Tra gli
insegnamenti spirituali contemporanei che insistono sulla nostra
frammentazione, noi troviamo sicuramente l’insegnamento di Krishnamurti, ma
anche, sul tema della molteplicità dei “me”, “L’insegnamento sconosciuto” di
Gurdjieff, che è all’avanguardia nella sua forma e nel suo
approccio. Tanto più che gli avanzati nelle Scienze Cognitive confermano le sue
nozioni più originali, di cui , in particolare quella
delle diverse velocità dei centri. L’assenza di volontà cosciente ne è un’altra altrettanto importante, uscita da
quell’insegnamento che, come ogni insegnamento tradizionale, dichiara che
l’uomo ordinario vive, pensa, si muove e si emoziona in una sorta di sonno
ipnotico, identificato a desideri e paure, immagini e credenze che gli
nascondono la Realtà o anche la sua vera natura. Quella vita meccanica,
incosciente della nostra esistenza nello stato ordinario, si ritrova
corroborata da esperienze in neurofisiologia effettuate in quasi cinquanta anni
di ricerca.
L’assenza
di un Me individuale cosciente, d’una entità
spirituale, libera e eterna, diventa l’indiscutibile evidenza delle Scienze
Cognitive.
Estremamente importante per l’uomo d’oggi,
desideroso di non eludere le proprie aspirazioni spirituali, è sapere che
quelle scienze contemporanee ritrovano là nozioni iniziatiche e tradizionali
assolutamente fondamentali.
Esperienze scientifiche sulla velocità dei centri.
Le prime
esperienze realizzate da Benjamin Libet, mostrarono l’incoscienza della nostra
attività volontaria e le differenti velocità delle nostre funzioni mentali, emozionali e motorie.
Gurdjieff, trasmettendo, per un insegnamento vissuto, le sue conoscenze
neoplatoniche, fece scoprire ai suoi adepti la
lentezza abbastanza sconvolgente del centro intellettuale, sorpassato in
celerità dai centri emozionale, motorio e istintivo.
Così la
nostra facoltà di rappresentazione, la nostra facoltà
cognitiva sotto la forma dei pensieri ordinari che ci abitano, è molto più
lenta della nostra attività motoria, istintiva ed emozionale. E’ quello che
dimostrò B. Libet in un contesto di osservazione
sperimentale con soggetti provvisti di elettrodi. Mentre
una stimolazione elettrica della pelle su una mano è registrata dalla corteccia
cerebrale in 30 millisecondi, 500 millisecondi sono necessari perché quella
stimolazione arrivi alla coscienza del soggetto. Viene
constatato lo stesso distacco per la presa di coscienza di un oggetto visivo.
Se un automobilista in possesso dei suoi mezzi frena in circa 150 millisecondi,
prende coscienza un
poco più di 300 millisecondi più tardi, che un gatto o un bambino attraversa
imprudentemente la strada.
Se gli
sperimentatori constatano che il soggetto è persuaso d’aver preso coscienza del bambino prima
d’aver deciso di frenare, poi d’aver eseguito per evitare una disgrazia, la
registrazione cerebrale contraddice quella credenza. Secondo Gurdjieff, i centri
istintivi e motori funzionano molto più in fretta del centro intellettuale; la
presa di coscienza della situazione ci fa realizzare
che dormiamo e che i nostri atti avvengono meccanicamente. Rudolf Steiner,
fondatore dell’antroposofia, conferma quel punto di vista “iniziatico” : l’uomo dorme nella sua volontà, sogna nelle sue emozioni
e non si risveglia che nel suo pensiero- quando pensa!
Esperienze
più recenti consistono nel presentare a un soggetto
normale, nello spazio di una frazione di secondo, foto di visi allegri, tristi
o neutri. L’istante in cui il viso triste o allegro o neutro è presentato alla
vista del soggetto è abbastanza breve perché questo non sia riconosciuto dalla
coscienza. Immediatamente dopo, un viso neutro è mostrato più a lungo
all’attenzione per mascherare l’impatto del primo viso. Quando
il primo viso è allegro, benchè non sia percepito dalla coscienza del soggetto,
si registra una reazione del muscolo zigomatico, propria del sorriso. Se è
triste, si registra la
reazione inconscia del muscolo corrugatore che aziona l’aggrottare delle
sopracciglia. Sembra proprio che quel tipo di esperienza
metta in evidenza la maggior rapidità del centro emozionale rispetto al centro
intellettuale.
L’esistenza inconscia dei nostri “me”.
Mentre
l’approccio classico o filosofico consisteva nel considerare la coscienza come
un’entità unificata per tentare di localizzarne la sorgente, la ricerca di
punta, come quella di Ray
Jackendoff, afferma che la coscienza è fondamentalmente divisa e che si devono
cercare le molteplici fonti “ogni
modalità di coscienza proviene da un livello o da un insieme di livelli di rappresentazione diversi. L’assenza d’unità della
coscienza è dovuta al fatto che ciascuno di quei
livelli differenti comporta il suo repertorio di distinzioni” (Ray Jackendoff).
Le ragioni
molto complesse di questo approccio della non-unità
della coscienza, rifiutano l’esistenza di un Sé, o di un Me, unificato o
unificatore. Quell’assenza di unità interiore
comporta, secondo Marvin Minsky, una necessaria sorveglianza fornita dalle
nostre rappresentazioni di ciò che la mente dovrebbe essere. Per i ricercatori
non c’è nessuna
entità centralizzata e onnipotente, ma esiste in noi una società d’idee che includono le nostre
immagini di ciò che è la mente e anche i nostri ideali.
