Eric Baret
Reintegrazione
3ème Millénaire n.86 - Traduzione dr.ssa Luciana Scalabrini
Gli avvenimenti che si presentano sono sempre inediti, ma
per paura ci sembra di riconoscere le situazioni. Il nostro primo istinto è di
dire no a ciò che mette in questione i nostri riferimenti personali. Per
preservare la nostra immagine, rifiutiamo, pretendiamo che qualcosa sia
negativo o positivo.
Il pensiero intenzionale sorge dalla paura di non essere
niente. Tutta la nostra vita è accumulo di concetti, di assicurazioni.
Il bisogno di sapere viene per fuggire alla realtà: la nostra non esistenza.
Questa presa di coscienza è ascolto e liberazione da
tutto ciò che è giudicato. Presenza alla situazione e al suo rifiuto della
situazione. In un momento senza sapere, il pensiero è elastico, non reattivo e
partecipa alla vita. E’ un pensiero che ringrazia, senza domande né esigenze. Se no il pensiero viene dalla paura e inesorabilmente lì riporta.
D.
Paura
di che?
E.B. Paura di realizzare
che non siete, che non siete mai stati. Che ciò che siete
profondamente non è un oggetto, una percezione Che non potete appropriarvi di
nulla. Quando comprendete che non siete un’entità
personale, resta lo stupore. Aprite gli occhi e dite grazie. Non conoscerete mai
altro che l’attività sensoriale. Per paura si è inventato un mondo
normalizzato. Non c’è niente di normale. E’ tutto straordinario.
D.
Qual è la ragione
d’essere di questa paura?
E.B. Le situazioni, gli
avvenimenti sono l’attività dei nostri sensi, questa paura non ha alcuna
ragione d’essere, tranne quando ci si prende per una persona.
La paura di non esser niente è allo stesso tempo la porta
per essere. Finchè non si ascolta la paura, tutte quelle a cui si fa fronte
sono paure subalterne. La paura primordiale è la paura
originale. Prima o poi la si deve liberare da ogni
oggettivazione e lasciarla imporsi in
tutta la sua follia, la sua violenza. Quel passaggio è indispensabile. A poco a
poco si realizza che si dice costantemente no alla
paura, coprendola di concetti di giustificazione o di condanna.
Pretendere di aver paura di qualcosa impedisce che la paura
si manifesti pienamente e si riveli come apertura. La paura che si fugge ogni
momento è la porta su se stessi che si cerca in tutte le situazioni. Quando non si mette l’accento sull’avvenimento apparente,
resta la paura essenziale.
Per sentirla, bisogna apprenderla libera da causa. Quando lo presentite, la paura può rivelarsi. Fino a che si crede
legata a una situazione precisa, è rimandata.
D.
La paura
essenziale si apre su essere?
E.B. Non deve aprirsi, è
la risonanza di se stessi. Dal punto di vista della personalità è una paura. La
morte della persona è la vita. E’ lo stesso avvenimento, lo stesso non
avvenimento. Bisogna prima vivere nello stato di sogno, poi questo si s trasforma nello
stato di veglia, poi si integra nel sonno profondo. Il sonno ci
indica il nostro livello di disponibilità. Generalmente il lasciar
andare si produce prima nel sogno, perché lì si trova la libertà di vivere la
situazione senza restrizioni. Poi si esprimerà prima o poi
nello stato di veglia.
D. E’ la paura di soffrire che mi fa mendicare la sicurezza?
E.B. E’ la mancanza di
visione della propria ricchezza.
Di cosa abbiamo bisogno? Di niente. In questa non domanda è possibile una forma di pedagogia. Presentire il
non bisogno permette di ascoltare la vita, di sentire quello che ci circonda.
Senza la minima resistenza a quello che è lì, il funzionamento è facile. Quando si è compreso che non c’è niente da fare per se
stessi, che non si domanda più niente, non si lascia più l’autonomia.
Così si possono aiutare gli altri. Senza richieste, la
relazione diventa facile. Lì si trova la
sicurezza che si é cercata nella domanda.
D.
Che fare quando si sente la paura nel corpo?
E.B. Si sente la paura
nel corpo perchè si è installata una
specie di maturità. La maggior parte delle persone non sente la paura. Come la presentono, decidono di divorziare, di sposarsi, di vendere
questo, di comperare quello, di cambiare religione, tradizioni ecc.
I gusti, i desideri, il bisogno di cambiare vengono dalla paura. Chi sente la paura senza tentare di
compensarla immediatamente, ha superato quella fuga.
