3ème Millénaire n. 84 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini
3mill. Non è raro
constatare una scissione tra psicologia e spiritualità, e soprattutto tra psicoterapeuti,
psicanalisti, psichiatri e spiritualità. Sembra che il rifiuto di vedere la
possibilità di una natura non condizionata sia molto radicato negli
psicoterapeuti e negli psichiatri. Viene dal fatto che i professionisti della
psiche non vedono che l’esistenza della persona condizionata? E come, nel quadro di una terapia, conciliare via terapeutica che è
indirizzata alla persona, e via di conoscenza di sé a finalità spirituale?
J.M. Il mondo si mostra nello sguardo che voi
siete. Questo sguardo è la coscienza stessa, pura impersonalità. Quello che si
chiama il soggetto, il Sé, o la presenza, è fuori da
ogni conoscenza oggettiva, essendo il soggetto che percepisce l’oggetto. Lo
sguardo non può guardarsi. In lui appare
ciò che è guardato.
Le scienze e le psicologie riguardano il mondo del guardato.
Esplorano l’oggetto, sotto tutte le angolazioni
possibili e nel loro gioco di interrelazione.
La coscienza-soggetto è lo sguardo dimenticato.
Per
la buona ragione che non può essere vista in quanto oggetto. Quando un’esperienza spirituale guarda, sorge
spontaneamente, per esempio quando un bambino o un adolescente entra in una
chiesa o in un tempio, ed è toccato da un sentimento che si risveglia in lui,
si forma un inizio di comprensione. Si accende una lampada, che non si spegnerà
mai, ma ci metterà del tempo a rivelare la sua luce. Per errore, la luce che si
rivela alla coscienza del soggetto addormentato è
attribuita al mondo oggettivo. Il luogo, la situazione, le circostanze,
sembrano essere la causa apparente della tranquillità e del silenzio provati.
Non è che dopo una lunga maturazione che la natura del
soggetto comincia a chiarirsi come sia lei stessa a realizzare la grazia
ricercata.
E’ perciò perfettamente comprensibile che per lo sguardo non
ancora risvegliato a se stesso non esista che il mondo oggettivo, che dà
l’impressione di essere autonomo. La personalità, il
corpo e il mentale condizionati sono percepiti come la
vera identità, certo mobile, ma inalienabile per chi non crede che a ciò che
vede.
Come si potrebbe pensare alla visione stessa, in questo
mondo che sembra così reale e mostra incessantemente le sue affascinanti
evoluzioni?
E’ spesso in occasione di prove dolorose che i sistemi di
credenze sono messi in discussione.
L’oggetto perde la sua validità e l’impermanenza del mondo
manifestato tende ad affermare la sua evidenza. Quando la ruota delle
esperienze della vita ha frantumato abbastanza i sogni dell’ego, il mondo
manifestato, che ha perduto parte del suo fascino, tende ad essere trascurato.
La mancanza porta a un parossismo, che rende ogni
movimento di compensazione inutile. Allora le condizioni sono favorevoli ad un
rivolgere lo sguardo su se stessi.
Una volta che lo sguardo si è rivelato come la luce che
illumina il mondo, questo non si confonde più con la luce stessa. Non è che il suo
riflesso.
La terapia che si interessa dell’oggetto, dando
valore al contenuto mentale, può essere seguita entro certi limiti, ma allora è
ritenuta frammentaria, finchè non mette in evidenza la coscienza-luce che
illumina il mentale. Il mentale deve dapprima essere osservato come un
prigioniero che esamina i muri della sua cella. Da questa osservazione
attenta viene la convinzione che lo sguardo è lui stesso i che viene guardato.
In altri termini, il senso di separazione, che separa un me-soggetto da un
me-oggetto, si estingue, per lasciar posto all’unicità della coscienza, che
contiene il me-oggetto e il me-soggetto, senza essere nessuno dei due.
La terapia che ingloba l’evidenza della coscienza-soggetto
non nega il mondo manifestato, in un’attitudine di pseudo-distacco che non
sarebbe che un rifiuto mascherato. Essa considera il mondo manifestato, e
dunque il mondo della psiche, reale come il sogno per
il sognatore, e può perciò studiarlo come tale, come manifestazione transitoria
della luce della coscienza. La pace, la gioia e la contentezza non sono più
attribuite al mondo manifestato, ma alla coscienza da cui emana.
Il dialogo tra un terapeuta convinto della realtà del mondo
oggettivo e un terapeuta convinto della sua irrealtà è sicuramente molto
difficile.
Sta a chi conosce, per sua esperienza, l’evidenza del non
–manifestato adattarsi a chi non ne ha ancora sentito il profumo.
Il grande contiene il piccolo, ma il piccolo
non contiene il grande. E’ così anche delle prospettive, come dell’ultima
bambola russa, che non può mai contenere la più grande.
