3ème Millénaire n.86 – Traduzione
della Dr.ssa Luciana Scalabrini [200]
3m. Se oggi si segue
lo sviluppo della scienza, e in particolare
delle neuroscienze e dell’intelligenza artificiale, ci si dice che le
nuove scienze si collocano al crocevia di tutte le altre (chimica, fisica,
biologia, genetica) ed hanno il ruolo di unificarle nella creazione di un
automa intelligente. Perché creare un automa dotato di intelligenza necessita
un grande sforzo di condivisione di
sapere. Il modello è sicuramente l’essere umano, lo scopo essendo quello,
confessato o meno, di riprodurre un essere umano con le sue funzioni, con
migliori capacità ( velocità di
elaborare informazioni, memoria intellettuale, resistenza e potenza corporea).
E’ la questione della coscienza che è la più conturbante. Dove sono le
neuroscienze riguardo a questo? Certi scienziati arrivano a predire la
sostituzione dell’essere umano con gli
automi intelligenti. Così, quale posto per l’essere umano? Come potrà secondo
voi porsi di fronte alle macchine
intelligenti?
J.P.B. Non credo
purtroppo o per fortuna che le scienze moderne mirino a creare un automa
intelligente unendo i loro sforzi. Ognuna di loro si sviluppa entro vie
culturali ed economiche forti, che rendono molto difficile il lavoro
interdisciplinare e gli investimenti importanti che sarebbero necessari per
ottenere un tale automa. Le ricerche accreditate mirano a due obbiettivi
differenti, generalmente coperti dal segreto della difesa o industriale: dei
robot militari (Stati Uniti), dei robot di compagnie (Giappone principalmente).
Ci sono alcune ricerche più disinteressate, associate a laboratori
universitari; in Europa hanno il loro principale appoggio. Noterete che questi
progetti di ricerca usano generalmente il termine di cognizione artificiale e
non quello di coscienza artificiale
considerato politicamente scorretto, perché suscettibile di provocare stati
d’animo in chi gestisce dei crediti.
E’ vero, per rispondere alla vostra domanda, che nel quadro
dei programmi che mirano ad ottenere risultati operazionali, è sempre più
necessario usare tecnologie che si trovano in quelle che si chiamano
piattaforme comuni. Ma è sempre difficile, e i risultati sono lontani da quello
che potrebbe ottenere un progetto universitario collegato in rete, alla maniera
aperta dei logicali liberi, essendo le tante competenze disperse suscettibili
di contribuire all’emergere di sistemi veramente coscienti. Certi se ne
compiaceranno. Io penso che sia negativo.
Per quanto riguarda le relazioni tra le ricerche sulla
cognizione artificiale e le altre scienze, in particolare le neuroscienze,
credo che, quando la comunicazione si fa bene (cosa che non avviene, lavorando
anche molti neuroscienziati per la difesa o per l'industria e non comunicando),
direi che si tratta di uno sviluppo tipo “pappagallo”. Ogni progresso fatto in
un settore beneficia immediatamente l’altro e viceversa. E’ così che la
simulazione dei comportamenti cognitivi su delle piattaforme artificiali
permette ai neuroscienziati e, più generalmente ai biologi, di vedere meglio
ciò che accade in natura. Ma, ancora una volta, reciprocamente.
Per tornare sul precedente argomento, non credo che lo scopo
ultimo della scienza moderna sia dare la coscienza a degli automi. La scienza
si sviluppa come un sistema biologico darwiniano, senza che i suoi scopi traducano veramente i suoi orientamenti di fatto. E’ vero
tuttavia che nel corso dello sviluppo potranno emergere entità, le cui capacità corporee e
intellettuali saranno a volte superiori a quelle degli animali e degli
umani, così come esistevano nei secoli
passati. Oggi niente vieta di affermare
che tali entità siano capaci di
affrontare animali e umani, poi sostituirsi a loro, nel quadro di una
competizione darwiniana, se così posso dire, a fil di spada. Gli umani sono sempre evoluti in simbiosi con
le tecnologie che avevano scoperto e messo in opera. Si parla anche di co–evoluzione. Non vedo perché lo stesso processo non si
rinnoverebbe con le tecnologie della vita e della coscienza artificiale. Questo
per il meglio e il peggio riguardante la
vita sulla terra. Voglio dire che la vita sulla terra è ora minacciata dallo sviluppo proliferante
della specie umana “classica”. Niente vieta di affermare che una specie umana
“progredita” sarebbe capace di risolvere i problemi attuali. E nemmeno ci vieta
di dire che quella specie progredita aggraverebbe i problemi invece di
risolverli.
3m. Se le
neuroscienze e le scienze in generale possono seguire e controllare il
funzionamento neuronale e corporeo, cosa ne è oggi del meccanismo delle emozioni? Va da sé che le emozioni seguono cammini
neuronali stabiliti, ma le emozioni sono meglio comprese oggi e descritte
scientificamente? Secondo voi, questo meccanismo che è proprio dell’umano,
potrebbe essere duplicato negli automi? Quale ne sarebbe l’utilità?