Al risveglio, quando
la paura è presente, invece di tentare di sbarazzarvene, lasciatela diventare
viva, attiva. Questa sensazione non è
quella della paura, ma di difesa nei confronti della paura. E’ una massa di
tensioni, un movimento che va lasciato vivere. La paura è in
sé, non si è nella paura. La si sente negli
occhi, la fronte, le gote, le tempie, la gola, i denti, il petto, il ventre, i
reni, ecc. Si lascia che quella sensazione, che non si nomina più, sia quella
che è, cioè calda, fredda, umida, secca, immobile, in movimento, oscura,
chiara, pesante, leggera ecc. Si ascolta
la panoplia sensoriale senza limite che si esprime. Immensa
esplorazione tattile, come quando prendete una pillola di LSD e osservate gli
effetti della sostanza agire in voi. Cosa avete
da fare allora, non avete niente da fare, restate tranquilli e assistete. Lì è uguale,
sentite la paura ed è l’inizio del viaggio. Le sensazioni diventano sempre più
presenti. E’ un’esplorazione più ricca che andare sulla luna. State per
scoprire il colpo d’occhio sulla vita: più sentite la paura, meno avete paura.
Perché, quando si dice “ho paura”, non si sente la
paura, si è in un’immagine, che impedisce
di sentirla. Ma dal momento in cui la si
accoglie, si va ben presto a scoprirsi in uno spazio senza paura, dove la
sensazione di panico si può ingrandire, può espandersi, senza mai avere paura.
Quella paura divora tutta la struttura.
Una tensione che si dilata non è più una tensione.
Si reintegra nel movimento naturale dell’energia. E’
sufficiente che possa di nuovo vivere la
sua fluidità. La paura era solo una tensione separata dalla sua energia. La
natura della paura è la non paura. In sé, non c’è energia di paura, l’energia è neutra, è fissata in una regione, come paura. Il vostro
non- fare permette quello straordinario compimento. Perciò,
se provate a togliere la paura con delle tecniche, di confrontarla, di
attraversarla, di stimolarla, avrete sempre paura. Potrete fare cose
straordinarie, impressionanti, magnifiche, coraggiose, e alle sei di sera,
nella vostra camera, avrete paura.
La paura è da rispettare, da ascoltare, da amare, da lasciar
vivere e morire. Chi vorrà affrontarla, vivrà sempre con lei. Non avrà più
paura di questo, ma avrà paura di altre cose. Il
legionario non ha più paura di un coltello, di una granata, ma che la moglie lo
tradisca. L’affrontarla non toglie la paura, ma la
localizza da un’altra parte.
D.
Sembra una follia, no?
J.B. Tutto è follia per
la persona, tutto ciò che mette in questione l’ immaginario, tutto ciò che è
apertura sulla vita, cioè sulla morte, è follia. Ma la
vera follia è sperare di essere senza paura, perché la persona non è che paura.
Sul piano dell’apertura, della tranquillità, tutto ciò che la persona considera
come sicurezza, saggezza, ricchezza è follia. L’ascolto è la fine di
quell’immaginario. La follia è l’attesa e la speranza. La vera vita è la morte.
D.
Ma è terrificante!
J. B. Non siete una
persona. Non è terrificante che quando pensate. Ma
generalmente non pensate. Poiché non avete che la memoria del pensiero e il non
pensiero non si memorizza e, la maggior parte del
tempo, non pensate, va tutto bene. Quando, per qualche
momento, il pensiero interviene, tutto è complesso, calcolo, esitazione,
decisione. Ma ogni sera, qualunque sia stata l’intensità del
pensiero, lasciate l’immagine del corpo, i pensieri, gli abiti, la giornata,
lasciate morire tutto ciò. E’ la cosa più facile. Niente è più agevole
che dormire. Questo prova che non c’è niente da compiere nella vita, solo
dormire e lasciar morire ciò che non è. Tutte le sere
questo si fa naturalmente e non chiede nessuna ricetta misteriosa, nessun
esercizio, nessuna pratica, decisione, ascetismo, cambiamento. E’ sufficiente,
la sera, lasciar sciogliere il corpo, il pensiero, il sentimento, ecc.
Nei molti momenti della giornata,
riconoscerete quello stesso invito al sonno profondo, che allora si chiama
meditazione. Dopo un pensiero, una
percezione, lasciate morire tutto quello. Abbandonate la pretesa di essere
qualsiasi cosa, ad avere un passato, un futuro.
Quando rimanete in quello spazio completamente non abitato, non
pensato, appare la bellezza della vita, di un oggetto, di un paesaggio, di una
paura. In quella apertura tutto è bellezza. Ma quando ci si
nutre del pensiero, non si vede il pensiero che secondo i propri criteri,
riferimenti, desideri. La bellezza è dappertutto. In questa disponibilità, la
bellezza del bello e la bellezza del brutto diventano evidenti. Lì è la
creatività. Quello avviene organicamente. Non potete fare niente per andare verso
quella evidenza e non potete fare niente contro. Dunque la vita è facile. Siete condannati a
essere tranquilli.
D. Il matrimonio è basato sulla paura? Allora come sposarsi?
J.B. Come non sposarsi?
