Una libera ricerca
spirituale?
3ème Millénaire n. 72 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini
La tradizione spirituale.
Quando siamo in cerca di qualcosa, portiamo naturalmente le nostre
domande e le nostre speranze da quelli che sembrano aver trovato, prima di noi,
l’oggetto della nostra ricerca. Ma quando, nella via
spirituale, appare che l’oggetto della ricerca è il soggetto stesso della
ricerca, l’indagine fa un capitombolo che riporta il ricercatore nel luogo dove
si trova da sempre.
Quell’istante è un risveglio.
La tradizione spirituale ci insegna
che la ricerca deve essere guidata, perché presenta pericoli da cui la
tradizione vuole proteggerci. Se il soggetto della
ricerca, il ricercatore spirituale, è in cammino verso se stesso, la scoperta
che si trova così semplificata, comporta uno scoglio fondamentale. Infatti ciò che il ricercatore prende per se stesso, è un
aggregato di memorie, di pensieri e di certezze sulla base delle quali le
scelte che può fare, anche con sincerità, rischiano di essere condizionate dal
passato e potranno difficilmente aprirsi
alla radicale novità di un lui stesso fino ad allora sepolto sotto pesanti
costruzioni.
Il ricercatore si cerca, ma colui che
cerca è lo stesso che ha creato l’ostacolo alla sua scoperta.
Così il ricercatore è, per natura, l’impedimento principale
della ricerca.
Qualsiasi sia la vitalità, la serietà e la sincerità che
pone nel suo cammino, non può che riprodurre schemi antichi. E’ dunque
necessario che si produca una rottura nella sequenza automatica delle sue
riflessioni, dei fantasmi immaginati dei suoi
obbiettivi e nel comportamento della sua ricerca. Questa rottura è uno schok per il ricercatore. Le tradizioni spirituali offrono
dunque dei luoghi manicomiali, dei metodi e dei consiglieri che avrebbero il
potere esclusivo di produrre quella rottura salutare, così come le protezioni
apparentemente indispensabili a ciò che segue la rottura.
Quale libertà?
Se vogliamo considerare la possibilità di
una rivelazione che non sarebbe esclusivamente dipendente dalle antiche
tradizioni, dobbiamo in tutta onestà riconoscere che lo scoglio in questione è
reale e che la tradizione ha posto delle protezioni per preservare l'integrità
della rivelazione spirituale. L'urgenza
che ci anima non
può d'altra parte essere soddisfatta un presso a poco o da surrogati di
risveglio, anche se l'ego spirituale non disdegna di fare qualche posa gratificante o può rimirarsi come “chi evolve
spiritualmente” e che “consiglia”. Quella soddisfazione è così minima in confronto
alla nostra vera speranza che è necessario esplorare
quella questione con un’onestà senza compromessi. Considerare che non è
assolutamente necessario essere “inquadrato” per incontrare la nostra vera natura non può essere fondato su un desiderio egoista di
libertà.
Non si tratta di rifiutare un inquadramento delle tradizioni
per una crisi adolescenziale, quando l’ego rivendica di fare ciò che vuole, di
trovare ciò che cerca a suo modo e di scoprire il proprio cammino. L’ego
spirituale riprende le sue prerogative infantili per conto suo
e afferma che la sua esigenza è legittima.
La Libertà che cerchiamo, in uno slancio infantile e
confuso, non ha niente a che vedere con le libertà alle quali attribuiamo tanta
importanza nella nostra vita personale. Se siamo davvero onesti
riguardo alle nostre aspirazioni spirituali, dovremo riconoscere che non
desideriamo tanto essere liberi nella nostra vita personale che di essere
liberi dalla nostra vita personale, anche se questa prosegue.
La ricerca di una vita gradevole, senza difficoltà, ricca di
tutti i benefici materiali che può procurarci una
società moderna, non ha niente a che vedere con la nostra vera aspirazione, e i
metodi di sviluppo personale hanno largamente contribuito a imbrogliare le
carte, assimilando successo personale e benessere alla rivelazione spirituale.
Il ricercatore vuole preservare la sua libertà. Ma la Libertà che cerca di manifestarsi rischia di spazzar
via totalmente le concezioni di libertà del ricercatore.
Aspiriamo alla Libertà, ma il ricercatore recupera il
presentimento di libertà per farne una ricerca capricciosa d’indipendenza
egoista. Il ricercatore è dunque, lui stesso, l’errore di partenza della
ricerca e, se domanda di disfarsi del quadro della
tradizione, questo rischia di essere una nuova fuga.
La fine del ricercatore.