J.P.B. Il cervello
delle emozioni e il modo in cui si traduce, soprattutto per via delle
secrezioni endocrine, in operazioni logiche, è effettivamente oggetto di studio
molto importante per le neuroscienze.
Non è specifico nell’uomo, poiché si è sviluppato fin dalle origini negli
organismi multicellulari. Ora, da molto tempo gli studiosi di robotica hanno
capito che non farebbero nessun progresso se non fossero capaci di concepire
dei sistemi capaci di emozioni, a partire da un “corpo”. Queste sorgeranno in tali sistemi in un modo che non
sarà necessariamente quello seguito dall’evoluzione biologica, ma tutto avverrà
secondo l’espressione utilizzata “come se”. Così un robot, che esplora un
pianeta lontano fuori dal controllo delle stazioni terrestri, dovrà avere
abbastanza paura dell’ignoto da non mettere in pericolo se stesso, ma essere
abbastanza curioso per tentare di esplorarlo.
3m. Al di là
dell’aspetto di sviluppo della robotica e dell’intelligenza artificiale, resta
la questione dell’aiuto agli umani, dal supporto che potrebbe essere loro
dato con degli impianti informatici, su
un modello di architettura parallela equivalente a quello del cervello umano,
riconoscibile da questo, che per esempio potrebbe essere connesso alla loro
funzione mnemonica. Oggi in fisica si vede che le prossime generazioni di
memorie saranno a base di carbonio più che del silicio, su cui si basa tutta la
tecnologia attuale. Qual è qui lo stato della scienza? Che tipo di soluzione si
prospetta e quali potrebbero essere le conseguenze? Per esempio un
indebolimento della funzioni naturali potrebbe esserne la conseguenza?
Quell’indebolimento sarebbe compensato dall’informatica neuronale o è
semplicistico?
J.P.B. Penso che se
le ricerche che voi dite fossero condotte secondo i protocolli scientifici
stretti e in dialogo serrato con i cittadini coscienti del loro valore, non si
dovrebbe impedire che si facciano. E’ probabile che il seguito dell’evoluzione
sulla terra, se tutto va bene, si svilupperà con numerose soluzioni, alle quali
oggi non pensiamo e che miglioreranno le capacità degli organismi e del
cervello e dei cervelli biologici per sopravvivere in un universo, dove
impedire ogni mutazione o selezione
sarebbe condannarsi a morte.
Ma è legittimo domandarsi se quelle protesi favoriranno
qualcuno, che si definirà da solo post –umano, relegando i miliardi di uomini che non ne
beneficiano in una categoria che potrà
essere definita di subumani. Il rischio esiste, bisognerà fare di tutto per
evitarlo.
Penso che non si verificherà, perché le tecnologie si
diffondono molto rapidamente e nessun potere può pretendere di conservarne il
privilegio. Guerre di sopravvivenza regolerebbero molto in fretta la questione,
se certuni pretendessero di erigersi a post –umani attrezzandosi di tecnologie
futuriste.
3m. Lo sviluppo
della scienza ha portato a modellare la società occidentale secondo un versante
tecnologico la cui impronta non smette di crescere. La rivoluzione internet, i
telefoni portatili, non sono probabilmente che le primizie di un mondo in cui
l’essere umano vivrà, cioè un mondo che si allontana dalla natura per diventare
sempre più artificiale.
Però dimenticare la natura è dimenticare che l'intero
edificio della civiltà occidentale si
basa su quello.
Lo si vede oggi in particolare con il cambiamento climatico, che viene
dall’incomprensione umana dei fenomeni globali in gioco e l’incapacità attuale di prendere in carico la responsabilità nel
modello di società. Qual è oggi l’impatto dei pericoli che minacciano il nostro
modo di vita sugli scienziati? Ne sono sensibili? Prevedono una tecnologia che
possa preservare l’ecosistema? Sarebbe necessaria la loro azione sulla politica
per preservare l’ecosistema?
J.P.B. Avete
senz’altro ragione. Il vero limite allo sviluppo della tecnologia, se non della
scienza, attiene alle capacità della
terra ad adattarsi a delle crescite ininterrotte di consumi
spinti dai desideri tecnologici – commerciali, senza tener conto e farsi
carico della rarefazione delle risorse. I teorici della decrescita, oggi
radiati, saranno sempre più presi sul serio. Tra loro si trovano scienziati e
tecnici desiderosi di rimettere i loro lavori nel quadro più generale della
comprensione dei grandi fenomeni evolutivi e delle grandi barriere da non
oltrepassare. I politici non li capiscono. Lo si vede dall’ostilità generale
che accoglie ancora gli studiosi del GIEC (gruppo di esperti sull’evoluzione
del clima), specialmente James Hansen della Nasa, che
dovrebbe essere considerato un vero eroe dei tempi moderni . Il compito degli
editorialisti dovrebbe essere quello di farli conoscere meglio.
Per concludere e tornare al nostro argomento, penso che
sistemi cognitivi, capaci di esplorare più intelligentemente degli uomini
attuali le differenti variabili che determinano l’evoluzione della biosfera,
cioè del cosmo, sarebbero apprezzati dai James Hansen di domani.