Thierry Vissac Paura istintiva,
paura psicologica e libertà 3ème Millénaire n. 86 – Traduzione
Luciana Scalabrini La paura è sia la reazione naturale di ogni
essere vivente al pericolo istintivo di sopravvivenza, sia la costruzione
psicologica dell’individuo che si percepisce
vittima di un mondo ostile, anche in assenza di un pericolo reale
(prospettiva dell’ego).
Paura istintiva e paura psicologica. Nel primo caso si
può parlare di paura istintiva. L’intelligenza del corpo si mobilita ancor
prima che emerga il pensiero. Un’auto appare all’angolo di una strada mentre attraversate
e voi evitate il pericolo. L’avvenimento accade in una frazione di secondo. A
meno di non voler diventare un super- eroe hollywoodiano, questa paura può
essere considerata un aspetto naturale della condizione umana; può essere
accolta senza tentare di farne qualcosa, senza opporvi dei giudizi dovuti a una costruzione mentale sulla condizione del risveglio
spirituale. Questo aspetto merita di essere caldeggiato
nella comprensione moderna, colorata da sogni infantili sulla via spirituale. Nel secondo caso si
può parlare di paura psicologica (anche se nella realtà i due casi si possono
confondere e a volte mescolare). La paura psicologica
proviene dall’ interpretazione del reale. E’ il
pensiero che l’alimenta. A partire dallo stesso incidente dell’auto all’angolo della
strada, mentre la vostra intenzione era di comperare delle
brioches dal panettiere e di andare a mangiarle con una persona cara, un
pericolo che si manifesta brutalmente provoca una istantanea rottura,
un’interruzione immediata del vostro progetto. La
soddisfazione, la relativa tranquillità, lo svolgersi cronologico del vostro
piano vanno in frantumi nella stessa frazione di
secondo durante la quale il corpo ha reagito abbastanza velocemente da
proteggervi da quell’auto. Nel momento in cui prendete coscienza di ciò che sta per
accadere, il pensiero comincia a commentare l’evento, la paura psicologica pone
la fondamenta della sua costruzione. E se condividiamo certamente
il nostro istinto di sopravvivenza, le costruzioni che si vanno
accumulando ora sono dipendenti dalla nostra percezione del reale e della coscienza
che ne abbiamo.
Un mondo ostile? Siamo individui
solitari, gettati in pasto ad altri che rappresentano una minaccia in seno ad
un mondo ostile e condotto dal caso? Quando domina quella
percezione, è inevitabile che ogni momento posa una pietra in più sulla forza
delle nostre protezioni, confermando la necessità di proteggersi da tutto e da
tutti. Allora non ci sembra di avere nessuna intelligenza
dei movimenti della vita e siamo letteralmente sottomessi alla minaccia del
mondo. La paura di morire, che dapprima appartiene alla paura
istintiva, si mischia col pensiero che se ne nutre e perpetua le visioni. Ogni
momento allora non è più vissuto come un’opportunità di incontro,
ma come un potenziale rischio. Il personaggio sociale e la paura. La modalità che hanno assunto le
nostre relazioni (relazioni prima con noi stessi, poi con gli altri e gli
accadimenti) modella le società moderne al punto da essere diventata la norma. Gli uomini vivono nella paura e della paura. Le tensioni prodotte da quella agitazione
permanente della paura detta i modi dell’incontro. I nostri personaggi sociali
stanno sempre su un filo sopra un precipizio, anche se i loro visi sanno
mascherare quella paura che li opprime. La maggior parte di loro fa la recita e
lo spettacolo dell’uomo sociale (la scimmia che ha messo gli abiti del saggio)
è un ballo in maschera. Al fondo domina il terrore. Questa paura prende tali
proporzioni che delle fobie (che sono amplificazioni della paura psicologica di
base) si radicano al punto da apparire come istintive. Nella situazione che avete
vissuto all’angolo di quella strada,
un’auto non vi ha investito. Nella vostra mente, prima di
tutte la costruzioni mentali ulteriori, avete semplicemente una delle
possibilità dell’esistenza terrena: essere investito da un’auto e forse
lasciare questo mondo. Ma qualcosa in voi può vederlo in un altro modo e può
comparire una fobia per le automobili, accompagnata eventualmente da una campagna
contro i costruttori di auto, se siete portati per
natura a combattere “il mondo ostile”. La nostra interpretazione del mondo: una deriva spirituale. Il cammino tra l’istinto di sopravvivenza (l’azione
intelligente del corpo) e la paura psicologica (la fobia), che passa tra tutte
le elucubrazioni mentali che giustificano e alimentano il timore del mondo come è, è quello di una deriva spirituale nel vero senso del
termine. La nostra interpretazione del mondo è la causa principale di
quello spostamento dalla relazione naturale e tranquilla che possiamo
avere con ogni cosa, fino a quella visione di un caos che tentiamo
