Thierry Vissac

 

Amore e libertà.

 

 

3ème Millénaire n. 85 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

 

 

 Amore e libertà: l’associazione di questi due termini evoca sia l’intuizione della loro compatibilità, sia la certezza del loro conflitto. Metterli vicino uno all’altro provoca, più che un matrimonio evidente, delle domande.

Una ricerca universale.

L’amore è il grande soggetto e il grande oggetto della nostra esistenza. Non si parla che d’amore anche quando si crede di parlare d’altro. Non si sente che parlare d’amore anche quando si crede di sentir parlare d’altro.

 Amore è una delle parole più utilizzate nella ricerca su internet. E’ una parola segreta, una ricerca intima, spesso mascherata, ma che può rivelarsi nella sua forma più imperativa e più disperata nell’anonimato degli pseudonimi.

Non si vuole altro che amare e essere amati, qualsiasi siano le forme che prende quella ricerca universale. Gli esseri umani non vivono che per l’amore e disperano di trovarlo.

 

Amore o libertà?

 

Ma quel desiderio profondo, atavico e inespugnabile, non si oppone alla libertà? Il desiderio di amare ed essere amato non è piuttosto un vincolo e una dipendenza? L’esperienza umana non dimostra che quel che si chiama amore è piuttosto una sofferenza?

Qualcuno ha mai vissuto un amore che non distrugga la libertà d’essere? E se questo è possibile, non si tratta allora di qualcosa d’altro da ciò che chiamiamo con quella parola?  Non è piuttosto una qualità d’amore diventata rara e quasi inesplorata?

L’amore, come è descritto nelle storie romantiche, e la diversità nei fatti, come si manifesta nel quotidiano degli uomini, è una dipendenza.

 

Dipendenza.

 

     “Ho bisogno d’essere amato da qualcuno e perciò sono dipendente da quest’altro per vivere quel sentimento”. Questa realtà di ciò che chiamiamo amore impedisce la libertà.

Certe persone tra le più coscienti sopportano quel conflitto, perché non vedono altra possibilità e perché quello gli conviene. Accettano i dolori della ricerca.

 Ma la maggioranza non ha quella maturità. Una tenace illusione porta milioni di esseri umani di ogni generazione a cercare conforto tra le braccia e  il riconoscimento di un altro con la folle speranza di una “relazione stabile” “, di un “amore eterno”, di una “passione senza fine”.

I primi slanci, ancora liberi da tutte le attese, sembrano promettere il compimento di quella ricerca; poi viene la meccanica del bisogno, rapidamente rivendica i suoi diritti e si installa la frustrazione.

L’amore vissuto in quel modo non può produrre altro che briciole di soddisfazione su un mare di sofferenza.

Quella evidenza non è eccessiva anche se suppone la componente che si vuole ignorare in quella situazione: un amore rivolto verso l’altro, come un assetato si rivolge all’acqua, sarà sempre dipendente dalla volontà dell’altro, come la sete non sarà sedata che dalla presenza dell’acqua. Se l’acqua viene a mancare, la sete aumenta. Se l’altro manca,  il bisogno aumenta. Nella nostra civiltà occidentale, l’acqua non manca e generalmente quel bisogno è soddisfatto, ma l’altro non sarà mai disponibile come l’acqua, e così fluido come vorremmo. In più, non ci si può saziare dell’altro, egli non ci può riempire, e se la sorgente non è lì, dove la cerchiamo compulsivamente?

Quell’amore, che è un bisogno, non conduce che alla frustrazione.

 Il bisogno d’amore che tenta di fare uno di due sul piano della materia e della dualità è una ricerca persa in partenza.

Liberazione.

 

Occorre evocare quell’amore svelato, a cui molti sono peraltro attaccati, prima di poter considerare ciò che è l’amore e come può non privarci della libertà.

La libertà si presenta come una realtà naturale, intimamente conosciuta da tutti, che si esprime quando l’essere è staccato dal bisogno. Non dico che il bisogno non sia naturale, ma che il fatto di costruire la propria esistenza personale sugli oggetti del bisogno (l’altro, il denaro, il riconoscimento, il potere, il sesso…) è una schiavitù. Siamo condizionati a guardare solo in questa direzione al punto da ignorare o da negare quella dipendenza e la sofferenza che ne deriva inevitabilmente. Ci capita di constatare, guardando agire gli altri, quello stupefacente compiacimento a riprodurre la corsa che ci allontana da noi stessi e dalle nostre risorse, ma ci precipitiamo nello stesso modo un attimo dopo verso gli stessi miraggi.

