Ken Wilber
Translazione o trasformazione?
(da What is Enlightnment? 1997
– 2001)
3ème Millénaire n. 74 - Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini
In una serie di libri (A sociable God, Up from Eden, The Ey of Spirit, per esempio), ho cercato di mostrare che la religione ha sempre adempiuto a due funzioni molto importanti, ma molto differenti una dall’altra.
Da una parte, agisce in modo da dare un senso all’io separato: offrendo dei miti, delle storie, dei racconti, dei rituali, delle ricostruzioni che insieme aiutano l’io separato a trovare un senso e a sopportare i pesi e le ferite del duro destino. Questa funzione della religione non cambia necessariamente né abitualmente il livello di coscienza di una persona; essa non offre né trasformazione radicale, né la possibilità di una liberazione che distrugga completamente la sensazione di essere un io separato.
Al contrario, offre consolazione all’io, lo fortifica, lo difende e gli dà importanza. Finché l’io separato crede ai miti, compie i rituali, recita le preghiere e accetta i dogmi, sarà, si crede, fermamente “salvato” – sia immediatamente nella gloria di Dio o attraverso le intercessioni della Dea, sia più tardi in una vita dopo la morte che garantisce una beatitudine eterna.
Per un altro verso, la religione è anche servita – e questo il più delle volte per una piccolissima minoranza di individui – ad una trasformazione radicale, di liberazione. Questa funzione della religione non fortifica la sensazione di essere un io separato, essa lo distrugge totalmente. Invece di consolazione, porta la distruzione, invece di un rifugio, il vuoto, invece del conforto, una rivoluzione, insomma piuttosto che un supporto convenzionale, questa funzione provoca una trasmutazione, una trasformazione dal profondo della coscienza stessa.
Si può parlare di queste due funzioni così importanti della religione in un altro modo: la prima funzione, quella che crea un senso per l’io, è un movimento di tipo “orizzontale”; la seconda, quella che spinge a trascendere l’io, è un movimento di tipo “verticale” ( più elevato o più profondo, a seconda della metafora utilizzata). La prima, la chiamo “translazione”, la seconda “trasformazione”. Nella translazione, l’io accede semplicemente a un nuovo modo di pensare, di percepire la realtà. Gli si offre una nuova credenza che sarà forse olistica invece di essere parcellizzata, porterà perdono dove c’era colpevolezza, o sarà relazionale piuttosto che analitica. L’io allora impara a interpretare il suo mondo e la sua esistenza secondo i termini della sua nuova credenza, nuovo linguaggio o paradigma, e questa trasformazione nuova e incantevole porterà, almeno temporaneamente, sollievo o diminuzione del terrore che per natura è radicato nella profondità dell’io separato.
Ma nella trasformazione, il processo stesso di translazione è messo in questione, osservato, scalzato per essere poi alla fine fatto a pezzi. In una translazione tipica, l’io (o il soggetto) accede a un nuovo modo di percepire il mondo (o gli oggetti); ma nella trasformazione radicale, l’io stesso diventa oggetto di investigazione, è scrutato, preso per il collo, e letteralmente strangolato fino che morte non sopraggiunga.
Ancora una volta, nella translazione, orizzontale – che è di gran lunga la funzione più condivisa e la più consueta della religione – l’io diventa, per un po’, felice nella sua avidità, soddisfatto nella sua schiavitù, sedato di fronte allo spaventoso terrore che è nel cuore stesso del suo condizionamento. Nella translazione, l’io percorre il mondo in uno stato di sonno, miope e insensibile, errando nell’incubo del samsara, fornito per guidare il suo cammino di una carta di sogno per oppiomani. Tale è infatti la condizione comune a tutta l’umanità religiosa, condizione di cui precisamente i maestri di una spiritualità radicale e trasformatrice sono pervenuti a diffidare e che hanno finito per distruggere, perché nella trasformazione autentica non è più questione di credenza, ma della morte del credente: non più questione di “traversare” il mondo, ma di trasformarlo; non più questione di trovare il conforto, ma l’infinito dall’altra parte della morte. L’io non è là per essere soddisfatto, ma perché lo si riduca in cenere.
Quando evidentemente sto parlando in termini favorevoli della trasformazione e denigro la translazione, in realtà, nell’insieme, sono due funzioni incredibilmente importanti e totalmente indispensabili.
