Da
3ème Millénaire n.77 –
Traduzione della Prof. Luciana Scalabrini
D. Spesso
tentiamo di sfuggire alle nostre vite quotidiane: un lavoro che non ci apre,
relazioni mondane che non prendono la direzione che ci aspettiamo, situazioni
familiari difficili. Qual è l’origine del nostro desiderio di sfuggire?
E. T. La maggior parte delle persone fanno dell’istante
presente un mezzo per arrivare a un fine, che è un futuro che arriverà un
minuto o un’ora dopo, ogni volta che “faccio qualcosa”. Quello sforzo rivolto
verso l’avvenire, quel contrasto interno che nega il momento presente, si
manifesta continuamente sotto forma di malessere di insofferenza nei confronti
di ciò che è. Questo sembra lo stato normale nella nostra civiltà.
D. Ma le
nostre esperienze passate e quelle future possibili non sono le cose più
importanti nelle nostre vite?
E.T. Non facciamo mai l’esperienza del futuro o
del passato. Sperimentiamo solo il momento presente. Ciò che fate, pensate o
sentite non può che prodursi nel momento presente. Se vivete in modo tale da
negare continuamente il momento presente, significa che negate la vita stessa,
perché essa è inseparabile da adesso, non può che svolgersi nel presente. Non
c’è niente che sia successo in passato, perché è successo in un presente; e
niente può accadere in un avvenire: sarà anch’esso in un altro presente ciò che
accadrà. Questo punto di vista può sembrare semplicistico o idiota, ma c’è sotto
una verità profonda: la vita e l’adesso non sono che una sola cosa.
D. Che cosa
ci fa vivere nel passato o nel futuro?
E.T. Viviamo in un mondo di astrazioni mentali,
di concettualizzazioni e d’immagini, che formano il
mondo del pensiero. E’ un mondo caratterizzato dall’incapacità di fermare,
anche per un istante, il pensiero. Il rumore mentale è un flusso continuo. Gli
psicologi hanno constatato che l’attività mentale è al 95%,o di più totalmente
ripetitiva. In realtà forse, forse 10% dei processi di pensiero sono necessari
alla vita. Il pensiero può essere molto util , ma nel
nostro mondo è diventato compulsivo, ossessivo, quasi
una droga. Il senso d’identità delle persone, del me è legato ai concetti
mentali e alle immagini mentali dell’io e del me.
D. Quando
comincia questo?
E. T. Comincia quando i genitori vi insegnano il vostro nome.
E’ la prima etichetta che registrate: la mente si dice: “ah, sono io” e
ripetete il vostro nome. In seguito questo nome diventa come un cestino in cui
sono ammucchiate nuove esperienze, le cose che vi succedono, gli elementi
utilizzati dagli altri per dirvi chi siete. Certi genitori dicono ai loro
bambini: “non vai abbastanza bene” ; “sei stupido”, “non sei capace di fare
niente”. Altri dicono cose diverse. Ma è sempre un condizionamento che viene
registrato. Questi elementi sono registrati e diventano il contenuto della
vostra mente. Crescendo, si elabora una storia a partire da quei contenuti, una
storia composta da giudizi, credenze, concetti.
In altre
parole, il me è uno scenario che si sviluppa nella testa, somigliando sempre
più a una storia di finzione. Forma anche la base della percezione che le
persone hanno di se stesse e questa percezione è rinforzata dal mondo
circostante.
Spesso gli
altri minacciano la nostra percezione concettuale del me e per questo il me è
sempre molto inquieto, sulla difensiva, deve sempre riempirsi e rimettersi in
sesto.
Ho sempre
bisogno di aggiungere più di me a chi sono già, devo incontrare sempre nuove
relazioni mondane, collezionare nuovo sapere, acquistare nuovi beni materiali o
un migliore stato sociale.
Se le notizie
di me sono buone, se la gente ha un’alta opinione di me, arriverò a una buona
posizione sociale che può diventare la base della mia identità. Se pensano male
di me, se non ho una posizione sociale elevata, anche questa può ugualmente
fornire la base della mia identità, una identità che si dice “non posso farlo,
non ne sono capace”. Questa identità è caratterizzata da una sensazione di
mancanza, di rimpianto. In ogni caso non è completa.
Ma anche
quelli che agli occhi degli altri, sono arrivati, sentono che la loro storia è
incompleta e che la loro vita fin qui non ha seguito il cammino che avrebbe
dovuto.
Così la mia
percezione di me è deficitaria perché incompleta. Il mio sentire è “che ho
bisogno di molto di più per essere interamente me stesso”. E poi c’è la natura
del tutto insoddisfacente della mia storia. Lo si vede bene nei depressi. Altre
volte è nascosta e diventa inconscia. La mente cosciente può creare immagini
del me come se fossero le più grandi, ma altre immagini restano soggiacenti e
vi dicono “no, non lo sei”. E’ possibile che l’immagine che proietto sia
l’opposto di ciò che sento realmente. Ecco
le cose con cui la gente vive: una percezione di sé che porta come un
fardello.
