle cose, molte cose che ci portano gioia. Ora, può darsi che le cose che riceviamo non corrispondano a ciò che va bene per noi. Ciò che va bene per
uno, può non andar bene per un altro e possiamo scoprirlo quando cominciamo a
scoprire chi siamo.
Un esempio: ho spesso portato mio figlio a campeggiare sulle
montagne del Colorado. Al mattino, uscendo dalla tenda, mi estasiavo al sorgere
del sole. Ebbene, mio figlio, diventato adolescente e
poi giovane adulto, quando partivamo a campeggiare insieme, si estasiava
davanti allo stesso tipo del sorgere del sole. Ho visto la mia responsabilità in quanto genitore, che dovevo fare una grande attenzione al
mio parlare, a ciò che dicevo, per non programmare mio figlio. E’ stato uno
schok. Anche rispetto alle cose belle, crescendo mio
figlio era attirato dalle stesse cose da cui io ero attratto. Dunque, i comportamenti automatici riguardano anche le cose
belle, non solo quelle negative. Riguardano tutte le cose della nostra vita.
Un altro esempio di programmazione molto frequente: la
credenza che se usciamo senza sciarpa o a piedi nudi ci possiamo ammalare. Fin
dall’infanzia ci crediamo e cosa succede? Se non
usciamo abbastanza coperti, ci ammaliamo.
Realizzare tutta la nostra responsabilità nell’influenza che esercitiamo sui
nostri bambini, sugli altri, è l’inizio. In seguito dobbiamo metterci in azione per cominciare a trasformare
questo.
3m. Che cosa può aiutare un bambino a crescere diventando
veramente se stesso e non un insieme di reazioni automatiche impresse
dall’ambiente e dalla società secondo quello che vogliono che lui diventi?
M.S. Se è dato
spazio al bambino ed è allevato in modo cosciente, la combinazione delle due
cose permette al bambino di imparare da solo. “Non mettere le mani sul fuoco,
ti bruci”: il bambino non ha ancora fatto l’esperienza del fuoco, ma il
genitore ha tanta paura che il bambino sente una paura non naturale per lui. Quando si permette al bambino di fare l’esperienza del
fuoco, della fiamma, sotto la sorveglianza dell’adulto, il bambino farà da solo
l’esperienza che è caldo, molto caldo! E non avrà
tutta quella paura attorno a lui nell’anticipazione che “potrà bruciarsi”. Il
bambino avrà imparato che mettendo la mano nel fuoco, si farà male. Allora,
dando al bambino dello spazio, perché possa imparare da solo, per sentire e
sentirsi a proprio agio con quel che sente, qualsiasi sia, dare al bambino più
coscienza possibile, gli permetterà di crescere nel rispetto di ciò che
veramente è.
3m. Che fare come
genitori che cercano di allevare il loro figlio in modo cosciente tutte le
volte che sarà in presenza di persone che agiscono in
modo inconscio?
M.S. Sappiamo che è
impossibile fare attenzione in modo tale da non programmare un bambino anche in
modo positivo; ci sono cose che si diranno che
metteranno in moto una programmazione.
Ci sono genitori che costantemente insegnano ai loro bambini
tutto della vita: come sedersi, come camminare, come parlare, a non
arrabbiarsi, a non sentire il dolore, ecc. Ma tutte queste cose non sono che programmi. Mentre se
permettete al bambino di fare l’esperienza della vita, parlandogli con
intelligenza, se siete lì per dargli aiuto quando ne ha bisogno, se lo domanda,
cresce in modo molto differente dal bambino a cui non è mai stato dato spazio.
Così, quando si trova in presenza di persone che
agiscono con lui in modo inconscio, sarà lui stesso a distinguere chi agisce in
maniera corretta o no. Può vedere differentemente dalle persone che sono
totalmente programmate, perché avrà quella libertà in lui, la libertà che gli è
stata data di fare l’esperienza della vita. Questo dà al bambino lo spazio per
prendere le proprie decisioni, per crescere in lui, gli dà la forza di credere
nel suo sentire, di credere in sé, di sapere che le sue intuizioni sono giuste.
3m. Il bambino a cui
è dato spazio, su che cosa costruisce la sua personalità?
M.S. Su chi è lui,
sulle sue decisioni, non su quelle della mamma o del papà o su quelle della
società. Si costruirà su quello di cui lui stesso ha fatto esperienza, su ciò
che apprende, su ciò che vive.
3m. Allora per le persone che sono state
totalmente programmate, che è per quasi tutti noi, se siamo come dei robot,
dove è l’essere umano in tutto questo?
M.S. Nascosto
dentro, molto ben nascosto. Nascosti dietro tutti i programmi, tutti i giochi
del mentale che mantengono la persona nei programmi, dietro tutte le
manipolazioni del mentale per mantenerla nella “zona di confort” (la nostra
zona di confort si riferisce a tutto quello con cui siamo stati allevati, per
quanto possa essere non confortevole).