Gli individui non sono in maggior parte nati illuminati. Essi nascono in un mondo di peccato e di sofferenza, di speranza e di paura, di desiderio e di disperazione. Nascono come io vivace e portato a scoprire, un io pieno di appetito, di sete, di lacrime, di terrore. Cominciano in giovanissima età a imparare ad attraversare, trascrivere, adottare il loro mondo, a interpretarlo per comprenderlo e dargli un senso, e per difendersi dal terrore e dalla tortura appena dissimulata sotto la superficie felice dell’io separato. Anche se voi ed io aspiriamo a trascendere la semplice translazione per trovare una trasformazione autentica, non è men vero che la translazione ha un ruolo assolutamente necessario e cruciale per una parte essenziale della nostra vita.
Coloro che non possono operare la translazione correttamente, con un certo grado di integrità e di onestà, cadono rapidamente nella nevrosi o, peggio nella psicosi. Il mondo cessa allora di avere un senso: invece di essere trasceso, le frontiere tra l’io e il mondo cominciano a crollare. Lungi dalla rivelazione, è la regressione, non la trascendenza ma il disastro. Pertanto, a un certo momento del nostro processo di maturazione, anche la translazione più adeguata e solida non assume più il suo ruolo di consolazione.
Nessuna nuova credenza, nessun nuovo paradigma, mito o idea arginerà l‘onda di una angoscia crescente. Non è più una nuova credenza per l’io ma un trascendenza totale dell’io che diventa allora il solo cammino possibile. Eppure le persone pronte a seguire un tale cammino sono un’infima minoranza. Lo sono sempre state e probabilmente lo saranno sempre. Per la stragrande maggioranza una qualunque credenza religiosa cadrà nella categoria “consolazione”, utilizzata come una nuova translazione orizzontale per dare un senso a questo mondo mostruoso. La religione è soprattutto servita a questa primitiva funzione ed ha fatto molto bene.
Ecco perché utilizzo il termine di “legittimità” per descrivere questa prima funzione (la translazione orizzontale e la creazione di senso per un io separato). Offrire una legittimità all’io - una legittimità per le sue credenze, paradigmatiche visioni del mondo e modi di vivere – è una parte importante dei servizi resi dalla religione. Questo ruolo di legittimazione – anche temporaneo, relativo, non trasformativo o illusorio che sia – ha tuttavia rappresentato la più importante funzione – unica nel suo genere – delle tradizioni religiose del mondo. Per la sua capacità di offrire un senso orizzontale, una legittimità e una garanzia all’io e alle sue credenze, questo ruolo della religione ha sempre funzionato come “cemento sociale” unico, il più importante che una cultura possa avere.
Non è mai facile né agevole toccare il cemento di fondo che dà coerenza ad una data società. Perché il più delle volte, quando la translazione non opera più – quando questo cemento si disgrega – succede, come dicevamo sopra, non una rivelazione ma una regressione, non una liberazione ma un caos sociale (ci torneremo).
Là dove la religione di translazione porta “legittimità”, la religione di trasformazione offre “autenticità”. I pochi individui che sono maturi – ossia disgustati dell’io separato e dalle sofferenze, ormai incapaci di abbracciare la visione del mondo legittimo, sentono sempre più intensamente il richiamo ad una autenticità, un risveglio, una liberazione autentica. E secondo la vostra capacità di sopportare la sofferenza, risponderete prima o poi al richiamo dell’autenticità della liberazione sull’orizzonte perduto dell’infinito.
La spiritualità di trasformazione non cerca di sostenere o legittimare una visione del mondo esistente; al contrario è distruggendo tutto ciò che il mondo pensa essere legittimo che porta una vera autenticità. La coscienza legittima è sanzionata dal consenso, adottata dalla massa supportata nello stesso tempo dalla cultura e dalla controcultura, promossa dall’io separato come modo per dare un senso al mondo. Ma la coscienza autentica si allontana rapidamente da tutto questo, per porsi in una prospettiva che non vede che un’infinità radiosa nel cuore di ogni anima e non respira che una atmosfera d’eternità straordinariamente semplice.
La spiritualità di trasformazione, la spiritualità autentica è così rivoluzionaria che non offre alcuna legittimità al mondo, lo processa, non consola il mondo, lo polverizza. Non soddisfa l’io, lo disfa. Questo ci porta a molte riflessioni. (conclusioni)
Chi
vuole veramente trasformarsi?
Comunemente si ritiene che l’Oriente è immerso in una spiritualità autentica e trasformatrice mentre l’Occidente in passato e oggi con la “New Age”, non è dotato che di diverse forme di spiritualità orizzontali, traslazioni e dunque di conseguenze tiepide. Benché ci sia una certa verità in queste affermazioni, la situazione reale è ancora più buia, e questo sia in Oriente che in Occidente.