 Se, per esistere dipendiamo dagli oggetti (e l’altro è un oggetto in questo caso) non possiamo conoscere la libertà. Se invece, senza necessariamente fuggire dagli oggetti, non dipendiamo da loro per giustificare o convalidare la nostra esistenza, sentiamo profondamente il senso della parola libertà.

La libertà non fa il suo letto nelle lenzuola di un altro, essa è solitaria, anche tra la folla, essa è autonoma, anche nella relazione, e si disseta a una sorgente che non si trova lontano, altrove, nell’altro o al di fuori di sé.

 

Si può conoscere e vivere una tale indipendenza senza perdere l’amore?

 

Per conoscere la libertà è dunque necessario non cercare più verso l’esterno la risposta al bisogno imperioso che ci abita e ritrovare in sé la sorgente della calma, ritrovare la Pace.

La libertà viene spontaneamente incontro a chi ha il coraggio (malgrado gli allettamenti della nostra società che sembra sempre cercare al di fuori) di recuperare quel legame intimo con sé, quella amicizia con ciò che si è, con ciò che viene a sé. Ciò che definisco con l’espressione “essere con ciò che è”.

Quel coraggio è il contrario di una fuga, è il ritorno alla sorgente. La fuga è nella ricerca che si rivolge all’altro come sorgente di felicità e, inevitabilmente, come causa di dolore. In una tale presa di coscienza, non si può più approvare quel suicidio spirituale che consiste nel precipitarsi violentemente contro un muro, continuando a sostenere che quel muro un giorno si aprirà su un avvenire più radioso.

“Sono libero in quella autonomia che mi abita e mi anima dal didentro senza però chiudermi agli altri, alle relazioni e agli oggetti del mondo, ma senza averne un bisogno assoluto”.

 A partire da quella indipendenza essenziale, si può manifestare un vero amore che non sacrifica la libertà. Ciò che chiamavamo “amare” prima era un’attesa immatura, una domanda, un bisogno.

Ciò che riconosciamo come un amore vero, nella essenziale indipendenza dell’essere che ha ritrovato  il suo punto di riferimento nel proprio cuore, è un’apertura, un passaggio, una comunione.

Possiamo amare quando siamo liberi da attese.

E, benché la coppia abbia continuamente dimostrato che non fosse realmente una relazione d’amore,  quando è fondata sull’attesa, abbiamo tendenza a rappresentarla solo come una “station service” dove si può trovare tutto quello che non si trova in sé.

La relazione con l’altro diventa allora la relazione del serbatoio vuoto con il distributore.

Salvo che il distributore non ha sempre qualcosa da dare e  il serbatoio vuoto è una cattiva percezione di sé.

 Se non sono un serbatoio vuoto, non ho bisogno di essere riempito da qualcosa che mi viene da fuori. Di conseguenza posso incontrare l’altro con uno sguardo senza attesa e stabilire una vera relazione, una relazione d’amore”.

 

Conoscere la libertà prima di  stabilire una relazione

 

  Deve essere chiaro che quello sguardo particolare sulla questione dell’amore e della libertà non è lì per aggiustare la coppia o la ricerca amorosa perché il punto d’attenzione non è l’altro. Non si tratta di cercare una libertà dentro la propria prigione. Si tratta di girarsi verso un orizzonte più intimo e promettente, ma che esige un’attenzione sicura.

 

Infatti la via personale è orientata verso l’esterno, la nostra tendenza è verso fuori, verso l’altro, verso altrove, senza mai rivolgersi verso la propri fonte, senza mai credere che esista un’altra fonte, senza mai esplorare la possibilità di una autonomia intrinseca all’essere.

 

Ma prima di poter pensare a una relazione con l’altro, è necessario confrontare la nostra relazione  con ciò che siamo, ciò che ci anima, ciò che ci arriva. Noi siamo lo spazio di tutte le relazioni, siamo i creatori delle nostre relazioni e gli altri non contano granchè.

 

Se vogliamo veramente amare, e questo senza perdere la libertà, bisognerà realizzare che la libertà precede l’atto d’amore. Nel bisogno e nell’attesa, non possiamo trovare che le soddisfazioni effimere e la frustrazione di lavorare sempre a riprodurle.

Esiste però in ognuno di noi un potenziale d’accoglienza che può essere restaurato.

 

    Quella accoglienza è libertà.

   Quella accoglienza è il fondamento di tutte le relazioni.

   Quella accoglienza è Amore.

 

Pensate di aver già sentito queste parole o vi sembrano assomigliare a qualcosa di conosciuto? E’ possibile che non le abbiate mai veramente accolte e che la direzione che vi mostrano non sia stata mai veramente contemplata. Ma non è mai troppo tardi per considerarla.  uello sguardo particolare sulla questione dell’amore e della libertàque