Un’altra
caratteristica di quel me fittizio è che non può mantenersi in assenza
prolungata di conflitti e lotte.
Ha bisogno di
altre persone o situazioni nelle quali trovare opposizione, perché opporsi a
qualcosa o a qualcuno rafforza il senso del me. Se ho nemici, la mia identità
si rinforza. E questo si applica sicuramente, sia in senso individuale di me che in senso collettivo di
noi: la nostra religione, la nostra nazione, ecc. Nei due casi, è attraverso il
nemico e il conflitto che il me si definisce, che si può dichiarare da solo di
essere ok.
D. Perché è
così importante per la nostra identità andare bene?
E. T. Il bisogno di andare bene è una parte importante del
senso del me. Per andare bene, altri devono andare male. Perciò dovete essere
in buone e cattive relazioni con altri gruppi di persone o d’individui, o
semplicemente nelle situazioni che sono considerate ostili e in cui dovete
lottare e resistere interiormente.
Questo
bisogno di nemici fa parte della follia della coscienza umana ordinaria, che ci
ha afflitto per migliaia d’anni.
Si trova alla
radice delle continue guerre e dei conflitti che si vedono quando si apre un
libro di storia o un giornale. Raccomando sempre alle persone di leggere la
storia del ventesimo secolo, che è la più folle per le sofferenze inflitte
dagli uomini ad altri uomini.
La follia del
mondo non è solo all’esterno di noi; la radice della follia si trova nella
mente di ognuno. Ci si può perciò porre la domanda: se non sono chi penso
d’essere, se non sono colui che ogni persona che conosco mi ha detto d’essere,
se non sono lo scenario nella mia testa e se non sono le credenze, le
esperienze accumulate, i ricordi, chi sono?
Rispondere a
questa domanda è pericoloso, perché ogni parola che si potrebbe utilizzare
creerà un nuovo concetto.
La realtà che
siete non può mai essere espressa a parole, le parole sono solo i segnali che
indicano la strada.
D Parlate
dell’emergere di un nuovo stato di coscienza.
E. T. Vedo un cambiamento nella coscienza, che si produce per
la prima volta in alcuni individui qua e là. E’ un cambiamento che gli
insegnamenti antichi hanno messo in evidenza, come quello di Gesù o di Budda:
la possibilità di vivere in uno stato differente di coscienza.
Questo giunge
alla nostra epoca ad una scala globale
perché la follia umana minaccia di distruggere il pianeta. Se i cambiamenti
nella coscienza non si producono subito, allora non ci sarà più possibilità di
sopravvivenza per il pianeta. Forse il pianeta potrà farlo, ma non gli umani.
Il pianeta potrebbe rigenerarsi dopo qualche centinaia d’anni, ma gli esseri
umani saranno scomparsi.
D. I giochi
sono fatti.
E.T. SI, e qualcosa si produce, perché c’è una
grande intelligenza nel lavoro, che va ben al di là della mente umana. E’ l’immensa
intelligenza che si trova in ogni organo del corpo, nel DNA di ogni cellula, è
l’intelligenza che dirige e coordina tutte le funzioni del corpo umano. La
mente cosciente non ha evidentemente la capacità di farlo.
Mettete in
funzione tutti i computer del mondo, essi non potrebbero dirigere le funzioni
del corpo più di un secondo.
Così, c’è
un’intelligenza più grande negli esseri umani che non può essere contenuta
nella mente. La mente non è che un aspetto infimo di un’intelligenza più grande
ancora, la stessa intelligenza che ha creato
le galassie e la natura. Ed è quello che si produce oggi.
D. Come si
manifesta in noi?
E.T. Si manifesta dapprima con un’incapacità di
osservare la mente in noi. Abbiamo allora la possibilità di non identificarci con
le strutture mentali.
Vi rendete
conto, sempre di più, che non siete, che non siete i vostri pensieri, perché
vengono e scompaiono.
Sono tutti
condizionati, non sono che il contenuto della vostra mente.
Invece di far
derivare il senso del me dal loro contenuto, vi rendete conto che potete
semplicemente osservarne il contenuto.
Allora sorge
un senso più profondo.
E’ la
presenza cosciente, essa è molto estesa e poco importa quel che passa nella
mente. Non vi identificate più con la mente, che non è che il pensiero
condizionato e, al contrario, vi identificate con la presenza che osserva, che
può vedere i pensieri condizionati e le emozioni in un flusso continuo. Quando
il senso del me non è più legato al pensiero e non è più concettuale, c’è una
profondità di sentimento, di sensazioni, di compassione, d’amore, che non
esisteva quando eravate presi dai concetti mentali. Voi siete quella
profondità.
D. Mi sembra
più facile essere nello stato che descrivete quando mi trovo nella natura.