Prima di tutto, sebbene sia vero che l’Oriente ha avuto un numero maggiore di maestri autentici, non è meno vero che la percentuale della popolazione orientale che è arrivata a una spiritualità autenticamente trasformatrice è veramente infima. Ho posto la domanda a Radigiri Roshi, maestro presso il quale ho avuto la mia prima rivelazione ( e non regressione, lo spero): “Quanti autentici grandi maestri Ch’an o Zen ci sono stati dall’inizio dei tempi?” Senza esitazione mi rispose: “forse un migliaio al massimo”. Ho domandato a un altro maestro Zen quanti mastri Zen giapponesi illuminati - veramente illuminati – vivessero oggi; mi rispose: “appena una dozzina”.
Supponiamo che queste risposte riflettano approssimativamente la verità - guardando le cifre – anche se diciamo che si sono avuti in Cina, nel corso della sua storia, un miliardo di individui (una stima debolissima), questo vorrebbe dire che solo mille persone su un miliardo sono diventate maestri in una spiritualità di trasformazione autentica.
Per quelli di voi che non hanno a disposizione una calcolatrice, questo rappresenta lo 0,0000001 per cento della popolazione totale. E anche si porta la cifra a, diciamo, un milione piuttosto che a mille, questo non rappresenta che 0,001% della popolazione, come dire una goccia d’acqua nell’oceano. Di conseguenza, si può affermare senza rischio di errore che il resto della popolazione era ed è sempre, arrivata, nel migliore dei casi, verso le diverse forme di religione orizzontale, traslativa, puramente legittimista. Queste persone si dedicano a pratiche magiche, a credenze mistiche, a preghiere di supplica egocentriche, a rituali magici, ecc. – cioè a metodi traslativi per dare un senso all’io separato, funzione traslativa che era fino a oggi, come noi diciamo, il cemento più importante della cultura cinese (come di tutte le altre culture).
Così, senza disprezzare in nessun modo i contributi importanti delle
superbe tradizioni orientali, si deve constatare
che la spiritualità trasformatrice radicale è estremamente rara sul pianeta,
oggi come nel corso della storia (le cifre per l’occidente sono ancora più
deprimenti)). Non voglio insistere. Dunque benché sia forse giusto di lamentarsi
per il piccolissimo numero di individui che oggi
sono avviati verso una realizzazione spirituale autentica, non ci sbagliamo
dichiarando che le cose erano radicalmente diverse nei tempi più antichi
o nelle culture differenti. La situazione è stata un po’ migliore di quella
che viviamo in
Partiamo allora da questa constatazione innegabile, che la spiritualità verticale, trasformatrice e autentica è uno dei gioielli più preziosi di tutte le tradizioni umane e questo precisamente perché, come ogni gioiello, è estremamente rara. In secondo luogo, anche se siamo profondamente convinti che il ruolo più importante che possiamo rivestire è di offrire al mondo un’autentica spiritualità trasformatrice, in realtà quello che possiamo fare soprattutto per portare in questo mondo una spiritualità decente è di proporre dei modi di translazione più benefici più efficaci. In altri termini, se noi stessi pratichiamo o offriamo una spiritualità trasformatrice autentica, quello che dobbiamo fare, almeno in un primo tempo, è mettere a disposizione degli altri un metodo di translazione più adeguato alla loro condizione; dobbiamo comunicare con delle traslazioni salutari prima di poter offrire in modo efficace delle trasformazioni autentiche.
La ragione è che se voi togliete in modo troppo improvviso o sprovveduto a un individuo o a una cultura il suo modo di translazione, ne risulterà, lo ripeto, una regressione e non una rivelazione, una repressione piuttosto che un sollievo.
Due esempi: sbarcando negli Stati Uniti Chögyam Trunpa Rimpoche, grande (anche se controverso) maestro tibetano, è diventato celebre perché rispondeva sempre alla domanda: “Qual è il senso del Vajrayana?” con queste parole “Tutto è Ati” In altri termini, non c’è che spirito risvegliato dovunque voi posiate gli occhi. L’ego, il samsara, la maya, l’illusone, niente ha bisogno di sparire, perché niente di tutto ciò esiste in realtà. Non c’è che Ati, non c’è che Spirito, non c’è che Dio dappertutto, non c’è che Coscienza indifferenziata. Assolutamente nessuno ha capito. Nessuno era pronto a questo riconoscimento radicale e autentico di una verità che esiste già e da sempre. Allora Trungpa ha finito con l’introdurre tutta una serie di pratiche “minori” e radicate “non-pratica”. Ha introdotto le nove Yama come fondamento ella pratica, ossia ha proposto nove tappe o livelli di pratica, che portano all’ultima “non-pratica” del già e sempre Ati.