3mill. C’è dunque
una grande differenza tra i terapeuti che puntano
verso l’analisi e quelli che invitano all’osservazione senza analisi del
contenuto mentale. I primi tendono a cristallizzare la nostra credenza nel
mentale (“ho dei problemi, mi lamento, voglio guarire”),
mentre i secondi liberano! Ora, un gran numero di terapie mettono il paziente nell’analisi, secondo, per esempio, la
direzione iniziata da Freud e proseguita da Lacan in Francia. Questo
significherebbe, secondo voi, che quei terapeuti
analitici sarebbero non solo inutili, ma forse dannosi? In quale caso possono
essere utili? E in quale dannosi?
J. M.
Tutte le forme di terapia sono una risposta a bisogni coscienti o
inconsci presenti nella nostra mente. Non è possibile eliminarne alcuni. Se si mantengono, è che rispondono ai bisogni di una parte
della popolazione. Quando quei bisogni si esauriscono,
quelle terapie scompaiono naturalmente.
L’ascolto fluttuante, di cui parlano gli psicanalisti, è un
punto interessante, che ricorda l’ascolto di cui si tratta nel cuore
dell’esperienza meditativa. Quando uno spazio d’ascolto è aperto, ed è
probabilmente ciò che cercano le persone che
frequentano quel tipo di terapeuti e di terapie, si libera l’intuizione, si
rivelano i meccanismi latenti della personalità, e si può mettere in azione una
comprensione nuova. Dunque è essenziale che quello
spazio d’ascolto si mantenga, favorito da un terapeuta esperto in quelle
pratiche.
L’interpretazione dei fenomeni secondo i precetti freudiani,
junghiani o lacaniani, per non citare che i più famosi, resta pur sempre
un’interpretazione, perciò è di natura mentale e non può che girare attorno
all’unità, che si cerca e non si trova che nella coscienza-soggetto.
L’io-coscienza è spesso mantenuto
su un piano oggettivo, quello di un
soggetto me cosciente di un oggetto non me, mantenendo così un senso di
divisione senza uscita, che non può portare alla pace desiderata.
L’abbandono del mondo oggettivo non si fa che quando si
afferma la sua irrealtà. Il concetto di irrealtà è
preso qui nel senso di impermanenza. Non è possibile parlare di realtà per ciò
che non è che temporaneo. La nozione di realtà si
riferisce alla permanenza, e questa è assente dal mondo oggettivo.
La via analitica, la parola non essendo qui utilizzata nel
senso restrittivo di psicanalitico, porta un certo conforto, nella misura in
cui il senso di colpa, che si trova spesso nella continuazione della
sofferenza, si diluisce in un senso di responsabilità, in cui è implicito
l’ambiente nella sua totalità, includendo la genetica e la nozione di karma.
Viene però un momento in cui il mentale continua a girare in tondo,
cercando di localizzare la felicità, senza poterla trovare. E
questo per la buona ragione che la felicità non appartiene al mondo oggettivo.
La coscienza è da lei stessa l’oggetto cercato. Tutte le esperienze di gioia,
di trascendenza, di felicità sono l’espressione della sua natura. Proiettata
nel mondo oggettivo, dà l’impressione che ciò che le appartiene è anche
presente nel mondo oggettivo degli oggetti percepiti..
Ma si tratta di un riflesso, inconsistente come il riflesso della luna nello
specchio del lago.
Il riconoscimento di quella inconsistenza porta alla
realizzazione che la felicità oggettiva non è che il riflesso della felicità
soggettiva, soggetto io, essenza stessa dell’essere, che precede ogni forma di
ideazione e di concettualizzazione. Il mentale termina qui la sua corsa, non
potendo scorgere ciò che riflette, come lo specchio del lago non può conoscere
la vera natura della luna, non conoscendone che il riflesso.
Non si può nemmeno parlare di terapie nocive, poichè la sola nocività è
la credenza in una realtà che non è reale. Piuttosto che fustigare il mondo come è, è più vivificante stimolare il senso di
discriminazione, che permette di non
cercare più di estinguere la sete nel deserto arido delle proiezioni. La luce
che si cerca si
rivela nell’abbandono della scelta, coscienza della totale impotenza, dell’assoluto
denudarsi e del la nudità della mente.
Le terapie sono diverse, come lo sono le maturità. L’ultima
terapia consiste nella sparizione del senso di individuazione,
nel quale l’io, oggetto di conoscenza, è assorbito nell’io, oggetto di
conoscenza che non è né conoscenza né ignoranza essendo il contenuto delle due.
Alla fine, l’intuizione è la guida che porta ciascuno dove
deve essere. Gli incontri ubbidiscono a questa stessa intelligenza, nella quale
l’idea della scelta è assente. Essere scelto è senza scelta. E’ così che la
vita è il grande controllore, di cui il piccolo me non
è che un pallido riflesso che si immagina autonomo e ne dimentica il suo non
esistere.
