P.D. Ouspensky (1887 – 1947)
Sofferenza
reale e sofferenza immaginaria: un approccio della “Sofferenza volontaria”
3ème Millénaire n. 70 – Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini
L’insegnamento di G.I. Gurdjief, riportato
da Ouspensky, presenta un “sistema” detto della “Quarta via”, che, alla luce di
un approccio vissuto dall’osservazione di sé, sviluppa delle idee nuove
sull’uomo e la sua possibile evoluzione. La “sofferenza volontaria o cosciente”
è l’esempio stesso di una di queste nozioni che solo un’osservazione non duale
( o oggettiva) dell’esperienza umana permette di
scoprire. Lavorare a un tale modo di osservazione
implica, secondo le parole di Gurdjief la “non espressione delle emozioni
negative”. Questo processo raramente compreso, si basa su una fase di apprendimento al ricordo
di sé.
D: Quando a volte si è infelici o ci sente “negativi”, si è portati a problemi
reali. Poiché ci è stato detto di non esprimere le
nostre “emozioni negative”, non riesco a far concordare questo stato con il sistema.
R: Voi mescolate la nozione di sofferenza e
quella di “emozione negativa”. Non è la stesa cosa. La sofferenza è molto
utile; potete ottenere molte cose con il solo mezzo della sofferenza. Diventa
“emozione negativa” soltanto quando è legata alla identificazione
ed alla immaginazione.
D: Dite che l’uomo deve abbandonare la sua
sofferenza, ma anche deve soffrire per svilupparsi. Come possono
essere compatibili le due cose?
R: In circostanze diverse. In giorni
diversi e momenti diversi. Non sono due principi contraddittori. C’è molta
sofferenza inutile che non si vuole abbandonare. E c’è
una sofferenza inevitabile e necessaria che si deve accettare, se si vuole
ottenere qualcosa.
Nella “Quarta via” si devono sacrificare
tutte le cose inutili, ma non in un colpo solo: le false teorie, il
pettegolezzo, la sofferenza immaginaria. La sofferenza immaginaria è l’ostacolo
principale.
D: Allora la sofferenza non esiste?
R: Solo una parte è reale. Ma noi l’amplifichiamo con l’immaginazione; la sofferenza
reale esiste, ma è limitata per molte cose, per il tempo, per esempio. Ma mentre può arrestare o limitare la sofferenza immaginaria, la
sofferenza reale, se ha una causa, può essere necessaria: può portare alla
conoscenza. La sofferenza immaginaria toglie la conoscenza. La morte di
un amico o pene del genere sono una sofferenza reale, ma se vi
identificate con essa può generare un’emozione negativa. Dopo tutto la sofferenza occupa una molto piccola parte della
nostra vita, mentre le emozioni negative ne occupano la totalità.
D: Il dolore è un’emozione negativa?
R: Il dolore legato alla sofferenza non è
un’emozione negativa, ma quando entrano in gioco l’identificazione e
l’immaginazione, diventa un’emozione negativa.
D: E’ stato detto, o almeno sottinteso, che
l’uomo ama la sua sofferenza. E’ rigorosamente vero?
R: Voi non comprendete affatto il
significato di questa affermazione. Se
riflettete più profondamente, voi vedrete che ciascuno sente un certo tipo di
sofferenza, che si può chiamare la commiserazione di sé. Non si abbandona mai questa autocommiserazione; è il bene più prezioso dell’uomo,
l’ha sempre con sé e ne tiene sempre il posto migliore; non tenterà né deciderà mai a livello mentale di fare uno
sforzo per sbarazzarsi del suo compatimento di se stesso. Ciascuno di noi
possiede una o due emozioni negative alle quali è
particolarmente attaccato. Non ci si dice “amo questa emozione
negativa”, ma si vive in lei, si è totalmente assorbiti da essa e tutto è
colorato da questa emozione negativa e così non la si sacrificherà. Per molte
persone sacrificare la loro emozione negativa principale vorrebbe dire
sacrificare l’insieme della loro vita.
D: Dal momento che l’uomo ha smesso di
credere che le sue sofferenze sono la punizione che
Dio gli infligge, non ha vergogna o risentimento verso di loro?
R: Si, si direbbe, ma in effetti, egli non
le abbandona. Quando decide
di abbandonarle, ne diventa libero Questo sembrerebbe semplice, ma nella
pratica vede che non lo può fare, perché queste sofferenze sono diventate
un’abitudine; di conseguenza, benché lo decida con la mente, continua sempre a
sentire la stessa cosa. Però per sbarazzarsi della
sofferenza inutile, la prima tappa consiste nel decidere di sbarazzarsene a
livello mentale. Quando un uomo prende questa
decisione, dopo un certo tempo, l’abbandona; ma fino a che la sua mente è
ipnotizzata da questa sofferenza, non farà alcuno sforzo per questo.
D: Se l’abbandona cosa riceverà in cambio?
R: Avra’ in cambio l’assenza di sofferenza;
ed è per questo che non vuole abbandonarla.
D: Che metodo si può applicare per
sacrificare la propria sofferenza.
R: Ci sono diversi tipi di sofferenza.
Talvolta vedere che la sofferenza appartiene alla nostra parte immaginaria può essere un mezzo efficace per farla sparire.