Molte di queste pratiche erano delle semplici translazioni, altre erano ciò che si può chiamare pratica di “trasformazione”, attraverso le quali il corpo/spirito diventava più aperto al risveglio radicale già-compiuto. Queste pratiche di translazione minore erano nate dalla “pratica perfetta”, dalla “non-pratica”, cioè dalla presa di coscienza radicale, istantanea e autentica che dall’inizio, non c’è che Ati. Così, sebbene lo scopo principale e il fondamento permanente siamo l’ultima trasformazione, Trungpa ha sentito il bisogno di proporre delle pratiche di translazione e di trasformazioni minori, per preparare i suoi allievi alla evidenza di ciò che è.
La stessa cosa è successa ad Adi Da, altro maestro influente ( e anche controverso). Si tratta questa volta di un americano. All’inizio insegnava solo il cammino della comprensione”, non un cammino per giungere all’illuminazione, ma una ricerca sul perché si desidera l’illuminazione. Il desiderio dell’illuminazione infatti non è che la tendenza avida dell’ego di afferrate tutto. Così è la stessa ricerca che ci impedisce di viverla. La “Pratica perfetta” non consiste più allora nel cercare l’illuminazione ma a investigare sul motivo della ricerca stessa. Evidentemente lo scopo di questa ricerca è di evitare il presente, e solo il presente ha la risposta: “cercare sempre è mancare il centro”. Voi siete già da sempre spiriti illuminati di conseguenza cercare lo spirito equivale a negare lo spirito. Non potete realizzare lo spirito più che non potete realizzare i vostri piedi o acquistare i vostri polmoni.
Nessuno ha capito. Allora Adi Da come Trungpa, ha introdotto una serie di pratiche traslative e di pratiche di trasformazione minori – sette tappe di pratica – per condurvi al punto, dove potete fare a meno di ogni pratica e restare aperto alla, da sempre, verità della vostra condizione eterna e fuori dal tempo che era assolutamente presente fin dall’inizio, ma che era ignorata in modo brutale a causa del vostro sfrenato desiderio di cercare.
Qualsiasi
cosa possiate pensare di questi due maestri, una
cosa è certa: sono i primi ad avere seriamente tentato d’introdurre negli
Stati Uniti la nozione di “tutto è Ati” – tutto
è Spirito – di conseguenza ogni ricerca di Spirito è precisamente ciò che
ne impedisce la realizzazione. E tutti e due hanno
scoperto che, anche se si è profondamente risvegliati a Ati,
risvegliati alla verità radicale e trasformatrice del presente, le
La mia seconda riflessione sarà dunque che, più che offrire una trasformazione radicale e autentica, dobbiamo sempre essere sensibili e attenti ai numerosi modi di pratiche minori e traslative che sono anche loro benefiche. Questo più generoso atteggiamento si richiama ad un “approccio integrale” della trasformazione nel suo insieme, un approccio che tiene conto e incorpora molte pratiche di trasformazione minori e traslative, che comprendono gli aspetti fisici, emozionali, mentali, culturali e comunitari dell’essere umano. Questo per preparare e diventare una espressione della trasformazione ultima verso lo stato da sempre già presente.
Così, anche se è giusto criticare la religione puramente traslativa (e tutte le forme minori di trasformazione), riconosciamo che un approccio integrale della spiritualità è una continuazione del meglio dell’orizzontale e del verticale, della traslazione e della trasformazione, del legittimo e dell’autentico.
Concentriamo allora i nostri sforzi su una visione di insieme sana ed equilibrata della situazione umana. Saggezza e compassione. Il mio punto di vista non è terribilmente elitario? Mio Dio, lo spero. Se guardaste un match di basket non preferireste veder giocare Michael Jordan più di me? Se amaste la pop-musique, chi sareste pronti a pagare per ascoltare? Me o Bruce Springsteen? Quando leggete della buona letteratura, preferireste passare il tempo a leggere Tolstoi o me? Se sborsate sessantaquattro milioni di dollari per un quadro, lo fareste per un Van Gogh o per un mio quadro?