L’essere umano è nascosto dietro diversi strati, come il
cuore di una cipolla. L’essere umano è lì, all’interno, ma è ricoperto, e
questo lo fa assomigliare ad un robot più che ad un essere umano.
E perché abbiamo questo essere umano
all’interno e perché vogliamo qualche cosa, sappiamo che quel qualcosa è lì. Ma esteriormente ci manifestiamo molto diversamente, ci
manifestiamo attraverso programmi. Questa dicotomia crea conflitti
dentro di noi, molte frustrazioni, ansia…
Certi diventano alcolisti, bulimici, eterni fuggitivi, gli
esempi attorno a noi non mancano. L’interno sa che la vita dovrebbe essere
diversa, e tuttavia intellettualmente la persona non sa che c’è altro e questo
può creare molti problemi fisici e mentali.
3m. In cosa si può
considerare l’aspetto positivo delle nostre programmazioni?
M. S. C’è un aspetto
positivo nel fatto che l’essere umano sia così programmabile: mostra come siamo
ricettivi, assimiliamo tutto ciò che succede. E’ negativo quando non sapete che
è il robot in voi che agisce, quando non ne avete
coscienza. Ma una volta che ne avete coscienza e siete
presenti nel momento, potete agire sull’informazione che arriva senza che
questa diventi un programma; quella informazione può essere utilizzata
dall’essere umano, e questo è positivo, mostra che l’essere umano può
utilizzare ciò che riceve.
Diventa un problema quando è l’informazione che ci utilizza.
Se riceviamo un’informazione e non realizziamo che abbiamo ricevuto
un’informazione, che questa è entrata nella nostra programmazione, allora
questa informazione ci trascina. La qual cosa si rapporta così col mentale: è
il nostro mentale che ci utilizza o siamo noi a
utilizzare il mentale? E’ tutta questione di coscienza, di capacità ad essere
presenti nel momento.
3m. Allora come possiamo
fermare quella catena di reazioni automatiche, sulle quali costruiamo un falso
senso di identità e che ci impedisce di vedere chi
siamo veramente?
M.S. Cominciando a
cambiare le nostre abitudini, le cattive abitudini, le abitudini automatiche. Per
esempio, se avete l’abitudine di cominciare le cose senza terminarle, cercate
di terminare le cose cominciate.
3m. Si tratta dunque
di deprogrammare, per trasformarci in ciò che si è veramente?
M.S. Si. Abbiamo
bisogno di fermare le antiche abitudini, quelle che sono connesse ai nostri
programmi e incominciare delle nuove abitudini, le abitudini di un adulto. Dopo
aver fatto quel cammino, ci daremo lo spazio per vederci davvero, per vedere
ciò che emerge. Per esempio, se non amiamo qualcuno che è forte con noi
energeticamente, e la nostra abitudine era di tacere e di retrocedere rispetto
alla relazione, una nuova abitudine potrebbe essere davanti a quella persona,
ascoltarla, non prendere personalmente quello che dice e rispondere da adulto.
Questa nuova abitudine darà a voi e all’altro lo spazio per
essere diversi. Potete provare a fare questo da solo, ma l’esperienza mi
dice che si ha bisogno d’aiuto. Non è facile cambiare una cattiva abitudine.
3m. E l’osservazione di sé?
M.S. Si, vi osservate.
Ma avete la forza per andare contro, per combattere
con tutti quei demoni che tentano di mantenervi esattamente come siete? Quei
demoni, sotto forma di cattive abitudini, di cose apprese fin dall’infanzia,
avete la forza di combatterle? Lo farete per un po’ di tempo forse, ma la
durata? L’osservazione di sé è valida se è utilizzata in un contesto
di cambiamento.
3m. Allora
l’osservazione di sé da sola non basta e deve essere accompagnata da un
desiderio di cambiamento?
M.S. Esattamente.
Senza il desiderio di cambiare, la maggior parte delle persone non vanno da nessuna parte. Bisogna sviluppare la forza di
andare più lontano. Il desiderio di vedersi ciò che si è ad ogni momento. E’
doloroso vedersi fare tutte le cose che non sono noi. E’ avere il coraggio di
vederle, attraversarle e di andare dall’altra parte.
3m. Spesso
cambieremo le situazioni esterne per mantenere l’equilibrio dei nostri
programmi, per esempio cambiando partner, datore di lavoro ecc., lasceremo una
situazione, se spesso quella fuga ci consente di rimanere nei nostri
meccanismi.
M.S. Si, è un mezzo
che ci permette di rimanere dei robot. Molti si separano, lasciano il lavoro e
partono, partono, partono. Mentre
se restassero, se invece di fuggire lavorassero
sulla situazione, forse scoprirebbero qualcosa di molto diverso su se
stessi e sulla vita. Una persona che sente il bisogno di cambiare qualcosa
nella sua vita, se dapprima attraversa la situazione, se dapprima accetta di
vedere quello che è lì, in seguito o il cambiamento in questione non ha più
bisogno di esserci, o ci sarà in modo molto diverso, in coscienza.