E.T. Si, perché la natura non stimola la mente
nello stesso modo. Benché molte persone possano trovarsi nella natura essendo
sempre piene di concetti mentali e di rumore, di tanto in tanto, anche le
persone che sono immerse nel chiasso mentale conoscono dei momenti di calma
come quando sono nella natura, quando il rumore diminuisce, improvvisamente diventano vigili e presenti.
Allora arrivano ad osservare, a vedere e sentire la vita attorno a loro: il
sacro, la bellezza, l’armonia che unisce ogni cosa.
E’
meraviglioso camminare nella natura con una mente calma, o piuttosto nel
non-mentale, semplicemente in uno stato di presenza vigile.
La natura può
essere di grande aiuto in questo.
L’essere
umano ha la possibilità di conoscere qualcosa di molto più grande dell’attività
del pensiero. Si trova molta più intelligenza al di là del pensiero, in un
luogo dove l’intuizione, la creatività e prese di coscienza improvvise sorgono.
Però non escludo totalmente il pensiero; esso è necessario per dare forma a
questo genere di cose. Ma quando il pensiero si trova alla pari con il sé,
diventa distruttivo, perché la base della nostra identità diventa
un’astrazione, una concettualizzazione.
D. Cosa fa sì
che si ha bisogno d’essere liberi?
E.T. L’attenzione qui è una parola essenziale.
Le parole che
utilizzo sono degli indicatori che indicano uno stato di coscienza che è non
concettuale. Infatti utilizzo concetti per descrivere una realtà non
concettuale. A volte, uso le parole di grandezza o di presenza estesa. Il
termine attenzione è molto utile. Lo stato dove non si è identificati col
pensiero è uno degli stati di vigilanza più elevati.
L’attenzione
è l’essenza dello Zen, uno stato di vigilanza dove non c’è alcuna tensione.
E’ una
vigilanza distesa, come se ascoltaste, benché non ci sia niente da ascoltare.
In questo stato, l’attività del pensiero decresce; e poi si ferma.
Molte persone
hanno limitato l’accesso a questo stato nella loro vita. I grandi artisti
creano a partire da questo stato; i grandi scienziati anche. Gli scienziati,
certo, usano la mente nel lavoro, ma i grandi scienziati hanno raccontato che
le loro idee migliori sono venute in un momento in cui la mente era in riposo:
essi avevano riflettuto molto prima e non erano giunti a una soluzione.
Improvvisamente, la mente si è arrestata
e da quella calma, da quella presenza cosciente, è venuta la risposta. Grandi
atleti conoscono anch’essi quello stato. Non pensano a ciò che stanno facendo;
la mente non ha niente a che fare nel loro movimento. Il gesto giusto si
produce spontaneamente e sono totalmente vigili. Tutto ciò che esce da quello
stato di vigilanza è bellezza, che sia nella danza, nell’arte o nello sport. E
la gente deve sentirlo. In un modo o nell’altro, perché altrimenti guarderemmo dei giocatori di tennis che battono
una palla per ore?
Gli
insegnamenti del passato dicevano che è possibile vivere in questa via, in modo
che la vostra vita intera sia un’espressione di quello stato di coscienza; la
follia non si riafferma quando arrestate la vostra attività artistica o sportiva.
Alcuni artisti erano più pazzi della media; è solo perché ogni tanto
diventavano liberi da quello. Così in quel tipo di follia vediamo di tanto in
tanto creazioni sublimi. E ci domandiamo “Mio Dio, com’è possibile che un
essere umano abbia creato qualcosa di così sublime!”.
D. La mente
non è implicata nella creazione?
E.T. La creatività non viene dalla mente umana.
La mente gli può dare una forma, ma l’ispirazione profonda, la sua essenza
viene sempre da quello stato di presenza vigile: niente mente, niente pensiero.
In seguito forse il pensiero interviene, ma più in certe attività, come per
esempio la scrittura. Ma anche un autore è al suo ascolto e aspetta che arrivi.
Molti lavori
che si chiamano arte ai giorni nostri, sono in realtà creazioni del pensiero
umano, che tentano di essere intelligenti e di pensare a qualcosa di nuovo.
E così manca
l’essenza dell’arte vera, che è il profumo, il sapore di quello stato elevato
di coscienza, a partire dal quale è giunta l’ispirazione originale.
Nessuno sa
come si manifesta nel lavoro. Nemmeno l’artista lo sa. Eppure in un modo o
nell’altro, le persone sentono quando è presente. Dunque non sono totalmente
folli; sentono che c’è qualcosa di presente.
Gli esseri
umani devono ora andare al di là dell’accesso limitato a questo stato di
coscienza. Dobbiamo subire una trasformazione psicologica, come dice
Krishnamurti. Il cambiamento arriverà quando le persone vivranno
quotidianamente in quello stato di coscienza. Se questo si produce, l’umanità sopravviverà. Se no è molto probabile che soccomba. Aspettiamo di vedere ciò che succederà. Ma
siete voi il fattore importante nella sopravvivenza dell’umanità, voi,
l’individuo.