L’eccellenza spirituale è una èlite a cui siamo tutti invitati. Ci rivolgiamo ai grandi maestri come Padma Sambhava, Santa Teresa d’Avila, il Budda, Donie Tsogyal, Emerson, Eckart, Shankara, Sri Ramana Maharshi, Bodhidarma. Ma il loro messaggio è sempre lo stesso: lasciate questa coscienza che è in me, essere in voi.. Voi cominciate come elitari e finite egualitari, sempre. D’altronde, c’è questa saggezza furiosa che urla nei nostri cuori: dobbiamo mantenere la nostra attenzione sul fine della trasformazione ultima. Dunque ogni spiritualità integrale o autentica includerà per forza sempre un richiamo critico, intenso, a volte polemico verso parte del campo della trasformazione, piuttosto che al campo puramente traslativo.
Se utilizziamo le percentuali del cinese Ch’an come esempio di base, questo vuol dire che lo 0,0000001% della popolazione è avviata veramente verso una autentica spiritualità, mentre lo 0,999999% della popolazione è dedito a sistemi di credenze non trasformatrici, non autentiche, solamente traslative o orizzontali. E questo vuol dire che la grande maggioranza degli aspiranti spirituali in questo paese, come dappertutto, è implicato nelle pratiche che sono lontane dall’essere autentiche. E’ sempre stato così; ed è così tuttora. Questo paese non fa eccezione. Quello che diventa sempre più dannoso in America oggi è che un’immensa maggioranza di aderenti ai movimenti spirituali orizzontali pretende spesso di essere all’avanguardia della trasformazione spirituale, di portare il “nuovo paradigma” che sta per cambiare il mondo, la “grande trasformazione”, di cui loro sono gli esploratori. Ma, nella maggioranza dei casi, questi nuovi paradigmi non sono trasformazioni affatto. Sono solamente e aggressivamente translativi. Non offrono dei mezzi efficaci per smantellare l’io, ma propongono all’io nuovi modi di pensare. Non dei mezzi di trasformazione, ma delle nuove maniere di fare la translazione. Infatti quello che la maggior parte di questi movimenti propongono, non sono né pratiche né una serie di pratiche, né delle sadhana, satsang, shikan-taza o yoga. Quello che la maggior parte di questi movimenti offre è: leggete il mio nuovo libro sul nuovo paradigma! Tutto questo è profondamente disturbato e disturbante.
Così i campi
spirituali autentici, pur conservando il cuore e lo spirito delle grandi tradizioni
di trasformazione, faranno coesistere due cose: valorizzare e sostenere la
pratiche minori e translative da cui dipende generalmente il loro successo)
e nello steso tempo emettere u grido dal cuore che tuona, urla che questa
translazione non basta da sola. Di conseguenza, tutti quelli che sono stati
scossi nella profondità della loro anima attraverso la trasformazione autentica,
devono, credo, scoprirlo, con l’impegno morale più profondo, lanciare questo
grido del cuore, sia tranquillamente o sforzandosi con forza o severità, con
l’analisi lenta e prudente o offrendosi come esempio
perseverante. L’autenticità porta in Sé in modo assoluto un obbligo e un dovere.
Dovete esprimerla, scuotere l’albero della spiritualità, spalancare sotto
gli occhi dei
Rifiutando di disturbare gli altri, rifiutate di disturbare voi stesi. Sareste in mala fede con un puzzo d’infinito. Perché vedete, quello che è allarmante, è che ogni realizzazione spirituale porta in sé un terribile fardello: quelli a cui è stato dato di vedere sono allo stesso tempo legati all’obbligo di comunicare questa visione in termini molto chiari. Questo è il contratto. Vi è stato permesso di vedere la verità, alla condizione che la comunichiate agli altri (questo infatti è il significato dei voti del bodhisattva). Di conseguenza, se voi avete visto, dovete semplicemente dirlo. Dirlo con compassione, dirlo con una folle saggezza, o dirlo con dei mezzi abili, ma dirlo, bisogna.
Ecco il vero e terribile fardello, che non lascia nessun posto alla timidezza. Che ci si possa sbagliare non è una scusa: che siate giusto o no nel vostro modo di comunicare non ha nessuna importanza. Come ce lo ricordava così brutalmente Kierkegard, non è che parlando con passione della vostra visione che la verità potrà penetrare in un modo o nell’altro la reticenza del mondo. Non c’è che quello che conta. Che voi abbiate ragione o che abbiate torto,non lo scoprirete che con la forza della vostra passione. E’ vostro dovere mettere avanti questa scoperta - non importa in quale modo -, dunque è vostro dovere dire la vostra verità con tutta la passione e il coraggio che potrete attingere dal vostro cuore. Il vostro dovere è di gridare come potete.