Distinguere il reale dall’immaginario è molto utile. L’idea generale è che non
potete ottenere qualcosa senza contropartita, dovete
sacrificare qualcosa. Ma cosa sacrificare? Una persona
non vuole sacrificare una cosa, un’altra persona un’altra
cosa. La risposta, è la seguente: sacrificate la vostra sofferenza, le emozioni
negative, l’immaginazione negativa, tutto questo. È un ottimo sacrificio,
solamente è molto difficile, perché si è
pronti a sacrificare un piacere qualunque, ma non la sofferenza.
D: Come farlo? Ci si rifiuta di pensare che
si soffre?
R: Rifiutate d’accettare la vostra
sofferenza e così di arrestarla. E’ molto semplice. Supponente
di essere in conflitto con qualcuno che vi ha fatto del male o che vi ha offeso.
Provate a rinunciare a questo conflitto e vedrete a qual punto ci siete
veramente attaccati. E’ davvero un sentimento molto piacevole quando ci si
dice: “Non posso farci niente. Nessuno ne ha colpa.” Ma alla gente non piace questo, perché allora sente un
vuoto.
D: Immagino che la ricompensa di ogni sviluppo è della sofferenza perché la conoscenza
porta la sofferenza.
R: Non penso che questo si svolga
obbligatoriamente così. E’ vero che lo sviluppo implica un aumento della
sofferenza per un certo periodo, ma non potete considerarla come uno scopo, o
il necessario risultato. Per se stessa, la sofferenza non può portare niente,
ma se nello stesso tempo ci si ricorda di se stessi, può diventare una
grandissima forza. Se la sofferenza non esistesse,
sarebbe necessario inventarla, perché senza di lei non si potrebbe giungere ad un
ricordo di sé corretto. Ma la gente tenta di sfuggire alla sofferenza, di
sfuggirla o di identificarsi in essa e, in questo
modo, distrugge l’arma più forte che possiede.
D: Qual è l’utilità della sofferenza?
R: A meno che non ci sbarazziamo
della sofferenza inutile, non possiamo servirci di quella che è utile. La
maggior parte della sofferenza è totalmente inutile, e noi ne
abbiamo persino troppa. Dovete imparare a distinguere la sofferenza
inutile. La prima condizione per essere liberi è
riconoscerla per quello che è.
D: Direste che la sofferenza è, in un certo
modo, essenziale, per arrivare ad un cambiamento di livello d’essere?
R: Certamente, ma questo dipende da quello
che voi intendete per sofferenza. Noi non otteniamo niente attraverso il
piacere: con il piacere non possiamo che conoscere la sofferenza. Ogni sforzo è
sofferenza. Ogni presa di coscienza è sofferenza, e
noi facciamo molte osservazioni spiacevoli su noi stessi ed anche su altre
cose, e ci sono numerose forme di sofferenza. Come ho
già detto, certe sofferenze non sono necessarie. Dobbiamo imparare a non
identificarci con questo genere di sofferenze. Invece altri
tipi di sofferenze sono utili. La sofferenza inutile è l’ostacolo
maggiore nel nostro cammino. A volte succede che le persone non possono
lavorare, per paura di soffrire. Nella maggior parte dei casi, si tratta di una
paura della sofferenza immaginaria. Abbiamo molta immaginazione e, a volte,
lasciar cadere certi tipi d’immaginazione sembra difficile.
D: La sofferenza, al di fuori del dolore
fisico, è possibile senza la falsa personalità?
R: Certamente, ma non dura tanto. Quando la falsa personalità comincia ad amarla, questo
diventa pericoloso. La maggior parte della nostra sofferenza viene
dall’identificazione e, se l’identificazione scompare, scompare
anche la sofferenza.
D: Non capisco come un’emozione positiva possa nascere dal dolore; sebbene certi visionari
raggiungano delle vette attraverso la sofferenza fisica.
R: E’ senz’altro possibile, attraverso la sofferenza
fisica e mentale, con la trasformazione. In teoria, ogni sofferenza si può
trasformare in emozione positiva, ma solo se è
trasformata. Ma tali definizioni sono pericolose, perché qualcuno l’
interpreta nel senso che essa si trasforma da sola in emozione positiva. Questo è completamene falso; ogni cosa deve essere
trasformata con un sforzo di volontà e con la
conoscenza.
D: Una disgrazia può aiutare un uomo a
giungere ad uno stato di coscienza più elevato?
R: Nessuno choc da
solo può aiutarci, perché ci sono molte cose che ci costringono al nostro stato
presente. E’ importante capire che sono necessarie migliaia di choc e per degli
anni. Solo allora, le catene possono rompersi e l’uomo può liberarsi.
D: C’è una quantità definita di sofferenza
che deve essere sopportata nel mondo?
R: Probabilmente perché allo scopo di
un’evoluzione possibile, ciascuno deve essere circondato di enormi
possibilità di sofferenza. L’evoluzione dipende dalla disposizione dell’uomo;
se accetta di soffrire e prova a non essere identificato con la su sofferenza.
Può essere che questa legge globale sia stata creata
perché possa diventare più forte, perché solo la sofferenza può creare la
forza.
D: E’ bene per una persona soffrire per
un’altra?
R: Nessuno può soffrire per un altro; se ho
mal di denti, non diminuirà se anche voi avete male.
D: Avere detto che l’Uomo è un’esperienza.
R: L’Uomo è fatto soprattutto per evolvere?
E’ un’esperienza particolare fatta per lo sviluppo di sé. Ogni uomo è un’esperienza, non tutti gli uomini.