Il ricercatore deve dunque cedere. E’ la maniera paradossale
di aiutarsi e la prima condizione di una libera ricerca spirituale. Non può
esserci una libera esplorazione senza un abbandono incondizionato del
ricercatore e delle sue prerogative. Questo deve essere compreso in modo
giusto. Non mi rivolgo al ricercatore dicendogli queste parole, perché ha due
orecchie che non l’intenderanno mai e la sua ricerca non ci interessa.
Se il ricercatore non abbandona, con le sue abitudini di
mimetismo o di indipendenza egoista, è nelle mani
migliori nel seno della famiglia protettrice che è la Tradizione. Ma, se alla
lettura di queste parole, qualcosa si risveglia nel vostro cuore, se un sapore
particolare di riconoscimento comincia a risplendere alla superficie dell’anima,
allora vi invito a proseguire questa lettura con
attenzione.
Una nuova esplorazione.
Qualsiasi sia il vostro passato,
l’anzianità della vostra ricerca, le vostre conoscenze o la vostra ignoranza,
l’apertura non viene che dall’abbandono di questa ricerca (un’apertura che il
cercatore non può mai conoscere, finché sa dove va e perché ci va). Allora
diventa possibile una vera esplorazione. Questa non è un’esplorazione “in
solitario”, come amerebbe l’ego spirituale, ma una sottomissione naturale e
incondizionata, una comunione con l’Intelligenza e la Vita, che rappresenta
allora la Tradizione Immortale in seno alla quale sono nate tutte le tradizioni
umane.
E’ allora che ci apriamo ad una esplorazione
innocente (senza concetto), nuova (senza influenza del passato), aperta (non
esiste più obbiettivo predefinito, né attraverso i testi della tradizione, né
per le anticipazioni del ricercatore). Viviamo, al di là
delle forme della nostra vita personale, cioè indipendentemente dal
benessere, dal successo e dalle nostre scelte, una offerta di sé perpetua che
potrebbe finire per consumare del tutto le velleità della ricerca personale,
pur rivelando la vera dimensione del risveglio spirituale di cui il ricercatore
aveva fatto una corsa patetica e scapestrata.
Come dovete intendere questo invito?
Non è certo che tutti quelli che leggeranno queste righe ne accetteranno il senso. Infatti è
sempre possibile recuperare queste parole per perpetuare un aggiustamento
antico del ricercatore, per non essere troppo sconvolto nelle proprie
abitudini. Egli perpetua il suicidio spirituale rispondendo al vasto slancio
divino che lo sconvolge per farne una piccola faccenda individuale.
Ma per quelli che avranno il coraggio di smascherare i
ritorni incessanti di certe verità ( che alla fine nutrono le menzogne), il
richiamo può produrre, qui e subito, un clic indescrivibile che riporta lo
slancio immortale all’origine di ogni ricerca spirituale, nel cuore di questo
essere vibrante che è Presenza immediata, che non si ottiene con il lavoro
spirituale, la conoscenza o l’appartenenza a una tradizione.
Il fuoco della Vita è il mio Maestro Unico.
In quel ritorno all’essenziale, i miraggi della ricerca si
dissipano, i pensieri cadono in polvere, le immagini ideali del ricercatore si
consumano e la capsula di carne è sorpassata da un senso di Libertà che riduce
i bisogni dell’ego a preoccupazioni microscopiche nella nuova prospettiva che
allora si offre.
Appare finalmente che è offrendosi al fuoco della Vita che
si rivela la Libertà, piuttosto che proseguendo la ricerca di controllo, di
pianificazione, di conduzione e di sviamento del flusso vivente.
In quelle disposizioni, che non possono apparire che quando
il ricercatore è sfinito o disperato, quando non crede più a tutti i progetti
illusori, quando cessa di voler essere immortale a suo modo, la cornice della
tradizione potrebbe anche diventare un ostacolo quando certi guardiani,
impiegati scrupolosi, tentassero di mettere un freno a ciò che improvvisamente
li sorpassa.
In realtà, non sono gli uomini e le loro aspirazioni sincere
che hanno creato la speranza spirituale. La Vita è la sua cornice ed è Lei che
si risveglia nell’Abbandono. La Vita non ha costruito
cornici, non ha nemmeno costruito gli uomini. Non può perciò trattarsi
in nessun modo di adottare una cornice, un dogma, una griglia di lettura del
mondo. Non può verosimilmente essere questione d'essere verificato o
convalidato, secondo criteri che variano da una
tradizione all’altra, nel momento stesso in cui l’essere che sorpassa i limiti
stretti della sua vita personale, sorpassa d’un sol colpo anche tutti i
manicomi e può creare la sorpresa, la novità negli occhi di quelli che si fanno
guardiani dell’antica tradizione e dei suoi canoni potenzialmente riduttivi.