Il mondo volgare urla già e con un chiasso tanto assordante che le voci più giuste sono appena udibili. Il mondo materialista deborda di pubblicità, d’attrazione d’incitazioni urlanti, di commercio che strilla, di vagiti di benvenuto, d’inviti provocanti. Lungi da me l’intenzione di essere duro: è importante onorare gli impegni minori, ma non si può ignorare che “l’anima” è diventata la parola più deprecata nei titoli delle migliori vendite in libreria. Pertanto l’anima di cui parlano questi libri non è che un travestimento dell’ego. Nell’appetito divorante dell’avidità translativa, la parola “anima” ha assunto il significato non di ciò che è eterno in noi, ma di ciò che in noi si dibatte con grandi gemiti in questo basso mondo.
Così, anche se ciò può sembrare assurdo “prendersi cura della propria anima” ha finito per non significare altro che concentrarsi intensamente sul nostro ego ardentemente separato. La parola “spirituale”, è su tutte le bocche ma per non riferirsi generalmente che a un sentimento profondamente egoico, come “cuore” finisce per significare ogni sensazione sincera di contrazione interiore.
Tutto questo, in verità, non è che il buon vecchio gioco della translazione che si mette in ghingheri per andare in città. Questo sarebbe più che accettabile senza il fatto allarmante che tutte queste manovre translative sono dotate aggressivamente del nome di trasformazione, quando in effetti non sono che delle violente translazioni. In altri termini sembra che in questo gioco di fare di ogni translazione una grande trasformazione, ci sia ahimè una profonda ipocrisia. E il mondo nel suo insieme,in Oriente come in Occidente, a Nord come a Sud è ed è sempre stato totalmente sordo a questa calamità. Così, se davanti alla vostra presa di coscienza autentica, vi preparate a sussurrare gentilmente all’orecchio di questo mondo quasi sordo,amico mio, io ti dico no. Dovete urlare. Urlare dal fondo della vostra visione, come potete. Non senza discriminazione, però. Procediamo verso questo grido trasformatore con prudenza. Lasciamo le piccole “tasche di spiritualità” trasformatrice radicale, di spiritualità autentica concentrare i loro sforzi e trasformare i loro studenti.
Lasciamo che queste tasche comincino a esercitare la loro influenza dolcemente, con prudenza, responsabilità e umiltà e, pur esercitando una tolleranza assoluta per tutti i punti di vista, tentare tuttavia di difendere una spiritualità autentica, vera e integrale, tutto questo con l’esempio, con la luminosità, con una evidente liberazione, una liberazione manifesta.
Che queste tasche di trasformazione convincano il mondo e i suoi individui reticenti con dolcezza, sfidino la loro legittimità, le loro translazioni che limitano, e suscitino il risveglio dal torpore che avvolge il mondo nel suo insieme. Che questo cominci qui, ora –con voi, con me – con il nostro impegno a respirare nell’infinito finchè l’infinito solo diventi l’unica affermazione che il mondo riconosca.
Che una realizzazione radicale irradi dai nostri visi, urli dai nostri cuori e tuoni dai nostri spiriti questo fatto semplice ed evidente: nella immediatezza della vostra coscienza presente, noi siamo il mondo nella sua totalità con tutta la sua freddezza e la sua febbre, tutte le sue glorie e la sua grazia, tutti i suoi trionfi e le sue lacrime. Noi non guardiamo il sole, noi siamo il sole; noi non sentiamo più la pioggia, noi siamo la pioggia; noi non tocchiamo la terra, noi siamo la terra.
E in questa luce semplice e chiara che non si può mettere in dubbio, la translazione è cessata da tutte le parti e noi ci ritroviamo trasformati nel Cuore del “Cosmo” stesso e là, in questo preciso momento, semplicemente, tranquillamente, tutto è sciolto. Lo stupore e il rimorso ci saranno allora completamente estranei, mentre l’io e gli altri, il dentro e il fuori non avranno più nessun senso per noi. E in questo choc del riconoscimento, quando il mio Maestro è il mio Io e l’Io è il Cosmo nella sua totalità, noi penetreremo dolcemente la nebbia di questo mondo e lo trasformeremo totalmente non facendo nulla.
E allora, e solamente allora, con compassione, cura e chiarezza, scriveremo infine sulla tomba di un io che non è mai esistito: Tutto è Ati
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