3^mè
Millénarie n. 65
D: Mi piacerebbe sentire qualcosa sulla preparazione alla morte, sul suo senso, sul modo in cui si potrebbe prendere per affrontarla. E’ una domanda troppo pesante per voi?
R: No, è leggera. Non c’è scelta. Si vive
esattamente come si muore e si muore come si vive. Se
si vive nella paura, si muore nella paura. Se si vive
in modo disponibile, si muore in modo conseguente. Dimenticate la morte e
datevi apertamente alla vita. Quando avete l’opportunità di
sentire la paura, dite grazie. Se la provate
ora, non dovrete subirla più tardi sul letto di morte. Lasciatela parlare
sensorialmente. Voi non avete paura, voi sentite la
paura. A poco a poco si svuota. Quando vi capita di
avere paura, se tentate con certe tecniche di minimizzarla, la rincalzate un
po’ di più ogni volta ed essa vi raggiungerà al
momento della morte.
Vivere disponibili. La morte diventa un non-avvenimento e non
ci pensate più. Non è necessaria nessuna conoscenza. Evitate di leggere il
libro tibetano dei morti. Non rimandate più la vita preparandovi alla morte.
Inutile entrare nelle fantasmagorie religiose, culturali o allora, se vi sembra
indispensabile, fatelo, ma avendone coscienza che è
una fantasia. Non c’è bisogno di preti né di conoscenze esoteriche.
Morte alla proprie attese,
alle proprie angosce, alle proprie inquetitudini. E’ questa
morte che è importante. Se questa morte prende veramente corpo in voi, constaterete che la riflessione sulla morte del corpo non
può presentarsi.
La vostra cultura è localizzata nella
vostra memoria e non è impossibile che, secondo l’età in cui partirete, la
vostra memoria sia intaccata dagli anni. Tutte le cose che avete accumulato, tutto ciò
che avete letto,tutte le tecniche e le esperienze
romantiche a cui vi siete dati, visto il deterioramento del vostro cervello,
non vi saranno più possibili. Quindi tutte le vostre
preparazioni sono inutili e non c’è niente da sapere.
La disponibilità al presente vi accompagna
in ciò che è importante.
Tutte le riflessioni che potete fare sul
tema sono solo una memoria. E’ un ammasso
d’informazioni che avete appreso alla televisione o eventualmente assistendo
amici morenti. E’ su questo accumulo di nozioni errate
che basate la vostra idea di morte.
Dimenticate il grande
maestro, il lama, tutte le persone che vorrebbero assistervi.La
famiglia che s’ostina a piangere, le persone che dicono di aiutarvi e sono
tristi sono una calamità. Voi morite tranquillamente, solo, su di un
marciapiede o su un letto d’ospedale. Non c’è nessun bisogno d’essere
circondato. Morire semplicemente, come si vive, liberamente.
Se la situazione comporta
che la vostra famiglia in lacrime sia lì, bisogna accettarlo. Se il suo cattivo
karma vuole che un lama tibetano persista a volervi venire in aiuto, o che un
prete cattolico tenga a benedirvi, lasciatelo fare.
Ne hanno bisogno per la loro sopravvivenza
psicologica.
La loro agitazione ritualizzata permette
loro di rimandare la loro paura. Ma queste azioni
psicopatiche non vi toccano affatto. Niente vi può aiutare e questo è la
meraviglia, perché niente è necessario. Come la sera il corpo muore
progressivamente nel sonno, il pensiero scompare, la percezione se ne va. Le persone che sono felici di vedervi partire possono
restare. Quelli che sono tristi devono essere allontanati dal capezzale di un
morente.
E’ una mancanza di rispetto, una mancanza
d’amore essere afflitti.
I vostri amici veri gioiranno quando
sapranno della vostra morte. Ciò che diciamo ora non è rivolto a tutti. Lo Yoga
è l’arte di morire. Quando lavorate col corpo, imparate a
morire. Non farlo a livello simbolico, ma in pratica. Imparate
a vivere, è la stessa cosa.
D: Se capisco bene, non è necessario essere
coscienti nel momento della morte.
R: Potete scegliere di ricevere un colpo di
baseball sulla testa, d’aver un incidente in auto o di essere obbligato a
prendere droghe per lenire il dolore che vi sarà intollerabile? Cosa che inevitabilmente diminuirà il vostro livello di
sensibilità cosciente? Non c’è scelta. Non ci si prepara alla
vita, si vive semplicemente. Non avete niente da conoscere su di voi.
Non è necessario sapere a cosa dovete fare fronte domani, voi lo vedrete. Prevedere se sarete tristi, pieni di paura, se la vostra casa
brucerà, se ci sarà la guerra, se sarete in salute o malato. Questo
sapere è inutile. Perché caricarsene?
Affrontare la vita momento per momento. La
cosa più straordinaria è quello che succede nell’istante.
Come posso
interessarmi a ciò che succederà domani? E’ una stupidaggine pensare al dopo.
Ora è troppo ricco per lasciarmi lo spazio di
fantasticare su ieri o su domani.