Quando il ricercatore si dilegua, sfinito dalla sua ricerca
perduta, la Vita può allora rivelarsi in tutto il Suo splendore.
Ogni luogo è adatto alla rivelazione
Lo sfinimento salutare e la disponibilità infinita che
l’accompagna non prendono posto necessariamente nelle chiese della tradizione,
nemmeno secondo le tappe definite dagli antichi saggi, quelli stessi che hanno
vissuto un risveglio selvaggio e precursore, ma che hanno creduto di dover
assicurare per l’avvenire con manicomi e chiese.
E
se la Vita può rivelarsi nello spazio lasciato vuoto dal ricercatore, Essa mai
più potrà essere velata.
Ad ogni risveglio siamo i potenziali fondatori di una nuova
tradizione, non più immaturi di quelli che ci hanno storicamente preceduto e
senza dubbio più illuminati, nel senso che ci guarderemo forse di fondare
qualsiasi cosa, in ogni caso una qualsiasi certezza,
per la protezione dei nostri fragili successori.
Il crogiolo del quotidiano.
C’è alla fine una evidente mancanza
di fiducia nel voler creare un recinto per contenere i ricercatori e mantenerli
nella loro ricerca, mentre la vita continuamente s’incarica di tagliare a pezzi
le loro certezze per confronti, meglio di tutti i pensieri spirituali.
Ma bisogna, certamente, che quel confronto sia vissuto “in
coscienza” e non nell’atteggiamento di una vittima compiacente.
In quella esigenza quotidiana,
evitata dai ricercatori spirituali, rigettata dagli yogi
e dai monaci, lo spettacolo dell’illusione è onnipresente, cocente, doloroso e
per chi è attento, la sarabanda non può andare da nessuna parte. Basta un
secondo d’attenzione vera perché tutta la mascherata svanisca. Ecco la vera meditazione, ecco il frutto della preghiera.
Ma
per chi cerca un’illusione più confortevole, la famiglia spirituale della
tradizione può rafforzare l’illusione. Allora si tratta solo
di una trasposizione della ricerca disperata del ricercatore, si cambia
solo maschera.
La rottura è una breccia nelle decorazioni di carta del
ricercatore, uno svanire della scena della sua vita personale, che rivela tutto
a un tratto i retroscena e obbligandolo a
inginocchiarsi tra le rovine, senza spettatori, in quella solitudine assoluta
che è lo spazio stesso dell’incontro con sé.
Quale insegnamento tradizionale è capace di assicurare
questa rottura?
Un tale insegnamento non può che parlarne, che evocarlo
imperfettamente.
Quale valore ha dunque l’attaccamento a parole e a delle
regole e alle raccomandazioni che le accompagnano?
Noi siamo i discepoli della grande Tradizione, nel luogo
dove siamo, quando i libri ci sono caduti dalle mani, quando abbiamo smesso di
conformarci sia alle rivendicazioni dell’ego che ai testi sacri. Ma un punto merita d’essere ricordato: abbiamo creduto di
distanziarci dall’ego precipitando verso i testi sacri, ma ciò non significa
che bisogna, in questa nuova presa di coscienza, fuggire questi testi per
ritornare alle follie del mondo. Abbiamo dormito sui testi sacri come
dappertutto. Visto questo, non torniamo a dormire in altri rifugi.
Lasciamoci lavorare dal Grande Alchimista, nel crogiolo del
quotidiano e forse quelli che ci crederanno pazzi e ci consiglieranno di essere
controllati dalle regole della saggezza antica, non faranno che esprimere il
loro terrore di abbandonarsi anche loro a una
Intelligenza che hanno chiuso nei libri, nel sapere e nelle regole. Ma una
volta ancora, non è al ricercatore che si indirizza
questo invito. Non ha niente da fare con queste parole. Non c’è che la
risonanza di un richiamo dimenticato a offrirsi.
E in questa offerta, non
mancheranno incontri per portare
consigli ed eventuale sostegno, poiché, con il cuore aperto ad ogni cosa,
piuttosto che addetto di una corrente particolare di pensiero, la magia può
alla fine operare senza restrizione. Ogni incontro diventa un incontro con sé,
ogni situazione ridiventa viva, non sapremmo più leggere il libro della vita in
diagonale perché abbiamo realizzato che la nostra vera
follia era nella ricerca dei saperi e dei codici, nella chiusura di un mentale
e l’anestesia del cuore, nel controllo impaurito del tornado del vivente che
non è mai
Stato così mal servito come dai credenti e
dai loro torrioni dorati. Ridiventiamo
dunque quegli innocenti a cui il vento ha il potere di parlare e la cui porta
del cuore è aperta, discepoli con l’intelligenza che abita ogni istante in un
tempio i cui limiti sono quelli dell’universo. E perché queste parole non siano solo graziosi tintinnii di
campanelle, non perdiamo un istante per incarnarle.