Tutto ciò che si presenta è celebrazione. Il matrimonio è unità con ciò che si
presenta nel momento. E’ l’ego, la paura che rifiuta di sposarsi, che vuole
restare autonoma, differente, originale. Se non rivendicate
niente, se siete uno con la percezione, allora il matrimonio avviene ogni
momento. Per ragioni economiche, sociali, il matrimonio giuridico può
essere funzionale. Questo non riguarda la vita profonda.
Il matrimonio di coabitazione deve essere rinnovato ogni
giorno. Il vero matrimonio comincia e finisce ogni momento. Non c’è sicurezza.
Le persone si vogliono sposare perché, quando un uomo è
sposato, non deve più fare la corte, offrire dei fiori. E’ più economico, ma
non è un vero matrimonio. Il giorno in cui non offrite più dei fiori, il
matrimonio è finito. Non si acquisisce niente, non potete
possedere niente. Anche a quel livello mondano, ciò
che è sentito deve precedere l’azione. Se vi date al
matrimonio, è che vi sentite già sposati. Se è il caso, quando si ferma la
risonanza e il legame si disfa, non manca niente. Se
questo porta una certa facilità funzionale, perché non concretizzarla
esteriormente. Se interiormente non vi sentite sposati
con qualcuno, il matrimonio esteriore non porterà niente. Se un giorno vi
risvegliate senza quella evidenza del matrimonio, e vi
sentite separati, in quel momento, è possibile l’esteriorizzazione con un
divorzio. Non divorziate per separarvi, ma perché lo siete già. Il divorzio
formalizza la separazione. Tutti quegli elementi mondani sono
il prolungamento di un sentire interno. Se avete un sentimento di intimità con qualcuno, se non ci sono personaggi
mascherati con le fantasie rappresentative della propria religione, non manca
niente. Il matrimonio non ha niente di religioso. Solo la morte è religiosa. Il
matrimonio, come tutto quello che porta qualcosa, è per sua
natura mondano.
Invece l’intimità con
una persona, un albero, un paese, è molto profonda. Certi
danno la vita per il loro paese. E’ anche quello un matrimonio che deve
rinnovarsi ad ogni momento. Tutto ciò che stabilizza, dà sicurezza, è una forma
di mondanità. Ha il suo posto, ma non ha niente di sacro.
La tranquillità, l’ascolto, sono sacri.
Sicuramente si può dire che tutto è sacro, ma nessuna attività, opera d’arte lo è in sé. E’ lo sguardo che
rende sacro.
Per chi vive la non separazione, il matrimonio di momento in
momento con ciò che si presenta, è sacro, ma per chi vive nella personalità, il
matrimonio sarà sempre una forma di sicurezza. Ci si sposa per interesse:
quando non conviene più, si cambia. Ci si serve dell’altro per trovare la
sicurezza. E’ una distrazione mondana, che ha il suo posto come il bridge, il
golf e le vacanze a sciare o al mare.
L’intimità è esonerata dal passare attraverso i riti patologici delle
religioni. Ma se la società, la cultura
in cui vivete partecipano a questi sogni, questo è
leggero. In occidente, quando incontrate qualcuno, vi stringete
la mano, in oriente ci si saluta in altro modo. La vita è facile, qualunque sia
il nostro ambiente. Poco importano le circostanze, a
un certo momento non si è in nessun modo. Ci si può orientare verso un modo
orientale o occidentale, avvicinare alla chiesa
siriana o ortodossa, all’induismo o all’islam se necessario, ma non ci si nutre
di quei pensieri codificati. Si conosce meglio la cultura di un paese che di un
altro, ma si appartiene a ciò che si presenta
nel momento. E’ il solo paese. Per prolungamento, l’ambiente dove ci si
trova diventa il proprio paese, ma non
in modo psicologico. Allora il matrimonio per sicurezza non avviene. Il
matrimonio, espressione di una intimità, di una
evidenza, senza attesa, senza domanda, senza cercare niente, può avere un posto
funzionale. Ma attenzione a non creare l’immagine do
uno che è maritato. Quando c’è uno sposato, non c’è
più matrimonio essenziale, ma assicurazione e appropriazione. Il matrimonio è
quella devozione a ciò che si presenta ad ogni istante. Un
matrimonio senza immaginarsi di essere
sposato. Chi si pensa sposato vive nel suo immaginario.
In un momento di tranquillità non si è né maritati né celibi. Non si è un
concetto. Da quella nudità, eventualmente si può esprimere una o l’altra modalità. Ma tutto viene da quella apertura.
Chi cerca di costruirsi nel matrimonio o nel celibato, anche immaginario, non fa che costruirsi una personalità
patetica, perché quella ricerca di un modo è la negazione della nostra
immensità. Niente da costruire, ma tutto da lasciar vivere e
morire. La vostra morte è il vostro vero matrimonio.
Lasciare morire tutto ciò che non siete
è la vostra festa di nozze essenziali, alla quale non siete invitati.