Perché la fuga non è che il meccanismo stesso in azione, che
si mantiene nel cambiamento. Restate un robot, il vostro mentale vi guida. Non
siete voi ad utilizzare il mentale, ma lui vi usa. Fate ogni cosa per
abitudine, anno dopo anno.
Se
osserviamo attentamente, vediamo che, qualsiasi sia la persona o la situazione,
i nostri schemi o le nostre credenze sono inevitabilmente rinnovate. E con questo le sofferenze. Allora spesso, per mettere fine
alle sofferenze, cerchiamo di cambiare la situazione o il partner, fino a che prima o poi la meccanicità non ricomincia nella nuova
situazione. Rimaniamo ciechi alla realtà di ciò che è e cerchiamo di cambiare
l’esterno invece di usare questo per guardare all’interno e renderlo cosciente.
3m. E pensiamo che quegli automatismi siamo noi.
M.S. Esattamente. E lì non possiamo essere più lontani dalla verità.
3m. Allora chi siamo
noi se non siamo tutto quello?
M.S. Un essere umano
che pensa liberamente, che utilizza il suo mentale per fare le sue cose. Gli
amerindi dicono “diventiamo un essere umano” (quello che diciamo il processo di
diventare cosciente).
Come si chiama l’essere umano se il mentale vi comanda? Se
non volete essere un robot, imparate a utilizzare il
vostro mentale invece di lasciarvi usare. Imparate a farlo tacere e a metterlo
a riposo.
3m. Se si è più presenti, meno usati dal mentale, si può dire
che si è prima un essere umano nel cuore?
M.S. Si, se siete
presenti, siete nel corpo nel cuore, se non siete presenti siete nella testa, a
riflettere costantemente senza essere presenti a ciò che è.
3m. Allora cos’è
essere presenti?
M.S. Fermare la
mente, essere lì per ogni cosa che emerge. Quando siete presenti potete
sentire, siete veramente disponibili a ciò che è. Quando
siete nella testa, è la stessa cosa che riprodursi ancora e ancora. Siete nel
robot, non c’è spontaneità, non c’è creazione, siete nel mondo dei freni e
della limitazione. Quando siete presenti siete nella vita, nella creazione, nel
mondo del possibile, senza limiti, nella vostra essenza di esseri
umani.
3m. Proponete di
fermare il mentale. Ma chi in me riceve quella ingiunzione?
Mi sembra che non possa riceversi che sul piano orizzontale: “Si, è vero, provo
ad arrestare il mentale, perché è la cosa migliore”. Il mentale può fermare il
mentale? O si rischia che si provochi la cacciata o
l’allontanamento dei pensieri, danneggiandone la funzione?
M.S. Quando una
persona desidera almeno di riflettere su come fermare la mente, ha già qualche
base di una educazione sul piano spirituale che è
proprio di una persona abbastanza matura. In generale ognuno può dire “voglio
fermare la mia mente”. Anche chi legge questo articolo
ha un’apertura nell’umano, nello spirituale.
Così ogni persona è disponibile a lavorare su di sé, per
provare ad arrestare il mentale. Non si tratta di reprimere la mente al punto
da ridurla a un vegetale, tanto da non essere più
capace di fare il suo lavoro.
Prima di tutto, è molto difficile, la mente non si fermerà
facilmente nemmeno dopo prove di anni, ma potete
impiegare quegli anni per lavorare e praticare per iniziare a fermare la mente.
Una pratica in quel senso ha un primo stadio, non di fermare
la mente, ma di arrestare il corso del pensiero.
Se
non seguite il pensiero, aprite uno spazio bianco, prima del pensiero seguente.
Praticare così è un metodo. A poco a poco la mente allenterà
la presa su di voi, incomincerà a fermare il flusso incessante di pensieri
completamente inutili. E’ molto semplice.
Sono molto rare le persone che riescono a fermare la mente,
a fermare i pensieri inutili che si allontanano dal presente, da ciò che è.
Tanto più che, più si invecchia, più si è presi dal
programma dei pensieri incessanti.
Non c’è assolutamente
da inquietarsi per l’eventuale perdita del mentale, della facoltà di pensare.
In tutti i miei anni sul cammino della coscienza, non ho mai sentito una tal
cosa attinente le persone che lavorano per fermare la mente.
Direi che è il contrario. Ridando alla mente il giusto
spazio, questo permette di essere disponibili a ciò
che è. Da lì in poi, facciamo ricorso
alla mente per affrontare e risolvere situazioni, invece di lasciarci
costantemente trascinare da lei. Il mentale non è da bandire perché è uno
strumento utile e necessario.
Così, per rispondere alla domanda su chi ferma il mentale, è
in parte la coscienza, in parte un reale desiderio di fermare la mente, in
parte la mente che impartisce l’ordine. In ogni persona che tenta questa cosa,
è una questione di disciplina, di volontà e di desiderio di avere meno pensieri
per la testa, di avere spazio e di non essere più sommersi dal flusso
incessante dei pensieri. E questo richiede disciplina,
per fare spazio a ciò che è.