3mill. Una delle
maggiori differenze tra certe vie analitiche e le vie di conoscenza di sé a
finalità spirituale sta nel rapporto con il corpo. In
queste ultime, l’accento è messo sul corpo, l’attenzione al corpo.
In cosa un approccio della sensibilità corporea può aiutare a scoprire i nodi
emozionali? E’ davvero necessaria?
J. M.
E’ difficile fare il punto sulla dimensione corporea, perché il
mentale e il corpo operano come un’unità funzionale, esprimendo il secondo le
pulsioni emesse dal primo.
Il corpo si comporta come un perfetto riflesso del mentale.
Prolunga il pensiero e gli dà un substrato materiale.
Da questo fatto, l’ascolto del corpo è prezioso per
comprendere le sottigliezze del funzionamento mentale e di ciò che si chiama
ego.
Ogni reazione corporea riflette una difesa su un piano
mentale, mettendo in opera un attaccamento al pensiero me e alle sue
ramificazioni. Le tensioni sono sentite come regioni opache, poco irrorate dal
respiro e dalla coscienza. Sono organizzate in luoghi nei quali si sono
incistate delle memorie. Il peso del passato si esprime così nello spazio
corporeo e le tensioni ne sono la manifestazione
tangibile.
Nel sonno profondo il corpo è disteso, perché l’attività
mentale è sospesa.
Dall’entrata nello stato di veglia, le tensioni riappaiono,
e insieme si riattiva il film mentale, col suo peso di credenze e di opinioni, la credenza principale essendo
l’identificazione con il pensiero me.
L’emozione è il modo in cui il mentale si esprime attraverso
il corpo. Non immaginate una paura, una gioia o una collera senza l’insieme di
sensazioni che l’accompagna. L’emozione perciò è una
sensazione. Le sue particolarità la fanno nominare e il concetto è così creato.
Il mentale si attacca al concetto emozionale, lo prende per una realtà e ne
dimentica la dimensione corporea che vi si attacca. Se si mette da parte il
concetto mentale, l’ascolto può allora portarsi esclusivamente sul movimento delle
sensazioni. La paura, la gioia e la collera non sono più nominate, ma sentite
nella loro sensazione sensoriale. E’ una rivoluzione, perché, da che l’emozione
manifestata è così ascoltata, si rivela uno spazio che libera l’emozione dal
suo peso permettendole di dispiegarsi e riassorbirsi nel silenzio della
coscienza. Quando l’avete vissuto una volta, non
potete dimenticarlo e sapete intuitivamente che c’è un avvenimento veramente liberatore.
L’emozione che si rivela contiene il passato che l’ha costituita. Dandole lo
spazio di cui ha bisogno per dispiegarsi, il passato è così accettato,
digerito, ripulito ed eliminato. L’ascolto della sensazione è dunque un
processo attivo di guarigione, che permette di curare le piaghe passate e di
rendere trasparenti le regioni dense del mondo manifestato.
Ciò che vale su un piano individuale, lo è anche su un piano
collettivo. La paura, la gioia e la collera collettive costituiscono una specie
di riserva di massa, nutrita dai movimenti energetici delle individualità che
la costituiscono.
Sicuramente si può ribadire che, se
lo si riferisce a insegnamenti non duali radicali, per esempio quelli di Ramana
Maharshi, il riferimento esclusivo alla realizzazione del Sé nasconde la
dimensione corporea e la riduce a una pelle di dolore. Ma
l’astrazione necessaria per risalire il filo del pensiero ed emergere nella
coscienza che lo precede non è possibile per ognuno. Bisogna perciò reificare
l’esperienza interiore per una attenta osservazione
dello schema e dei riflessi corporei. Sarebbe assurdo credersi stabilizzati in
una pace immutabile, se il corpo manifesta ancora diverse tensioni o una
qualunque agitazione.
L’alleanza del corpo e del mentale offre un meraviglioso
panorama che permette a ciascuno di aggiustare la sua postura, di cercare a tastoni la rivelazione del silenzio nella manifestazione
corporea, e di permettere così alla coscienza di esprimersi pienamente, tanto
attraverso il pensiero che attraverso la sensazione e l’azione.
Il silenzio della presenza irradia come un sole che non si
spegne mai, utilizzando canali molteplici per esprimere la sua natura luminosa.
Il corpo e il mentale ne sono gli strumenti, che riflettono fedelmente la bontà
immanente della semplicità dell’essere. Senza confondere l’espressione con la quale è espressa, il riflesso della luna con la luna, il
fiore dell’amore spande i suoi effluvi, come una sorgente che sgorga, il cui
fluire calma la sete del ricercatore di verità. Il cercatore è lui stesso ciò
che cerca. Ricercatore, ricercato e ricerca non sono
niente più che la maniera in cui la coscienza scintilla nei movimenti del
pensiero. Essere precede ogni pensiero. E’ con lui stesso l’oggetto e la
sorgente della ricerca.