Questa
società eterogenea funziona,
dopo Gerald Edelman, sul principio della selezione darwiniana e, nel caso del
cervello, della selezione dei gruppi neuronali. Questa ipotesi scientifica si
basa evidentemente sul postulato che la cognizione e l’esperienza cosciente
discendono da processi e organizzazioni neuro-biologici.
I “me” si
definiscono ciascuno con “una personalità in noi, un piccolo essere provvisto
di una parte intellettuale, emozionale e motoria” (Maurice Nicoll).
Essi si succedono per associazioni d’idee, per reazione e opposizione, per
approvazione o contraddizione… E ogni successione di me si effettua
a un livello che soggiace alla nostra coscienza ordinaria, o centro
intellettuale inferiore, secondo la denominazione di Gurdjieff.
L’inconscia sorgente della creatività.
Ma la coscienza di cui parliamo qui
non è che il nostro pensiero ordinario, cerebrale, ombra proiettata sulla
parete della nostra caverna, secondo l’analogia
platonica; è la manifestazione del nostro centro intellettuale, lento e
incapace di percepire l'inconscia attività emozionale e istintiva soggiacente
alle nostre funzioni cognitive.
Su una
modalità di funzionamento estremamente rapida, Gurdjieff indica l’esistenza di due centri superiori, l’uno
emozionale, l’altro intellettuale. I centri sono in noi; sono pienamente
sviluppati e lavorano sempre, ma il loro lavoro non arriva alla nostra
coscienza ordinaria. Questa realtà intelligente che ci sfugge è una sorgente di
creatività come lo suppongono, dopo Jacques Hadamard,
le esperienze di molti matematici contemporanei, da Poincaré a
Alain Connes. In questa prospettiva Pierre Buser mostra come “l’intuizione è
una porta aperta sull’inconscio”. L’inconscio, o piuttosto il superconscio,
copre una vasta dimensione misteriosa, verso cui la nostra coscienza troppo
lenta non può rivolgersi.
Nullità verso l’Unità.
Le
difficoltà quasi insormontabili che incontra il ricercatore spirituale riguardano il fatto che questo non ha realmente esistenza
cosciente. Questa scoperta, per l’insieme dei ricercatori in Scienze Cognitive,
fu espressa da Marvin Minsky che dichiarò che “forse è giusto perché non c’è
nessuno nella nostra testa per farci fare quello che vogliamo, neanche per
farci volere volere, che creiamo il mito secondo cui
siamo all’interno di noi stessi”.
Questa
constatazione improvvisa non contraddice affatto la via spirituale, che implica
che “l’uomo deve realizzare che non esiste”. Il
potente presentimento della nostra inesistenza ha giustificato, nel corso del
ventesimo secolo, la importantissima filosofia
esistenzialista d’un Sartre, che si trova oggi
totalmente degradato a un nichilismo che i nostri politici rifiutano di vedere.
Che non esistiamo, che siamo fatti di me, di frammenti
o di carte neuronali impermanenti è anche la visione buddista della verità
sull’uomo.
Ma non si tratta di farne una
concezione o una teoria sofista della coscienza, si tratta di realizzarne
coscientemente la verità, di imparare a vederla e più ancora a vedere ciò che
è. “Svegliarsi significa realizzare la propria nullità, cioè
realizzare la propria meccanicità, completa e assoluta”. (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento
sconosciuto).
L’illusione
di essere un sé unificato, considerato a torto come necessario a un ricercatore come Marvin Minsky, deve essere
smascherato. E’ quello a cui Francesco Varela s’è attenuto per aprire le Scienze
Cognitive al contesto buddista dell’esperienza umana. Il cambiamento creativo, la
cosiddetta evoluzione spirituale è a questo prezzo! “Consideriamo il nostro
essere come un’unità e crediamo di essere un me unico. Si tratta di
un’illusione e finchè quella rimane, è realmente impossibile cambiare”.
Il filosofo
Krishnamurti ha a lungo insistito sull’importanza di scoprire la frammentazione
della nostra coscienza, che non può essere unificata con intenzione, qualsiasi
essa sia, per quanto santa sia. Pose
il problema in questi termini: “Il modo di prenderla è questo: non bisogna fare
assolutamente nulla. Siete capaci?”. Sicuramente non facciamo niente per
unificare la nostra coscienza divisa e ogni azione o reazione in quel senso non
può che rafforzare la divisione di un me più “spirituale” sul nostro caos
interno… e il nostro caos rimane! Ma
qui si tratta di non fare assolutamente nulla nel senso tradizionale del non-agire
taoista o della via dello Yoga, o via dell’unità. Lo Yoga, come lo traduce Jean
Bouchard D’Orval è “la cessazione della frammentazione mentale. La coscienza
allora è stabilita nella sua vera natura”.
Così la via
dell’unità non può essere perseguita che in modo negativo, senza il quale non è
possibile arrivarci.
Le nostre
facoltà cognitive, rappresentazioni mentali, ragionamenti, sono messi a dura
prova fino a che non realizziamo che il
nostro centro intellettuale inferiore non può connettersi ai centri superiori.
Perché la nostra coscienza ordinaria non ha la rapidità
sufficiente; è quel che bisogna vedere. E questo
vedere, che non è appannaggio della nostra coscienza ordinaria, Husserl lo
presenta come “una riduzione fenomenologica trascendente”, una “messa tra
parentesi”, o “messa fuori circuito” di tutti i nostri
saperi, al fine di scoprire “l’accesso alla coscienza pura”. Ritroviamo là il
senso profondo dell’unione, che si opera con la cessazione della frammentazione
mentale, o, secondo altre traduzioni, con l’inibizione
delle modificazioni della mente. Il metodo anti-metodo scoperto da Husserl non
è nuovo! Ma in quanto “nuova scienza” può portare a un
vero cambiamento creativo in seno alle Scienze Cognitive.