Il discepolo della vita.
Vi suggerisco, con parole che non pesano e a cui vi invito a non dare peso, alcune direzioni meno astratte:
-
il discepolo intrattenga una relazione amichevole con la vita,
non negozi quello che gli si presenta, non cerchi spiegazioni razionali, non
fugga ciò che si anima in lui, non si cimenti, o non a lungo, su circonvoluzioni
mentali per apparire o divenire;
-
il discepolo accolga e se gli capitasse di dimenticarsene
nella sua natura di discepolo, ritorni semplicemente a questa accoglienza;
-
il discepolo non ha bisogno di manuale, poiché ha compreso che
ciò che gli si presenta è sempre nuovo e non vuole che la sua accoglienza;
-
il discepolo sta scoprendo che la vita è Intelligenza, ma non
ha bisogno di razionalizzare la sua accoglienza per quella scoperta. E’
semplicemente accoglienza per natura e senza volerne trarre qualche beneficio o
una relazione privilegiata con l’Intelligenza;
-
ciò che ostacola la natura del discepolo è il rifiuto;
-
il rifiuto può essere stato coltivato benissimo da una via
spirituale;
-
così, chi non può accogliere ciò che si anima in lui,
necessariamente crea in lui un obbiettivo spirituale che dovrebbe, secondo lui,
permettere di tenere a distanza l’oggetto del suo rifiuto.
-
Ora, vediamo che il famoso obbiettivo è presente
nell’istante stesso del rifiuto. Se c’è rifiuto, è
perduto l’obbiettivo spirituale. Non si tratta di creare un fantasma, un altro da sé
o un altrove e di precipitarsi nella propria direzione, ma di poter accogliere
ciò che è, qualsiasi sia la natura di ciò che è.
Sicuramente il ricercatore lancia alte grida davanti ad una
tale affermazione, pretendendo che quella sia un’attitudine disfattista, che
bisogna lottare, che il mondo ha bisogno di persone che non si accettano, ecc.
Siamo seri e realizziamo che altri ricercatori per
migliaia d’anni hanno provato a cambiare il mondo senza riuscirci. Noi non
siamo qui per cambiare nulla nella percezione che abbiamo
del mondo. Ogni tentativo di opporci è all’origine della sofferenza. Essa è
uguale a un grande
“no” pronunciato davanti alla vita.
L’accoglienza non implica che siamo inattivi o indifferenti.
Al contrario è una qualità di presenza ad ogni cosa e ad ogni
essere di cui si tratta.
Essere con…
Riassumerò quella relazione aperta con la vita con
l’espressione: essere con…
Le emozioni e i pensieri si elevano naturalmente nel flusso
degli incontri e degli avvenimenti. Se c’è qualcuno
che li giudica e li controlla, la relazione non è aperta. E’ perciò necessario figurarsi una
relazione nuova con quelle realtà che crediamo dover evitare o fuggire in nome
della spiritualità.
Immaginiamo perciò che nessuno ci attenda fuori
dal luogo dove ci troviamo, che nessuno speri niente da noi, né Dio, né
gli uomini. Nella tranquillità ancora relativa di questa presa di coscienza,
che ha la virtù di lavarci
da millenni di condizionamenti, appare allora una possibilità: essere con…
Se non abbiamo più ragione spirituale di sfuggirci, e se
forse siamo quello che siamo, senza che né un dio né
un uomo abbia da rimproverarci, allora si rivela una relazione benevola. Siamo
disponibili per un’esperienza alchemica di cui siamo il crogiolo e al tempo
stesso il suo contenuto. Potremo accogliere, senza riflessione particolare, la
qualità che fin allora avevamo nominato e giudicato (collera, felicità,
gelosia, eccitazione, paura, inerzia ), per quella che è.
L’intelligenza che è l’origine e il contenuto ultimo di
quella qualità particolare non potrà rivelarsi che in quella relazione intima, quella accoglienza e quella comunione con ciò che abbiamo
spesso rigettato, o adorato, nello stesso modo. Non è tanto con un oggetto che
si stabilisce la relazione, ma con l’Intelligenza stessa, che si rivela
immancabilmente presente in colui che accoglie e in
ciò che viene accolto.
Si può parlare di inaccettabile,
mentre ciò che cerchiamo tentando di controllarlo o correndo altrove, si rivela
all’istante e sul luogo stesso della sua apparizione?
Questo è un buon momento per essere vivi.