Quando vi siete davvero dati alla sensibilità, il
domani non esiste. La vita presente è troppo bella, troppo intensa, troppo
piena per avere l’occasione di scivolare a domani, a
un futuro, a una preparazione. Non si prevede niente. La sola vera preparazione
è la disponibilità.
Nessuna morte è ideale,
questo non è che nei romanzi. Morire con le gambe incrociate, diritti,
coscienti… Non dico che a volte questo non capiti,
certo è meraviglioso. Ma cosa non è meraviglioso? E’
la nostra storia che giudica, che commenta, che dice: “ è una bella morte o è
una morte terribile”.
Che ne sappiamo? Che
sapete della persona che muore nella
sofferenza, sotto tortura, nella difficoltà, urlando? Sapete se l’istante dopo,
quando il suo corpo è finito, non è tutto lì per lui? Che
ne sapete di quello che muore serenamente, in una specie di sogno prendendosi
per un buddista? Sapete se va davvero a incontrare
tutte quelle entità che dovrebbero aiutarlo a migliorarsi in una prossima vita,
un po’ più nella seguente e in ogni vita sempre più, poi dopo 950 vite
diventate un bodhisatva.
Tutta questa fantasmagoria è dovuta a quella paura di
morire. Come si può pretendere di sapere ciò che è davvero preferibile? Quello
che è giusto è quello che accade. La morte cosciente è molto bella. I
praticanti di arti marziali conoscono bene Tesshu Yamoaka, quel
grande maestro di Kendo
che all’inizio del secolo è morto seduto con il ventaglio in mano. Tanaka seiji, suo
discepolo ne ha composto un’incisione pubblicata in alcuni libri sull’arte del
combattimento. Alcuni istanti prima della sua morte, aveva convocato i suoi
allievi dicendo loro: “perché sento meno rumore
durante il vostro allenamento, meno grida?”; gli allievi risposero che era per
rispetto per i suoi ultimi momenti. Allora li riprese spiegando che se volevano
davvero rispettarlo, bisognava che si attaccassero più forte, più duramente.
Poi, dopo aver dato questo ultimo consiglio, quando
sentì le urla degli attacchi, morì.
Alcuni muoiono così. E’ un simbolo meraviglioso. Questo non si prepara.
Se la vita vi porta a morire tranquillamente,
va molto bene, ma se è nella violenza, bisogna totalmente far fronte. Non
smetterete di battervi dicendo : “ ora morirò
tranquillamente”, no, si combatte fino
all’ultimo momento. Morire con le armi in mano o morire seduti, è uguale. Su di
un altro piano, quando diventate disponibili alle vostre paure, alle vostre
ansie, voi preparate la vostra morte. Vi preparate a dire si, ad accettare. Ma non fatelo per questo, bisogna farlo per la gioia di
farlo.
D: Voi dite che lo yoga è l’arte di morie.
In che modo il lavoro corporale prepara alla morte?
R: Voi cambiate il corpo. Nella sensibilità non c’è corpo. Solo quella massa di energia è presente, il corpo scompare in quella radiazione. Lasciate che gli organi dei sensi diventino vibrazione. Tutto ciò accade nel vostro silenzio, nella vostra tranquillità. Il corpo muore ad ogni istante. Ad ogni espirazione, muore totalmente, ad ogni inspirazione si ricrea. In seguito non resterà che l’espirazione, non ci sarà più inspirazione.
Quando avete frequentato scientemente
questo lasciar-andare dell’espirazione e sapete darvi totalmente a questo
riposo, a questo vuoto, a questa unità dopo
l’espirazione, sperimentate veramente l’arte di morire. E’ il passaggio chiaro.
L’inspirazione verrà su un altro piano. Ma queste sono
parole: l’arte di morire, l’arte di vivere. Non ci si deve attaccare a ciò che
si dice. Non cercate di comprendere ciò che qui è formulato.
E’ certo che se pretendete di essere e possedere una qualunque cosa, è difficile
lasciar andare tutto. Quando capite che non avete
niente, non siete niente, non fate più fatica a partire.
D: Ma quell’attaccamento all’altro, alla
vita, al corpo, a essere qualcuno o niente…
R: Non c’è niente da cercare, la vita si
gioca in voi. Per un certo periodo avete bisogno di sentirvi giovane e bello,
forte , intelligente, ricco, colto , spirituale,
buddista o altro. Come vi è necessario un certo tempo far parte di un club di
foot-ball, di scouts, d’essere brillante a scuola, d’avere quell’amico, di fare
collezione di francobolli. Un giorno non vi identificate
più in un collezionista di francobolli. Non vi percepite più come membro di
questo o di quello. Con l’andar del tempo constatate
che inevitabilmente tutte le identificazioni, le esigenze, progressivamente si
eliminano. Ciò che vi ha reso così felice un tempo, più tardi vi lascerà
completamente indifferente. Ma non è una cosa da
provocare.
Finché si è soddisfatti di avere un’auto rossa,
una donna bionda, il corpo forte, un futuro, un passato, d’essere francese,
bisogna viverlo. Un giorno quelle cose non vogliono più dir niente per voi.