disperatamente di gestire. La visione del caos è
nel cuore dell’interpretazione in questione. Vediamo il caos e possiamo perfino
dimostrarlo. La possibilità che una Intelligenza
presieda al flusso della vita, non è che un pensiero tra gli altri, che non è
stato convalidato da una percezione diretta. L’esistenza chiusa in quella capsula di carne, sottoposta alle
vicende della vita, e tutti gli aspetti (famiglia, professione, ideali) che
possono sparire brutalmente, tutto questo costituisce il caos. Come possiamo
vederla in un altro modo? Una mancanza d’attenzione collettiva. Nessuno ci ha insegnato a riconoscere l’Intelligenza. Non si
può avere sicurezza, e dunque pace, nel caos. L’uomo vive in permanenza nella
paura. La nostra attenzione è mobilitata fin dall’infanzia dal
pericolo (quante volte abbiamo visto la paura negli occhi dei nostri genitori? E là dove noi forse avremmo spontaneamente esplorato altre
possibilità, abbiamo generalmente adottato la paura come risposta standard). Vivere insieme oggi significa sopravvivere gli uni a lato
degli altri nel sospetto. Questo condizionamento collettivo, prodotto di una società
che ha perduto molto della sua coscienza, non permette alla maggioranza degli esseri umani un altro
sguardo sul senso della loro vita. Dov’è dunque quella Intelligenza,
che porterebbe la fiducia nell’esistenza e dissiperebbe forse la paura? L’attenzione è sempre
rivolta al di fuori, verso le sorgenti di pericolo da cui bisogna proteggersi, e evita il didentro,
per sfuggire al pericolo che noi rappresentiamo spesso per noi stessi. Abbiamo
prima paura di quello sconosciuto che siamo, e per
estensione siamo terrorizzati da quello sconosciuto che è l’altro. Ci è
dunque data una pista per la comprensione di questo marasma: fuggiamo qualche
cosa che però è il nostro bene più prezioso. Non vediamo che la superficie
degli eventi e siamo in conflitto con loro. Se c’è un’Intelligenza, è come
quella parte immersa dell’iceberg che non si può conoscere se non ci si immerge e non si vede mai se si resta in superficie. Le radici della paura. La questione della paura non può essere trattata in modo intellettuale. Non si tratta di fare
uno stage per farsi paura e tentare di superarla, o di leggere dei mezzi per
non avere paura, mentre abbiamo lasciato radicarsi dei fantasmi fin dentro le
cellule. Le radici della paura si confrontano in sé, dapprima, per
realizzarne l’illusione (tutto quello che abbiamo costruito sui fabbricanti di automobili, nell’esempio descritto, che potrà essere
abbandonato, anche se la nostra esistenza aveva finito per costruirsi attorno a
quella lotta. L’immagine dell’accidente evitato e di ciò che facciamo dopo è
un’allegoria del conflitto dell’umanità). Ma
non basta dirlo. C’è un’esigenza in quello sguardo: se restiamo in
superficie, non possiamo conoscere la profondità. Se la nostra interpretazione del mondo è limitata alla
brutalità degli avvenimenti, cioè principalmente al
fatto che non rispettano i nostri piani, o la nostra visione limitata, le
nostre attese, i nostri ideali, non possiamo che essere dalla mattina alla sera
nella paura e perfino nel cuore stesso del sonno. Se possiamo immaginare che la nostra
percezione del mondo sia stata un pò
precipitosa e quella abbia strutturato un mondo irreale, pieno di paure
diverse, allora cominceremo a vedere il giorno. In libertà nel flusso dell’Intelligenza della vita. Non siamo condannati a essere tormentati dalle strettoie della paura. Noi
conteniamo un potenziale di libertà (che si esprime naturalmente a volte nei
momenti meno attesi) in parte compresso dalla nostra compiacenza verso
gli scenari che alimentiamo. La libertà non è nel
fatto di evitare gli ipotetici pericoli in permanenza, ma nell’accogliere ciò che è. “Ho potuto evitare quell’auto, non c’è niente
altro da fare di questo incidente. Tuttavia
sono consapevole del seguito, forse più ancora che nel momento che lo
precedeva. L’Intelligenza della vita si è manifestata in quel modo in
quel momento là e posso contemplare quel momento con uno sguardo nuovo. Sento che i morsi della paura si rilassano dolcemente e che
sarà possibile accogliere le altre manifestazioni dell’Intelligenza nello
stesso modo, anche le più drammatiche. Perché non sono io il grande organizzatore del mondo e ciò
che mi sfugge è la vita stessa quando ne tengo le redini, e il più delle volte
le trattengo. Percepisco che c’è talmente di più da scoprire al di là di questo universo pieno di protezioni, di fughe e
di limiti personali, che comincio ad aprirmi alla possibilità che non abbia
ancora visto niente, o quasi. Non ho più paura nella
mia testa e i residui della paura psicologica possono apparire da un momento
all’altro, ma li lascio scivolare e dissolversi perché non
sono che fantasmi di una visione passata”.