Soprattutto non tentare di non essere
niente, se no diventa un concetto come un altro.
Evitate di diventare uno di quei famosi liberati che vivono in California o da
qualche altra parte il cui ottundimento è tale che credono di vivere la
luminosità.
Non essere niente non è
una qualità, è una constatazione. Un pò come diceva il mio amico Virgil:
“non posso pretendere di essere qualcuno”. La pretesa
è di essere qualcuno. Non si tratta quindi di decidere
di non essere niente. Un giorno, naturalmente, non vi sarà più necessario
prendervi per Napoleone. Non avrete più bisogno di sentirvi esistere per
vivere. Ma soprattutto non è per avere un’altra idea
come: “ non sono niente”. Quella è un’altra fantasia.
D: Potreste parlarci di più della rinuncia?
Questa settimana è la settimana contro il suicidio e mi interrogo
molto quando vi sento dire, o così ho capito: “bisogna andare alla guerra e non
rinunciare”. Dopotutto, quando si accetta di morire, si è portati ad abdicare. Se non voglio più vivere, rinuncio alla vita.
R: Bisogna accettare anche questo. Se qualcuno non può più affrontare la vita, non ha scelta.
Certe persone non hanno la capacità di far fronte. Non si può
mantenere in vita qualcuno a tutti i
costi, è un accanimento terapeutico. Se il
suicida è disponibile al vostro aiuto, è evidente che lo soccorrete. Ma il suicido non è un fallimento medico. Si fa fronte come si
può. Certe persone hanno bisogno di passare attraverso avvenimenti complessi.
La settimana contro il suicidio è un simbolo tipico dell’ipocrisia della nostra
società moderna, come la giornata delle donna, della
mamma, del bambino, del cane, o la giornata contro la violenza. Questi
avvenimenti mediatici presentati come filosofie democratiche di bon ton non
servono che a iniettare pace nella coscienza della nostra società, il
cui rifiuto di mettere in questione i nostri meccanismi interni non è che
un’espressione dell’arrivismo economico esistente.
D: Il suicidio non è un atto di rinuncia?
Dire: “ no, non voglio più vivere”.
R: Essere felici di vivere non è una scelta
più che non lo sia rinunciare alla vita. Chi può sollevare
120 chili di ghisa, non è superiore a quello che non ci arriva. Chi è incapace di compiere questo sforzo, non rinuncia; non può
farlo. Ci sono persone che non hanno più la forza di far fronte alla
vita, al dolore. In momenti più o meno lucidi, prendono la direzione del
suicidio.
Bisogna essere presenti. Se
la persona è disponibile, si assiste nella misura del possibile. Alcune persone
sono al di là di poter essere aiutate. Quando incontrate persone che hanno certe malattie, non
hanno la possibilità di essere aiutate. Il solo modo di aiutarle è di portarle
in noi, nel nostro cuore. Non è perché qualcuno si è
suicidato che tutto è finito, che bisogna pensare a qualcos’altro,
andare al cinema… Si continua a essere con lui. Inutile battersi contro ciò che accade. Se c’è la guerra,
non ci si batte contro la guerra. Si affronta la guerra. Quando qualcuno muore,
quando qualcuno si suicida, non lo si rifiuta; lo si
accompagna.
D: Conosco una persona che sta per morire.
Un membro della sua famiglia vuole assolutamente prendere il
suo posto, non vuole più vivere. Che posso
fare?
R: Non c’è niente da fare. Quella persona
ha una fantasia. Siate presente, amatela, ascoltatela.
Se si ha lo spazio di dire, di fare, di toccare,
fatelo. Se non è il caso, non prendetevela. Non siete
responsabili delle persone che vogliono suicidarsi. Se
potete aiutare, provate, se non è possibile, pazienza. Questo non deve impedire
di dormire bene. Bisogna saper accettare i propri limiti.
Dappertutto persone muoiono
ogni momento nelle più terribili condizioni. Forse che soffrirne li
conforta? No. Se ci si mette in relazione con la situazione, con la vita nel
suo complesso, è evidente che si fa ciò che si può. A volte non basta a impedire che qualcuno muoia o si suicidi.
Se consultate un astrologo e fa il tema
della persona che si suicida, confermerà
immediatamente l’inevitabile. Se fa il tema di una
persona che muore in un incidente d’auto, verificherà anche questo. Non si vede
alcuna libertà d’azione in questi fatti. Chi si suicida
non interviene più di chi è investito da un camion. Non è una scelta volontaria
da una parte e un incidente dall’altra. Non c’è né accidente
né scelta. Succede unicamente ciò che è ineluttabile. Non si può
qualificare una situazione normale e un’altra anormale. Tutto è normale.
Quando non si crea una storia su di una
situazione, si percepisce che ciò che succede non è il frutto del caso. Il
suicidio non è un evento eccezionale, non è separato
dal resto dell’universo come un’anomalia. Le persone che si suicidano
pensano che tutto si fermi, questa forse è un’idea falsa. A volte le persone
non possono comprenderlo.
Quello che potete fare di meglio di fronte a uno che vuole suicidarsi, è essere felice, perché la
felicità è contagiosa.